sabato 24 dicembre 2011

269 - ALL'ARREMBAGGIO!

Il nuovo giorno porta con sé un cambio dei venti. Correnti calde meridionali sospingono la Sable Drake a gonfie vele, e come linfa fresca sembrano portare rinnovato vigore nell'equipaggio di Black Bart.
Il sole ha già superato lo zenit quando Lucas, la vedetta, richiama l'attenzione urlando dalla coffa. L'avvistamento del bastimento di Salamanca carico di tabacco all'orizzonte strappa un boato euforico tra i pirati, mentre Black Bart si affretta a impartire ordini per l'avvicinamento e l'abbordaggio.
Tuttavia, l'eccitazione dei primi minuti si trasforma presto in un'amara sorpresa, quando Lucas si sgola in preda all'agitazione per avvertire il capitano della presenza di una seconda nave di dimensioni inferiori, una veloce fregata da battaglia di scorta al mercantile, nascosta inizialmente dietro la sua imponente mole.
Black Bart bestemmia sonoramente. E' una trappola!
Nonostante gli ordini perentori del capitano e il prodigarsi dell'equipaggio, la manovra di avvicinamento era in fase troppo avanzata e la Sable Drake fatica a prendere le distanze, mentre la fregata di Salamanca cavalca le onde guadagnando terreno.
"Venite con me, presto!" dice Juan ai compagni. "Nella stiva!"
"Perché Juan? Cosa..."
Il coloviano non dà a Rune il tempo di finire la frase, ma lo degna di una risposta mentre scende di sotto.
"Siamo troppo lenti, ci prenderanno. E tra poco sul ponte sarà un inferno. Dobbiamo armarci, non sappiamo come può andare a finire. Se non è cambiato nulla da quando me ne sono andato, qua sotto ci dovrebbe essere una discreta scorta di armi..."
In effetti i ricordi di Juan sono esatti. Tra rastrelliere e cassapanche colme di scimitarre, coltellacci, spadini, corpetti di cuoio, balestre, i nostri eroi recuperano quanto può essere utile in caso di emergenza.
Ad un tratto si sente un tonfo, e dopo pochi istanti la nave ondeggia violentemente. Gli avventurieri cercano di mantenere a fatica l'equilibrio.
"Maledizione!" impreca Juan. "Hanno le catapulte!"
Il coloviano, spada corta alla mano, si fionda sulle scale che portano al ponte.
"Juan!" urla Gimble correndogli dietro. "Ti farai ammazz--!!!"
Un rumore secco, improvviso, di assi spezzate, e schegge di legno impazzite che volano dappertutto. Gli avventurieri si gettano sul pavimento per ripararsi, e quando il loro sguardo si rialza, la punta arpionata di un grosso dardo da ballista spunta dalla parete sfondata.
Gilead si rialza, la fronte gli sanguina per un taglietto provocato da una scheggia: "Gli schiavi! Dobbiamo liberarli! Se ci affondano saranno in trappola come topi!"
L'elfo si precipita verso i ponti inferiori seguito da Hearst, intenzionato a dargli man forte. Al loro passaggio altri arpioni schiantano le pareti della nave, perforando il legno, facendone schizzare i pezzi come proiettili.
Nel frattempo sul ponte superiore Black Bart si sgola ordinando di tagliare le cime legate agli arpioni, grazie alle quali la fregata si avvicina sempre di più, in quella sorta di danza che è la manovra di arrembaggio.
Luìs fa partire le scariche dei balestrieri, il mago mercenario di Berenzan scaglia dardi luminosi sull'equipaggio avversario, ma la risposta di Salamanca è pari se non più energica. Le frecce volano lacerando le vele e provocando dolorose ferite tra i pirati, lingue di fuoco scorticatrici si staccano letali dalle dita degli incantatori della fregata.
La voce del capitano nemico si alza imperiosa tra i primi fuochi della battaglia, intimando una resa inaccettabile per la Sable Drake. Una voce e una presenza ben note a Gimble e Juan, segno che Salamanca ha deciso di fare veramente sul serio per contrastare la piaga della pirateria.
Nicolau Garzes.

martedì 13 dicembre 2011

268 - LA SENTINA

Le lanterne appese a sostegni ricurvi sul ponte dondolano al ritmo delle onde, come minuscole lucciole nell'immensa notte del mare aperto.
L'ora è tarda, quasi tutti dormono. Per un elfo tuttavia, il sonno non ha significato. Non che il corpo non necessiti di riposo, ma questa tipica necessità comune a tutte le altre razze negli elfi è sostituita da uno stato di vigile dormiveglia. E attraverso la trance, Gilead ascolta distrattamente l'ennesima provocazione di Luìs nei confronti di Juan riguardo la sua presunta virilità, e il conseguente scambio di veleni. Nonostante la violenza verbale, la discussione si spegne quasi subito senza addentrarsi nelle reali motivazioni che hanno spinto il padre a sbattere Juan a mare, sebbene il fratello vi faccia frequenti allusioni.
Quando Luìs si allontana e Juan si accuccia, senza dare nell'occhio l'elfo muove passi silenziosi, scivolando come un'ombra sottocoperta.
Nella sottostiva, un pirata russa sonoramente stravaccato su un sacco di granaglie a lato di una botola. La borraccia di rum prosciugata al suo fianco è garanzia che il suo sonno non verrà certo disturbato dal tintinnare delle chiavi attaccate alla sua cintura, che l'elfo preleva prima di avventurarsi nella sentina.
Gilead scende la minuscola scala a pioli accedendo ad un misero atrio sul fondo della nave, dove le acque di infiltrazione si accumulano in un rigagnolo maleodorante. Gilead si trova di fronte ad una porta robusta. Le chiavi servono inequivocabilmente per aprirla, e l'elfo le fa scivolare nella serratura cercando di non fare il minimo rumore. La luce debolissima che viene dalla candela della guardia al piano superiore filtra appena, ma per gli occhi del ranger è sufficiente.
Nell'oscurità intravede sagome addormentate l'una sull'altra, mentre il lezzo di cibo rancido ed escrementi lo investe. Gilead sente una stretta allo stomaco, ma la sensazione di pietà viene brutalmente spazzata via dall'adrenalina. Non tutti dormono, e qualcuno tra gli schiavi nota lo spiraglio di luce dalla porta, si alza e si getta verso l'uscio implorando di farli uscire, senza badare ai cenni di silenzio dell'elfo.
Gilead è costretto a richiudere, mentre i prigionieri chiedono misericordia e battono sulla porta.
"Che diavolo succede!" borbotta una voce impastata e allarmata di sopra.
L'elfo sente il cuore accelerare, mentre la sua mente ragiona fulminea. Quasi istintivamente getta il mazzo di chiavi nel cono di luce della botola, prima di appiattirsi nelle ombre in un angolo.
Un volto rintronato si affaccia nel'apertura illuminata sul soffitto, intimando il silenzio a suon di bestemmie. La guardia, inascoltata, si affaccia ancora di più, a mezzobusto.
"Brutti figli di puttana! Sctate zitti!!! Hic...! Devo sc-scendere?!? Ehi, che cazzo sci fanno le mie chiavi laggiù? Mi sciono scivolate mentre urlavo... brutti basctardi devo scendere per forza... è tutta colpa vosctra, che devo scendere per forza..."
Il pirata impegna a fatica i pioli, raccoglie le chiavi, sputa nel rigagnolo d'acqua e infine pianta tre pugni violenti sulla porta: "Ziiittiiii! O vi ammazzo tutti!!!"
Le voci dentro la sentina si placano, una dopo l'altra, con spocchiosa soddisfazione della guardia. Il bruto torna al suo posto e dopo meno di un quarto d'ora russa pesantemente, come se nulla fosse accaduto.
Grazie a Dio era ubriaco, pensa Gilead tirando un sospiro di sollievo.
Con passo leggero, l'elfo torna sul ponte.

mercoledì 7 dicembre 2011

267 - IL LAVORO SPORCO

Il sole in mare aperto è una palla di fuoco che arrostisce la pelle, che costringe gli avventurieri a cercare frequentemente un minimo sollievo sotto le vele. Juan è particolarmete schivo e silenzioso; nonostante qualcuno sulla nave accenni a un saluto, la maggior parte dell'equipaggio lo evita. Questo tuttavia non impedisce ai compagni di fare conoscenza con alcuni individui dell'equipaggio: il cuoco Juanillo, la vedetta Lucas e il timoniere Esteban. A detta di quest'ultimo, un tipo particolarmente avvezzo alla chiacchiera mentre lascia ondeggiare il timone, a bordo c'è anche un mago mercenario di Berenzan, un tizio poco socievole aggregatosi di recente per volere di Manuel Hidalgo con il beneplacito di Black Bart, per il momento rintanato sottocoperta.
Il galeone naviga lento verso est, in direzione dello stretto tra Salamanca e Granada, a velocità ridotta a causa dei venti Anteliesi che soffiano contrari.
"Ci vorrà una settimana, sapete..." blatera Esteban distratto.
"Una settimana per cosa?" chiede Isabel incuriosita. Il timoniere si volta per fissarla, non solo negli occhi.
"Per arrivare a Bakaresh. E' là che siamo diretti."
Juan ascolta stupito e incuriosito. Bakaresh? Una delle grandi città del Granducato di Kal-Mahda? Una meta insolita, lontana, ben al di fuori delle normali tratte dei bucanieri.
Isabel incalza Esteban sul perché di quella destinazione, ma il timoniere alza le spalle, e improvvisamente silenzioso torna ai suoi compiti.
Hearst invece passa il suo tempo nel tentativo di racimolare qualche moneta svendendo ad un pirata l'armatura delle guardie di Isla del Quitrin. Il suo acquirente tuttavia gli offre come controparte la possibilità di abusare di una delle schiave trasportate dalla Sable Drake. Il guerriero declina, reprimendo l'istinto, anche quello di spaccargli la faccia, accordandosi alla fine per una ventina di monete.
Nel frattempo, a poppa, Gimble minaccia Grolac di confessare tutto ciò che sa di sua sorella entro un giorno o la pagherà cara. Il nano non pare in realtà molto spaventato dalle intimidazioni dello gnomo. Sa di avere il coltello dalla parte del manico, sa che la sua morte significa il suo silenzio sulla sorte di Bleena, per sempre. E il nervosismo di Gimble da forza a questa sua consapevolezza.

Sono passate poche ore quando un mozzo comunica ai nostri eroi che il capitano li vuole vedere.
Black Bart si fa trovare in una piccola sezione della stiva sottocoperta. Fuma una pipa, con fare riflessivo, ad ampie boccate, emettendo abbondanti volute di fumo.
"Come siete finiti in quelle prigioni" chiede senza preamboli.
"Eravamo sulle tracce del traffico di cui sei fatto partecipe" risponde freddamente Juan. "Ci ha catturati uno dei tuoi complici delle Lacrime Rosse a Puerto, Henox, assieme ad un negromante."
"Complice?" chiede con un mezzo sorriso Bart. Un'espressione che Juan comprende al volo.
"Tu *non sai* come vengono presi gli schiavi..."
"Non mi interesso né della loro provenienza, né del loro destino... ma visto che ormai ci siamo, sono curioso..."
Gimble si fa carico di riassumere per il pirata. Del resto non c'è motivo di nascondergli qualcosa di cui fa parte; anzi, lo gnomo spera di poter cavar fuori qualche informazione utile da questa discussione.
Senza risparmiare commenti feroci sul ruolo di Grolac, Gimble spiega come per mezzo della malattia fasulla inoculata da Zaranzargûl gli schiavi vengano finti morti, imbarcati sulla Verconnes e trasferiti a Isla del Quitrin con la complicità di Carnegie, che probabilmente in questo traffico ha la sua buona fetta di guadagni. In questo modo la Verconnes, che batte bandiera di Arx e risulta carica di casse di minerali e manufatti in metallo, va e viene "pulita" e indisturbata da Puerto del Principe.
"E qui entriamo in gioco noi, a fare il lavoro sporco" conclude Black Bart, emettendo una grande nuvola grigia. "Sospettavo che Manuel avesse stretto accordi con le Lacrime Rosse, ma non ne avevo certezza."
"Vi siete lasciati trascinare in tutto questo..." sussurra Juan con disprezzo.
"Suvvia Juan, non siamo dei santi, questo lo si sapeva già! La tratta non è certamente qualcosa che mi rende orgoglioso, ma l'oro è oro, e in questo momento per Madera è importante conquistare terreno rispetto al covo di Valparaiso. E' un'attività rischiosa, soprattutto ora che Salamanca - terminata l'emergenza a Pinàr del Rio - è tornata con tutte le sue forze a contrastare la pirateria. Ma è anche un'attività che porta fiumi di denaro nelle tasche di Hidalgo. Quelli di Bakaresh, chiunque essi siano e qualunque cosa facciano degli schiavi, pagano molto, ma molto bene."
Black Bart inspira un'altra boccata, soffiandola poi fuori dalle narici.
"E poi c'è il tabacco. Merce rara e ambita sulla terraferma, che a Bakaresh pagano profumatamente. Ci posso fare una cresta mostruosa. E a dire la verità ci siete anche voi. Appena si saprà della vostra fuga, chissà quanto varranno le vostre teste per le Lacrime Rosse..."
Lo sguardo del pirata si sposta sul figlio. Il messaggio è chiaramente rivolto a lui: "Ho avuto una gran soffiata. Tra un paio di giorni incroceremo la rotta di un mercantile di Salamanca di ritorno dalle piantagioni di Darien, a cui sottrarre il prezioso carico prima di fare rotta verso il continente."
I due si guardano in silenzio, ma il resto è ben chiaro per il giovane coloviano: se sei dei nostri, bene. Se invece non sei d'accordo, fai in modo che i tuoi amici non interferiscano.

domenica 27 novembre 2011

266 - JUAN E' MORTO QUEL GIORNO

"Non ci raggiungeranno più, prima che ci capiscano qualcosa saremo a bordo della Sable Drake" afferma sicuro Black Bart, osservando le scialuppe con gli uomini di Carnegie che si avvicinano al pontile. Il pirata si porta una mano alla barba, pensieroso. Poi inizia a raccontare dei tempi passati, senza che nessuno glielo abbia chiesto, come se Juan non fosse lì a sentire; racconta del figlio come la sua più grande delusione a causa delle sue scarse inclinazioni verso la vita piratesca.
Dalle parole di Black Bart emerge come la poca virilità di Juan sembra alla base dei dissapori con il padre, anche se l'astio più palpabile è tra Juan e i fratelli, in particolare Luis, che non perde occasione per punzecchiarlo.
"Ricordo ancora come se fosse ieri quella volta che dopo mesi di scorrerie ci prendemmo un periodo di vacanza. E lui, invece di sollazzarsi tra alcol e donne... sapete dove lo trovai, sapete dove lo trovai..." ripete mettendosi una mano di fronte agli occhi per la vergogna. "Impiegato come apprendista nella bottega di un sarto! Santi numi! Mio figlio che con ago e filo rammendava come una vecchia matrona! Mi costrinse a riportarlo a bordo a calci nel culo..."
"Che mestiere da frocio!" rincara la dose Luìs, ricambiato da un'occhiata di Juan che non presuppone nulla di buono.
"In effetti non ricordo di averlo mai visto con una femmina..." bisbiglia Hearst a Rune, facendo sorrisetto ironico dando di gomito.
"Beh, signor Bart" interviene Gimble, "vi posso garantire che il vostro figliolo non è più il rammollito di un tempo. E' uscito da Isla del Quitrin, è scampato alle grinfie di Carnegie, ma non solo. Saprete di certo della morte di Kade delle Lacrime Rosse a Salamanca: è stato vostro figlio..."
Gimble sa di prendersi un rischio. Rivelare al pirata un'informazione come questa considerando il suo coinvolgimento con la tratta degli schiavi è pericoloso, ma potrebbe anche rivelarsi un passpartout per scoprire qualcosa su sua sorella.
Per un istante un lampo di ammirazione corre negli occhi di Black Bart. La Sable Drake è oramai vicinissima.
"Non perdiamo altro tempo in ciance... saliamo sul ponte."

Il ponte della Sable Drake è in pieno fermento; tutti, dall'ultimo mozzo al timoniere, si danno da fare per prepararsi a salpare.
Black Bart mette le mani ai fianchi, e col petto in fuori parla agli avventurieri con voce tonante: "Benvenuti a bordo... si fa per dire. Al momento ho deciso di darvi un passaggio per tirarvi fuori dalle grane, ma ovviamente la regola è che un pirata non fa niente per niente..." e nell'affermarlo, il suo sguardo lungo cade sullo scettro di Carnegie al fianco di Isabel.
Juan interviene seccamente: "Scordatelo! Adesso basta! Basta con i racconti, basta con le frecciatine di Luìs, basta! Non avrai quello scettro..."
"Conosci le regole Juan...!"
"Certo che le conosco. Ti pagheremo una cifra ragionevole, fino all'ultima moneta." Juan si avvicina al padre guardandolo dritto negli occhi. Ogni timore nel coloviano sembra svanito. Black Bart lo sovrasta con la sua stazza, i loro volti si trovano a pochi centimetri. "Buttandomi a mare, tu hai rinunciato ad uno dei tuoi tre figli. Ricordalo bene e comportati di conseguenza: io non sono più tuo figlio!"
Per alcuni secondi i due si fissano senza che nessuno dica nulla.
"Hai ragione. Juan è morto quel giorno."
Bart si gira, camminando a grandi passi verso prua, verso la cabina del capitano: "Datevi una mossa scansafatiche! Si parte! Si parte!"
I tacchi dei suoi stivali schioccano sul legno delle assi del ponte. Poi dà un calcio ad un barilotto d'acqua d'intralcio, apre la porta e si ritira nella sua stanza.

giovedì 17 novembre 2011

265 - PIRATI!

"Levatevi di torno!" sbraita Black Bart imbestialito, praticamente ignorando la ferita alla spalla. Tra lui e Juan, le guardie confuse non sanno che pesci pigliare. Il pirata e i suoi figli le spintonano verso gli avventurieri, volano gli insulti, cercano di reagire e non finire a mare. Hearst non si fa alcuno scrupolo a rifilare loro un paio di sganassoni, col risultato che sul pontile si scatena quella che sembra una delle peggiori risse da taverna.
Juan sguscia fuori dalla mischia mantenendosi alla distanza dal padre, superato pochi istanti dopo dalle guardie malconce che se la danno a gambe maledicendo il nome di Black Bart.
Nella zuffa i nostri eroi ostacolano il pirata e i suoi figli, creando una barriera umana tra questi ultimi e il loro compagno.
Gimble urla evitando pedate, sputi e insulti, frapponendosi tra i litiganti nel tentativo di ristabilire la calma: "Fermatevi! Fermatevi! Dio solo sa da quanto siamo imprigionati su quest'isola e non ci giocheremo tutte le nostre possibilità di fuga in una dannata faida familiare!"
"Te la risolvo io la faida familiare tappo, lascia che gli metta le mani addosso..." grida Luìs, osteggiato da Rune.
"Sì, sì vieni! Ti faccio secco!" ribatte spavaldo Juan, agitando le braccia.
"No... davvero, signor Luìs" continua diplomaticamente Gimble, cercando di non perdere l'equilibrio per le continue spintonate tra energumeni, "Juan ora parla così perché la prigionia l'ha reso molto nervoso, sa... i sotterranei, il buio, lo sporco... a di certo non pensa ciò che dice!"
"Vaffanculo nanerottolo, piantala con le ciarlerie e levati di torno! Arrivo fratellino, ti accontento subito! Diego, andiamo! Facciamola finita una volta per tutte!"
"BASTA!"
La voce baritonale di Black Bart tuona su tutti. Il pirata esaurito l'istante di furia sembra aver riacquistato calma e fermezza.
Luìs e Diego si voltano stupiti: "Ma... padre!"
"Ho detto basta, Luìs! Non discutere!" lo sguardo di Black Bart fulmina il figlio maggiore, spostandosi poi severo su Juan. "Ti sbatto giù dalla mia nave pappamolla e ora ti ritrovo in fuga da Isla del Quitrin... quantomeno in questo il mio sangue non mente, anche se non cancella l'offesa che ho subito."
Juan prova a ribattere, ma una smorfia di Black Bart gli strozza le parole in gola. Per un istante suo padre è solo suo padre, il suo viso è il viso severo ma rassicurante che vedeva da bambino.
"C'è poco tempo signor Bartholomew" bisbiglia timidamente Gimble. "Abbiamo le guardie alle calcagna, cosa ne dice se continuiamo questa discussione con la dovuta calma sul vostro galeone?"
Il pirata annuisce, Luìs sgrana gli occhi incredulo, ma non accenna a protestare.
Senza indugiare oltre, pirati e avventurieri salgono sulla scialuppa. Resta solo Juan, da solo sul molo. Gimble gli fa cenno di sì, con la testa. Senza parlare, il coloviano siede in fondo, lontano dai fratelli, abbassa lo sguardo e fissa il mare.
Diego rema energicamente solcando le onde, incrociando a metà strada le barche con le guardie del Duca di ritorno dalla nave. I soldati guardano incuriositi l'ultimo carico di schiavi, ma nessuno realizza quello che sta accadendo, o ciò che è avvenuto sulla spiaggia.
Già, schiavi. Gimble è certo di pensare quello che pensano tutti i suoi compagni mentre tutti i pezzi del mosaico si compongono nella sua mente: Black Bart è coinvolto in questo terribile traffico. Ed il fatto che sia anche il padre di Juan non semplifica le cose.

giovedì 10 novembre 2011

264 - BLACK BART

"Lasciamo perdere, dobbiamo trovare un altro modo."
Juan si ritira dietro il portone gesticolando nervosamente.
Gilead lo guarda stupefatto: "Stai scherzando, vero? Quella nave è la nostra unica speranza di fuggire da quest'isola, e tu vuoi *fare diversamente*?"
"No-no-no, forse non hai capito, quella è gentaglia, meglio perderli che trovarli! Stanno caricando prigionieri su quella nave! Avete visto il vessillo che batte sul pennone? Conviene trovare un'altra soluzione..."
"Juan, sii serio! Dobbiamo rischiare, riuscire almeno a rimediare una scialuppa! Se perdiamo questa occasione siamo condannati!" insiste l'elfo.
Gimble si frega la barba osservando attentamente Juan. Sta per dire qualcosa quando Hearst interviene, suggerendo di usare le uniformi delle guardie addormentate - dopo aver dato loro una bella botta in testa che ne prolunghi il sonno - per fingersi armigeri di Carnegie in ritardo che scortano gli ultimi prigionieri.
"E secondo te abboccheranno?!?" Juan si sbraccia agitato.
"Hai idee migliori?" ringhia Hearst. "Per Dio, Juan, sei sempre stato un cacasotto, ma questa volta stai esagerando! Vuoi spiegarci cosa non va?"
"Hearst, ogni tanto fai salire del sangue anche al cervello! Sono pirati! P-i-r-a-t-i! E io... io... sono un mercante!"
"Vai a quel paese Juan! Non vedo altre via d'uscita. Se vuoi resta qua."
Gimble interviene a sostegno dell'idea di Hearst: "Non abbiamo altre vie di fuga Juan, lo sai anche tu. Per quanto scalcagnata sia quest'idea, ci darà per lo meno il tempo di avvicinarci e coglierli di sorpresa."

Il volto barbuto del pirata più anziano si rabbuia di colpo in un'espressione interrogativa, anticipando di un solo istante la medesima smorfia sulle facce dei pirati più giovani al suo fianco. Gli uomini di Carnegie con loro sul pontile si voltano per capire cosa abbia provocato quell'insolita reazione nei loro interlocutori.
"Beh, che c'è?" domanda Hearst dissimulando sicurezza e mettendo ben in mostra l'insegna di Isla del Quitrin tessuta sulla sopravveste dell'armatura. "Questi sono gli ultimi, c'è ancora una scialuppa."
Le guardie si scambiano un'occhiata, e la loro espressione muta rapidamente da perplessa a incredula: "Non ne erano previsti altri."
"E che diavolo vi sembrano?! Visitatori?" brontola con fare scocciato Hearst, mostrano con un cenno i compagni. Juan tiene la testa bassa.
Senza dire altro gli uomini di Carnegie portano le mani all'elsa della spada appesa al fianco.
"Lasciate perdere."
Il pirata con la barba posa una mano sulla spalla di ognuno, come si fa coi vecchi amici. Li sovrasta entrambi di almeno una spanna con la sua mole possente, il tono della sua voce baritonale nasconde sotto un'apparente tranquillità una velata minaccia.
"Ma... signor Bart-" protesta timidamente uno dei due, con espressione confusa sul volto.
"Sssh-sssh-sssh!" il vecchio pirata batte una mano sulla spalla del soldato. "E' molto che non ci vediamo, vero?"
Il messaggio, seppur impersonale, è inequivocabilmente rivolto a Juan, che non solleva nemmeno per un istante il volto, gli occhi riparati dietro i ricci che gli ricadono sulla fronte. I due pirati più giovani sghignazzano divertiti, scambiandosi sguardi d'intesa.
"Vaffanculo, che cazzo avete da ridere?" sibila feroce il coloviano. "Che ci fate qui?"
"Ehilà! Che modi Juan!" esclama il pirata barbuto, stringendo le spalle delle guardie sempre più allibite. "Non mi dire che hai ritrovato le palle in questi anni!"
"Juan, chi sono?" chiede sottovoce Rune.
"E poi, che maniere! Non mi presenti i tuoi nuovi amici!" continua con fare teatrale il pirata.
Gimble coglie la palla al balzo e fa un mezzo inchino: "Mi presento lor signori, io sono Gimble Scheppen, e mi pare che voi conosciate il mio compare Juan. Beh, mi permetto di intervenire in quanto messere Juan lavora per me da alcuni mesi-"
"Ah ah ah! Quel buono a nulla lavora per te piccoletto?!?" sbraita il pirata ridendo sguaiatamente.
Gimble mantiene la calma, i giri di parole con questa gente non servono a nulla. Meglio andare diretti al punto: "Sì signore, ma di grazia, voi chi siete?"
"Chi sono io? Ah ah ah! Chi sono io?" chiede ridendo il barbuto, sputazzando in faccia alle due guardie. "Corpo di mille balene! Sono Black Bart, non riconosci il mio vessillo? E questi sono i miei figli Diego, Luìs... e Juan!"
Gimble segue sbalordito il dito del pirata che indica proprio il suo compagno di viaggio. Lo gnomo conosce benissimo la fama di quel nome: Bartholomew "Black Bart" Roberts, uno dei più pericolosi e spietati pirati del covo di Madeira di Manuel Hidalgo!
Gli avventurieri guardano Juan a bocca aperta.
"Porca troia..." commenta sorpreso Hearst.
"Mercante e marinaio, dice lui..." continua Rune.
"Ora si spiega la praticità con le serrature..." realizza Gilead.
Juan non spiaccica una sola parola, le guardie danno l'impressione di non capirci più nulla.
Dopo alcuni istanti di silenzio, il giovane pirata alla sinistra di Black Bart interviene a spezzare lo stallo imbarazzato: "Quindi fratellino, non hai nemmeno raccontato ai tuoi amici chi sei! Il solito vigliacco!"
"Crepa Luìs! Nemmeno tu sei cambiato, sei la solita merda. Che diavolo ci fate qua..."
"Che diavolo ci fai tu, Juan!" sbotta Black Bart rosso in viso. "Ti sbatto giù dalla mia nave, ti spero morto e sepolto o quantomeno lontano dal Mar delle Colovie, e quando dopo anni finalmente mi convinco che non rivedrò mai più la tua faccia da imbecille, ecco che spunti dal buco del culo della prigione peggiore di tutte le isole!"
Gimble allarga le braccia mimando di frapporsi tra padre e figlio: "Suvvia, suvvia! Siate ragionevoli! Juan, è tuo padre, non vi vedete da molto. E voi, signor Bart, ancora a rivangare quella vecchia storia per cui ha fatto camminare Juan sulla passerella! Capisco che c'entri vostra moglie... ma ormai è acqua passata, e queste faccende vanno affrontate da persone adulte..."
Diego e Luìs si guardano, poi sghignazzano alle parole dello gnomo. Black Bart aggrotta le sopracciglia, sembra non capire. Poi sgrana gli occhi e realizza: "Mia moglie? Sua madre?!? Voi, voi... ma allora non sapete *nulla*!!!"
Juan è un fulmine, e un istante dopo un grosso coltello da cucina fende l'aria e si pianta nella spalla del vecchio pirata strappandogli un grugnito di dolore. Black Bart estrae con rabbia la lama dalla ferita, quindi afferra la sua enorme sciabola, imitato dai figli: "Questa me la paghi!!!"

venerdì 4 novembre 2011

263 - ATTERRAGGIO D'EMERGENZA

Juan afferra a piene mani una delle zampe posteriori del grifone, ondeggiando paurosamente mentre l'animale si libra nel vuoto lanciando acuti stridii.
Gilead agisce sulle briglie per controllarlo, ma la sua scarsa conoscenza di queste creature e il peso insostenibile rendono il volo problematico fin da subito.
"Fallo planare!" urla Gimble all'elfo.
"E' quello che sto cercando di fare!!!"
Gilead tira le briglie, il grifone spiega le ali per rallentare la discesa. Due dardi di balestra provenienti dal torrione sibilano poco distanti.
La bestia, spaventata, vira bruscamente. Per Gilead è un attimo perdere il controllo: qualunque comando impartisca, il grifone lo ignora tentando istintivamente di riprendere quota agitando con violenza le ali.
Isabel perde la presa rischiando di essere sbalzata, Hearst l'afferra in extremis prima che cada. "Non lasciarmi!!!" urla la chierica col terrore negli occhi.
"Gilead!!!"
"E' fuori controllo!!!"
Il vento e la velocità fanno lacrimare gli occhi. Il verde della foresta sottostante si avvicina rapidamente, troppo rapidamente. Gilead tira le briglie tentando disperatamente di rendere più dolce l'atterraggio, l'animale sbatte le ali, rallenta, poi è un turbinio di foglie, rami, polvere, urla.

Rune si rialza in piedi, ricacciando il senso di vertigine che lo assale per un istante. Si guarda attorno cercando i propri compagni alla luce del sole che filtra attraverso la vegetazione spezzata dal loro atterraggio. La sua agilità lo ha favorito molto al momento dell'impatto, attutendo la caduta. Anche Juan si riprende a pochi passi di distanza, riappropriandosi per prima cosa del suo nuovo corpetto di cuoio.
Il grifone si dibatte ferito alcuni metri più avanti.
"State bene?" chiede il monaco.
Alle risposte affermative di Gimble e Grolac, si contrappone il passo provato di Gilead che esce dalla vegetazione tenendosi una mano sul costato dolorante.
L'elfo balbetta faticosamente il nome di Isabel, facendo cenno ai compagni in direzione del grifone, dietro il quale si sta rialzando Hearst.
Il lamento della chierica con una gamba schiacciata sotto il peso della bestia si fa sempre più insistente. Hearst spinge il corpo dell'animale, spostandolo quel che basta per permettere a Rune di tirare fuori Isabel.
La sacerdotessa caccia un urlo di dolore. "E' una brutta lacerazione, ma non è rotta" afferma il monaco ad un esame attento.
Stringendo i denti, Isabel pone le mani sulla ferita ed invocando il potere di Erevos la rimargina. Quindi si rialza in piedi, non senza un'ulteriore smorfia di dolore.
"Manca poco" Gimble esorta i compagni doloranti e sfiniti. "Non possiamo mollare ora, non dobbiamo perdere tempo, ce li abbiamo alle calcagna. Non dovremmo essere lontani dalle mura perimetrali dell'isola, e dal torrione si vedeva un pontile in questa direzione, e se la vista non m'ha ingannato, anche una nave!"
La concreta possibilità fuga ormai a portata di mano risveglia nei nostri eroi energie inaspettate. Circospetti ma rapidi si muovono nel fitto intrico di vegetazione dell'isola dei deportati, fino a raggiungere una delle torrette di guardia che intervallano le palizzate a ridosso della spiaggia.
Il portone alla base del bastione di legno è inaspettatamente aperto. Attraverso di esso si scorge l'arenile, e si vedono delle scialuppe prendere il largo cariche di prigionieri.
"Prigionieri che vengono portati via?" si domanda sorpreso Gimble. "Pensavo che arrivassero soltanto..."
"Evidentemente no, ma da qui non si vede un fico secco, dobbiamo superare il portone" risponde Juan, preparandosi a sgusciare come un gatto.
Rune lo ferma: "Aspetta! Ci sono delle guardie!"
Il dito del monaco indica due individui armati uno in fianco all'altro che osservano ciò che accade sulla spiaggia, volgendo le spalle agli avventurieri, quasi invisibili all'ombra delle palizzate a causa della luce accecante del giorno.
"E' l'ultimo" Gimble bisbiglia una filastrocca e i due si accasciano al suolo addormentati dall'incantesimo di sonno.
Juan è il primo a scattare, agile e silenzioso precede i compagni al portone e si affaccia.
In fondo alla spiaggia, alcuni uomini del Duca stanno parlando con tre individui in prossimità di un pontile, a cui rimane attraccata solo la scialuppa di questi ultimi, mentre le altre barche hanno raggiunto un imponente galeone ancorato al largo.
Lo sguardo di Juan si sofferma sull'inequivocabile bandiera nera della nave, poi torna sui tre del molo, poi sulla nave, e ancora al molo. Contemporaneamente il suo colorito si fa sempre più pallido.
Rune gli scuote una spalla: "Va tutto bene, Juan?"

martedì 1 novembre 2011

262 - SALTO NEL VUOTO

"Stai calmo... stai calmo!" sibila Gilead a denti stretti.
Il grifone del Duca non sembra volerne sapere dopo la morte del suo custode, agita vigorosamente le ali, s'impenna lanciando acuti stridii, rendendo impossibile qualunque tentativo di avvicinarlo. Solo il legaccio fissato al pavimento gli impedisce di volare via.
Devo concentrarmi, renderlo placido, pensa l'elfo spostandosi con fare tranquillo, lento, rassicurante. Gilead sa di dover mettere in atto una serie di movimenti, di suoni, di comportamenti atti a stabilire con la bestia un legame empatico, a rompere quel muro di diffidenza tra lui e l'animale. Deve parlare il linguaggio della natura, quel linguaggio universale insegnatogli molti anni fa dalla sua gente nelle fredde foreste del nord.
Il grifone tende il collo, fissa il ranger col suo occhio sinistro. Gilead sostiene lo sguardo, si avvicina, tende le mani, rassicurante, ma allo stesso tempo dominatore.
"Per Dio elfo! Vuoi discutere con lui davanti a un bicchiere di caonabo?!? Muoviti! Qui continuano ad arrivare, non li terremo a bada per sempre!"
Le imprecazioni di Hearst spezzano per un istante la concentrazione di Gilead, facendo sì che il cozzare delle spade gli ricordi della battaglia che infuria tra i compagni e gli armigeri di Carnegie che tentano di salire le scale.
Senza rispondere alle provocazioni del guerriero, Gilead riprende le sua opera. Sa che deve fare in fretta, ma in queste occasioni la fretta porta solo al fallimento. La fiducia della creatura deve essere conquistata senza passi falsi.
"Gilead! Sbrigati! Sono troppi! E... Juan, cazzo, lascia perdere la corazza del custode!" sbraita nuovamente Hearst, ormai ricoperto di sangue da testa a piedi, cercando di richiamare il coloviano in proprio aiuto. Coloviano che invece non sembra minimamente intenzionato a mollare il bottino della ricca armatura del mezzelfo, e armeggia tra fibbie e lacci come un forsennato per levare il corpetto di cuoio al suo defunto proprietario.
"Ci siamo!" esulta improvvisamente Gilead, balzando sul dorso dell'animale e afferrando le briglie. Rune si affretta a sciogliere le corde che legano la zampa posteriore al pavimento, l'elfo aiuta Gimble e Grolac a salire, poi Isabel. Sono già in troppi.
Hearst spinge le guardie davanti a lui giù dalle scale, guadagnando qualche secondo, si volta e corre verso il grifone che Gilead sta già spronando. La bestia sovraccarica è chiaramente restia a lanciarsi nel vuoto, e il peso del guerriero non facilita il compito.
Dai, dai, dai! Avanti!
Rune si aggrappa ai finimenti.
"Juan!!! Muoviti!!!"
Il grifone muove passi decisi e sbatte le ali, coprendo le urla dei compagni, impedendo alle guardie di avvicinarsi.
Non posso mollarlo qui... Juan taglia l'ultima fibbia e sfila il corpetto. Oh... merda!
Corre come non ha mai corso, inseguendo la cavalcatura verso l'ampia arcata sul nulla, il corpetto infilato all'avambraccio attraverso lo spazio per il capo.
Lo stridio del grifone riempie l'aria mentre si leva in volo.
Il piede di Juan poggia sull'ultima pietra prima del vuoto. E salta.

mercoledì 26 ottobre 2011

261 - SCRUPOLI DIMENTICATI

Rune evita di un soffio una delle lame del mezzelfo che gli sibila un'unghia sopra i capelli, rispondendo con una spazzata rapida. Tuttavia, anche il suo avversario fa dell'agilità la sua forza, e con un balzo indietreggia evitando il colpo alle gambe del monaco.
Rune non demorde, usa l'inerzia della spazzata per ruotare su sé stesso e sferrare una primo calcio a media altezza, quindi un secondo al volto. Il mezzelfo arretra verso il grifone roteando le lame, Rune risponde con gioco di gambe, innescando un fulmineo balletto di morte. Ad un tratto però, la bestia metà aquila metà leone stride infastidita, sbattendo le ali per scacciare l'intruso. Il monaco balza di lato, toglie per un istante gli occhi dal nemico, si distrae. Una lama luccica dietro le piume dell'ala che si alza, in un attimo sente il metallo scorrergli sulla pelle del braccio levato d'istinto per difendersi.
Due balzi all'indietro, e il sangue che cola caldo fino alle dita. Non ci voleva un'altra ferita, sia lui che i compagni sono allo stremo.
Già, i compagni...
Lo scudo di una guardia colpisce violentemente Gilead. Il contraccolpo della carica costringe l'elfo a indietreggiare cercando di mantenere l'equilibrio, ma il baratro è proprio alle sue spalle. Ruota le braccia, con un colpo di reni evita di precipitare, ma l'avversario sghignazza pregustando una facile vittoria, mentre si prepara a una seconda, decisiva spinta.
Juan, in aiuto a Hearst nell'impedire alle guardie provenienti da sotto di salire sul pianerottolo, se ne avvede. Nonostante la stanchezza e le ferite, il coloviano balza come un gatto alle spalle del soldato del Duca, infilzandogli un coltellaccio da cucina nella nuca, sotto l'elmo. Non si accorge nemmeno di morire, con il ghigno di vittoria stampato sul volto mentre cade a terra senza vita.
Juan fa una smorfia, Gilead lo guarda senza dire una parola: "Mi devi la pelle, elfo. Ricordalo."
Dall'altro lato, Isabel tiene a bada il secondo uomo di Carnegie, difendendosi alla meglio con l'unica arma a sua disposizione, lo scettro del Duca. Lo sgherro mena fendenti ed elargisce epiteti poco gentili nei confronti della sacerdotessa con il medesimo impegno, sbavando come un cane rabbioso. Un paio di colpi vanno a segno, provocando ferite lievi. Le urla compiaciute del marrano coprono le rime bisbigliate di Gimble.
"Ahahah!!! Dannata puttana! Tra poco ti farò---"
Il volto rabbioso dell'uomo assume per un istante un'espressione frastornata. Pochi secondi in cui abbassa la guardia, in cui Gimble osserva soddisfatto l'effetto del suo incantesimo, in cui Isabel solleva il pesante scettro metallico e lo cala senza pietà sulla sua fronte, stampando per sempre quell'espressione beota sul suo viso, mentre cade a terra senza vita.
"Insolitamente efficace per essere solamente uno scettro" commenta soddisfatta Isabel.

Nonostante le continue imprecazioni di Hearst di fare in fretta, Rune aspetta. Con il supporto delle incursioni di Juan e Gilead, ormai liberatisi dei propri avversari, il mezzelfo guardiano ha i minuti contati. Il grifone è imbizzarrito, risponde a fatica persino ai comandi del suo addestratore. Presto dovrà allontanarsi dalla bestia se non riesce a calmarla, lo sbattere d'ali diventerà troppo pericoloso anche per lui, e allora non basterà la sua spada a due lame.
Il mezzelfo sibila comandi secchi e nervosi, che non ottengono nessun effetto. Suda, paonazzo in viso per la rabbia, gli occhi corrono come schegge, pieni di paura, in cerca di una via d'uscita che non c'è.
Alla fine, come previsto, il custode tenta un attacco disperato su Rune. Il monaco incassa, ma in un batter d'occhio Gilead e Juan gli sono addosso coi coltelli, lo colpiscono alle braccia, alla gola, in faccia, con la forza della disperazione, ignorando le sue grida strazianti per una fine orribile, senza scrupoli. Scrupoli dimenticati molti metri sottoterra.

venerdì 21 ottobre 2011

260 - IL GRIFONE

Lo slancio con cui Hearst arriva nel torrione fa fischiare il cuoio degli stivali mentre frena la sua corsa. Si sentono i passi di due guardie che salgono rapide le scale che provengono dai piani inferiori.
Quando la prima fa capolino nella stanza non ha nemmeno il tempo di accorgersi del suo destino: la mannaia del guerriero trapassa l'elmo schiantandosi sul viso del malcapitato, tra mandibola e mascella, facendo schizzare sul pavimento denti e lingua. Il secondo avversario tenta un goffo affondo con la spada, ma evitato il colpo Hearst lo afferra per il bavero dell'armatura e lo trascina su approfittando del suo slancio, per finirlo poi con un colpo da macellaio alla nuca. Il tutto mentre i compagni, entrati a loro volta al riparo nella torre, impegnano le scale che conducono di sopra, al sottotetto.
Hearst slaccia rapido i lacci e le fibbie dell'armatura di scaglie di una delle sue vittime, se la infila alla meglio.
Urla e sferragliare di passi sulle scale indicano che altri scherani del Duca stanno arrivando dal cortile.
"Lascia perdere!" urla Juan al guerriero. "Ne arrivano altri!"
Hearst raccoglie una spada e scatta sugli scalini, risalendoli due alla volta.

Rune e Gilead sono i primi a raggiungere la sommità. Il tetto della torre è sorretto da quattro grandi volte, una per lato; le ampie arcate senza parapetto si aprono sul vuoto, spazzate dal vento.
Il monaco non sa trattenere un ammirato stupore alla vista della maestosa bestia che si para loro davanti: un possente grifone, metà leone e metà aquila, si erge fiero al centro del pianerottolo, con la testa alta puntata verso un orizzonte lontano, sebbene vispi occhi da rapace sotto i pregiati finimenti esaminino attenti ogni movimento dell'ambiente circostante.
Tuttavia, due guardie e un mezzelfo vestito con un elaborato corpetto di cuoio abbellito da stoffe verde smeraldo e armato di spada a due lame si frappongono tra gli avventurieri e la loro potenziale salvezza.
Senza dire una parola il mezzelfo, presumibilmente custode e addestratore della creatura, comincia a roteare minaccioso e abile la sua arma. Rune lo studia muovendo qualche passo di lato, assumendo d'istinto la postura di combattimento della sua scuola.
Grolac bestemmia e sputa per terra, rivolgendosi a Gimble: "E secondo te quella bestiaccia ci porterà fuori di qui?!? Non ce la farà mai a portarci tutti quanti!"
Il grifone emette un lamento stridulo.
"Deve farcela!" risponde lo gnomo, in dubbio se credere alle sue stesse parole. "Ma prima dobbiamo sistemare questi bastardi!"

mercoledì 12 ottobre 2011

259 - I BASTIONI DEL PENITENZIARIO

L'ennesimo corridoio, le ennesime guardie che sbucano da ogni dove all'inseguimento, gli ennesimi dardi che sibilano prima che gli avventurieri trovino riparo dietro una svolta. Una grande arcata conduce nell'atrio di un torrione in cui una scala a chiocciola sale arrampicandosi lungo le pareti interne. Il cuoco non mentiva.
Mentre i compagni si affrettano verso l'unica via di fuga possibile, Rune si ferma di scatto. Nonostante la concitazione nota un grosso argano oltre l'entrata, le cui spesse funi sollevano attraverso un sistema di carrucole una pesante grata di ferro battuto.
Il monaco non esita un secondo, e incitando i compagni a proseguire, comincia a ruotare il meccanismo.
"Dannazione, è lento come la fame!"
Rune maledice il marchingegno di contrappesi che permette una discesa lenta della grata, mentre la prima delle guardie svolta l'angolo.
D'impeto Hearst torna indietro e sferra un poderoso colpo di mannaia su uno dei tiranti. La corda si svolge in un batter d'occhio, e un istante dopo le sbarre separano i nostri eroi dagli inseguitori.
Juan guarda ironico Hearst mentre salgono i gradini: "La solita delicatezza..."
"Funziona."

La scala termina nel sottotetto della torre, che si apre sui ballatoi delle mura merlate con due grandi arcate dotate di grata a saracinesca, tra loro perpendicolari . Il subbuglio, le urla degli uomini del Duca, sono per un attimo lontani. La luce del giorno filtra intensa, il cielo tropicale percorso da rare nuvole è di un azzurro abbagliate. La brezza marina riempie i polmoni, mischiandosi ai profumi della vegetazione.
"Finalmente fuori..." esulta Juan.
"No, non ancora. Dobbiamo trovare il bastione che conduce alle porte della fortezza" afferma Grolac, guardandosi attorno per orientarsi. "Se il cuoco diceva che per raggiungere l'uscita bisognava tornare alla sala da pranzo... di qua!"
Il nano si getta verso l'argano a ruota che comanda la grata, sollevandola. Davanti ai nostri eroi cinquanta metri di passerella lungo le mura portano ad una torre molto più grande dell'attuale, di diversi piani più alta. Vista l'assenza di soldati del Duca, il gruppo impegna senza esitazione l'attraversamento.
Dal lato sinistro i bastioni danno verso la foresta esterna, elevandosi almeno trenta piedi: un salto troppo rischioso. Da qui si vede tutta l'isola fino al mare, con le sue torrette e le palizzate perimetrali.
Dall'altro lato invece c'è il cortile della fortezza, in cui si stanno radunando arcieri, balestrieri e maghi. Il Duca sembra non voler risparmiare alcun mezzo per riprendere i fuggiaschi.
I nostri eroi sono circa a metà passerella quando alcune guardie sbucano dalla torre da cui provenivano: non c'è voluto molto perché sollevassero la grata. Le urla degli inseguitori attirano l'attenzione delle truppe nello spiazzo sottostante.
"Veloci! Veloci!"
Frecce, dardi, incantesimi saettano dappertutto. Raggi roventi e gelidi provocano dolorose ustioni, gli avventurieri stringono i denti, gli ultimi metri sembrano non finire mai. Di sotto pare di sentir tuonare la voce furibonda di Carnegie, ma non importa, l'unico obiettivo è raggiungere la torre maestra per ripararsi... o per restare nuovamente intrappolati... salire non porterà da nessuna parte, scendere vorrà dire affrontare l'esercito del Duca.
Gimble solleva istintivamente lo sguardo verso la sommità della torre, per scacciare i pensieri nefasti, come a implorare un aiuto divino. E' là che scorge la speranza. Non tutto è perduto.

domenica 9 ottobre 2011

258 - NEI MEANDRI DELLA FORTEZZA

Il lungo corridoio ornato da drappi porpora che s'intervallano alle fiaccole alle pareti termina bruscamente con un'arcata che si apre su uno stretto pianerottolo, il cui parapetto in stile coloniale contrasta nettamente con l'austerità degli interni della fortezza. Da entrambi i lati due distinte rampe di scale scendono nell'immensa sala da pranzo sottostante, lunga almeno quaranta cubiti. Un maestoso tavolo di legno massello - apparecchiato con stoviglie d'argento e imbellettato con fiori tropicali - e le sedie per i commensali riempiono gran parte dell'ambiente, illuminato da due grandi lampadari a candelabro in ferro battuto che pendono dal soffitto.
Diverse porte si affacciano alla sala, mentre dall'altro lato un pianerottolo simmetrico a quello di provenienza conduce chissà dove.
"Ci sono alle calcagna!" esclama Grolac, voltandosi per verificare la distanza dei loro inseguitori.
"Ne arrivano anche dalle porte di sotto!" afferma Gilead: il suo udito non lo inganna. L'elfo decide di perdere il meno tempo possibile. "Fate come me!"
Detto fatto balza dalla balaustra verso il primo dei lampadari, sufficientemente basso da essere raggiunto in salto. Tuttavia, la fretta è cattiva consigliera, l'elfo scivola e manca la presa, precipitando sulla tavola imbandita, riuscendo ad evitare una dolorosa caduta grazie ad un'agile capriola, ma non mancando di distruggere le stoviglie e di creare un gran trambusto.
"Idiota..." commenta Juan. "Come se non avessimo già abbastanza problemi... Hearst, Rune, Isabel! Datemi una mano, blocchiamo tutte le entrate laterali con sedie e credenze. Ormai mezza fortezza sa che siamo qui, dobbiamo rallentarli il più possibile!"
Gli avventurieri scendono nella sala da pranzo, seguono il consiglio di Juan bloccando alla meglio le porte laterali, ma dopo pochi secondi le guardie inseguitrici fanno capolino sulla balaustra. Una di loro, probabilmente un ufficiale, ordina ad alcuni dei suoi di avanzare, scomodando diversi Santi nell'atto di impartire il comando.
"Merda! Balestrieri!" urla Gimble. La sua voce si sovrappone allo schioccare dei meccanismi delle balestre. I dardi sibilano nella stanza, schiantandosi sulle sedie, sui vassoi che Gilead usa come riparo, sulle credenze spostate, sul parapetto coloniale dall'altro lato della stanza, mentre gli avventurieri cercano di guadagnare l'uscita opposta. Juan, Isabel e Grolac riportano ferite superficiali, ma stringono i denti, lanciandosi oltre l'arcata del pianerottolo.
Un ennesimo corridoio, dritto e lungo, li rende bersagli facili per i tiratori. Hearst, che guida la fuga, inchioda davanti alla prima porta che si apre sulla parete sinistra del passaggio, e grugnendo scarica tutto il suo peso sull'uscio. La porta si spalanca di schianto, rivelando un'ampia cucina nella quale un cuoco, per lo spavento, lancia sul soffitto le uova che aveva in mano.
Il pover'uomo prova a proferire parola, ma ogni suono gli si strozza in gola per la paura mentre gli avventurieri senza prestare attenzione alla sua presenza, fanno incetta di coltelli e mannaie.
Quando Juan si gli rivolge la parola, il cuoco trema come una foglia: "Dove porta quella? Porta fuori?" chiede minaccioso il coloviano, indicando una seconda uscita dalle cucine.
"N...no... va ad una delle torri... verso la sommità delle mura..." balbetta il malcapitato.
"Parla, razza di idiota! Non farmi perdere tempo! Come si esce da qua?" lo incalza Juan, sul punto di perdere la pazienza.
"Da... da qui bisogna tornare alla sala da pranzo, prendere la porta sulla destr..."
Juan spintona bruscamente il cuoco, che perde l'equilibrio e cade a terra. "Vaffanculo... indietro non si torna, troppe guardie..."
"Juan, stanno arrivando..." fa notare Hearst. Allo stesso tempo, indica il mastodontico pentolone di sbobba che bolle sul focolare al centro della cucina. Juan annuisce. Entrambi afferrano degli stracci.
I due fanno cenno ai compagni di andare avanti. Poi, quando lo sferragliare d'armature è prossimo all'entrata della cucina, servono il pasto caldo direttamente sulla pelle degli scherani di Carnegie. Le prime guardie investite in pieno urlano di dolore per le ustioni, ma la minestra untuosa che invade il corridoio è efficace anche sul resto degli inseguitori. Il susseguirsi di cadute e imprecazioni ne è testimonianza.

lunedì 3 ottobre 2011

257 - ALLARME!

Una svolta a sinistra. Una a destra, poi l'anonimo corridoio di pietra grigia che prosegue dinanzi a loro. Una scala scende attraverso un'arcata sulla destra, pochi metri avanti. Fiaccole alle pareti, che gli avventurieri sfilano dai supporti: saranno utili. Dietro, le urla del Duca si mischiano allo sferragliare delle armature delle guardie.
La luce di torce in avvicinamento illumina il fondo del corridoio. Hearst impreca. Altre guardie, una punta il dito contro di loro. "Eccoli!" la sua voce rimbomba dentro l'elmo metallico che gli copre quasi tutto il volto.
"Le scale!" grida prontamente Gimble, impegnando con i compagni una discesa rocambolesca, saltando due, tre gradini alla volta. La scala si avvolge su sé stessa in angoli retti, percorrendo la parete interna di un maschio a base quadrata senza aperture sull'esterno, gli avventurieri corrono a perdifiato, col fiatone e il battito che gli pulsa nelle orecchie. Poi la discesa s'arresta bruscamente.
All'improvviso da un angolo svoltano quattro armigeri. I loro volti esprimono sorpresa, ancora inconsapevoli dell'allarme, ma immediatamente sfoderano le spade, pronti a fronteggiare i fuggiaschi. Impossibile per gli avventurieri risalire: i passi metallici provenienti da sopra indicano inequivocabilmente che le guardie del Duca presto li coglieranno alle spalle. Hanno solo una manciata di secondi per aprirsi la via.
Gilead, in testa al gruppo si lancia disperatamente sul nemico più vicino, afferrandogli l'elsa della spada appena sfoderata prima che si metta in guardia. Forte della sorpresa, l'elfo piega i polsi dell'avversario, quindi fa una giravolta su sé stesso usando il proprio corpo per obbligare il nemico a mollare la presa sull'arma. Un'imprecisione nella mossa e il contatto con la lama gli aprono una ferita sul fianco, superficiale ma dolorosa. Gilead stringe i denti, e ormai padrone dell'arma completa la giravolta con maggiore slancio, lasciando che la spada affondi sotto l'ascella del suo avversario, che crolla a terra urlando di dolore.
Intanto i compagni, imitando il disperato tentativo dell'elfo si gettano di peso sulle altre guardie, cercando di spingerli giù dalle scale prima che prendano posizione. Le spade guizzano nella luce delle torce, aprendo dolorosi tagli nella pelle degli avventurieri prima che riescano ad avventarsi sui soldati, ma Rune e Hearst non demordono. I gradini scivolosi e le armature metalliche fanno il resto, e pochi attimi dopo i nemici stanno ruzzolando lungo le scale in un groviglio di ferraglia.
Nel frattempo Juan, attento alla retroguardia, sfrutta le zone di penombra per assalire il primo degli inseguitori ad arrivare fin lì - un tizio dai denti scheggiati in armatura leggera - nella speranza di dare ulteriore vantaggio ai compagni, ma la sorte non è dalla sua parte. Quasi fosse una premonizione, il nemico guarda inaspettatamente dalla parte del coloviano proprio mentre questi si appresta a spezzargli l'osso del collo. Con un movimento istintivo lo scagnozzo del Duca evita l'assalto di Juan, rispondendo di spada con un colpo impreciso ma sufficiente ad allontanare la minaccia.
Juan balza verso i compagni, superando le guardie in armatura aggrovigliate tra loro, mentre il soldato dai denti scheggiati si ferma ad aiutare, rinunciando ad una pericolosa rincorsa solitaria e chiamando a gran voce rinforzi.
Scale, scale e scale. Poi un corridoio, da che parte? Non importa. Di corsa, a perdifiato. Si sentono urla trambusto, clangore di armi e armature dappertutto. Tutta la fortezza è in sobbuglio, l'allarme è scattato.
Nessuno scappa da Isla del Quitrin.

giovedì 15 settembre 2011

256 - NON DEVONO FUGGIRE

Quando Gimble riapre gli occhi ha la vista offuscata. E' a terra, scuote la testa per riprendersi. Attorno a lui sente i compagni lamentarsi, mentre cercano di riaversi.
Nella stanza c'è un forte odore di carne bruciata. Con la mente ancora confusa, capisce di trovarsi nella sala del trono del Duca. Ci sono quadri alle pareti che raffigurano situazioni familiari e una misteriosa figura ammantata di nero riversa in un angolo, percorsa da brevi convulsioni elettriche.
Ma soprattutto, a poca distanza da lui, c'è Carnegie. Il Duca, riverso prono, si sta riavendo dalla strana deflagrazione magica che si è verificata quando si sono gettati nel fuoco della lente. Con la mano cerca a tastoni lo scettro rotolato a pochi passi da lui. Lo gnomo non ha esitazioni, scatta in piedi con un movimento brusco che gli provoca una sensazione di svenimento: deve impedire a Carnegie di prenderlo!
Gimble si butta di peso sulla schiena del Duca, bloccandogli le braccia con le gambe e afferrandogli la barba, quindi tira forte verso di sé. Carnegie sbava grugnendo per il dolore e la sorpresa, allungandosi il più possibile per raggiungere la sua arma, ma lo gnomo non molla la presa.
"Svegliatevi maledizione! Qualcuno prenda lo scettro!" urla Gimble, mentre i compagni si guardano attorno ancora confusi.
Juan, il primo a reagire, si tuffa sullo scettro, recuperandolo con una capriola. Il coloviano lo punta contro Carnegie: "Come diavolo funziona? Isabel! Isabel!"
Juan lancia lo scettro alla sacerdotessa, che tuttavia non sa a sua volta come attivarne i poteri.
"La smettete di giocare come degli idioti!" urla nervosamente Gimble. All'improvviso il Duca muove bruscamente il braccio provando ad afferrare un coltello nascosto legato cintola. Lo gnomo se ne avvede e reagisce prontamente, precedendo il suo avversario e scagliando d'istinto il pugnale lontano.
Il Duca approfitta comunque della distrazione dello gnomo, e nell'istante in cui la sua presa sotto il mento si fa più debole urla, chiamando le guardie con tuto il fiato che ha in corpo.
Hearst, che nel frattempo si è rialzato, incita Rune, Gilead e Grolac a dargli man forte per affrontare gli armigeri in arrivo, ma quando cerca la sua ascia non può far a meno di farsi sfuggire una sonora imprecazione. L'arma, come anche il resto degli oggetti trovati nel mondo dei dipinti illusori, è svanita nel nulla.
In pochi istanti una delle porte che danno sulla sala, a pochi passi dal corpo esanime percorso dall'elettricità, si spalanca, facendo entrare mezza dozzina di guardie armate fino ai denti. Il primo della fila, un soldato dal naso a patata schiacciato sotto l'elmo, punta la spada in direzione degli avventurieri ordinando di uccidere gli intrusi.
"Gimble! Lascialo perdere! Scappiamo! Di qua!" esclama Gilead, affrettandosi ad aprire l'altra grande porta a due ante che dà sulla stanza.
Lo gnomo non se lo fa ripetere due volte, e dopo aver mollato uno sganassone sulla nobile testa di Carnegie se la dà a gambe levate.
Il Duca si rialza fuori di sé, isterico, appena in tempo per veder sparire i fuggiaschi con il suo scettro oltre una svolta del corridoio fuori dalla sala.
"Non state lì impalati! Date l'allarme! Prendeteli! Prendeteli! Hanno il mio scettro! NON DEVONO FUGGIRE!"

domenica 11 settembre 2011

255 - QUINTO INTERLUDIO

Il dolore la paralizza, l'elettricità percorre il suo corpo dilatando il tempo.
Il suo atto di ribellione al Duca le sta costando caro. No. Forse costerà molto più caro al suo carceriere.
Il suo sguardo corre sulle tele, sui quadri appesi alla parete che raffigurano le illusioni in cui Carnegie teneva imprigionati coloro che attivavano il Cubo. Sono la sua arte, creazioni di cui lei è stata l'artefice, schiava e carnefice allo stesso tempo. La sala dei banchetti, quella dei gargoyle, il pozzo degli uncini, la notte del faro. Illusioni da lei dipinte su ordine del mostro che la sta uccidendo, nate per il suo divertimento. Immagini estratte tessendo i colori dei cristalli, dei semplici quadri per l'osservatore, dei veri e propri mondi per chi ne era imprigionato. Ogni quadro era un'invalicabile finestra tra le due realtà, usata dal Duca per osservare le sue vittime, per godere delle loro sofferenza, per piegarne gli animi con le sue meschine apparizioni.
Curvare le due realtà, intersecarle anche per un solo istante era l'unico modo per aprire un varco, una via di fuga. Ecco perché aveva creato la lente. Carnegie non sospettava l'utilizzo che ne poteva essere fatto, per sovrapporre la realtà e l'illusione.
La pelle brucia, l'elettricità la sta divorando. Lei, la Pittrice dei Cristalli, sta morendo, imprigionata nel cerchio magico che la vincola da troppo tempo al servizio del Duca.
Lo odia, l'ha sempre odiato. Ma non lo ammira più, ha visto il suo terrore. Sa di aver agito nel giusto aiutando i prigionieri, aiutandoli a ritrovare la libertà.
In un certo senso, anche lei ora è libera.

giovedì 8 settembre 2011

254 - RIFLESSI DI ILLUSIONE E REALTA'

I nostri eroi si scambiano sguardi avviliti, lasciandosi cadere esausti sul pavimento, le spalle appoggiate al parapetto. L'incessante farfugliare di sotto segna l'inarrestabile avanzata dei gibberling, che nella loro scalata rendono la parete del faro una massa scura informe, come un'escrecenza carnosa che ributta dalla pietra.
Il silenzio, gli occhi bassi: parole inespresse di un pensiero comune, della consapevolezza che non c'è più nulla da fare. E la scelta offerta dal Duca, se morire dilaniati dagli artigli delle bestie o nell'abbraccio delle acque scure del mare, scegliendo il proprio destino anche alla fine.
Il pensiero percorre tutti. C'è dignità nello scegliere la morte? Ma che dignità è quella di un suicidio? Perché... perché è così difficile morire, lasciarsi andare, anche quando ormai tutto è segnato?
L'olio va lentamente esaurendosi e dalla botola provengono rumori sempre più vicini e preoccupanti, mentre gli avventurieri attendono silenziosi, accucciati, incapaci di trovare una soluzione. Sebbene tutti siano scossi dal desiderio di farla finita nessuno parla, forse per orgoglio, forse per paura. Solo Grolac accenna a un lamento, ma lo sguardo truce di Gimble è un avvertimento: il suicidio non è il solo modo per finire in mare.
"Non è possibile..." Juan rigira distrattamente la pergamena con il messaggio tra le mani, quel piccolo frammento il cui contenuto sembrava dar loro una speranza, un aiuto, una via di fuga.
La realtà è il riflesso dell'illusione.
Juan alza gli occhi, incrociando lo sguardo di Gimble, la lente, il quadro del Duca. E se...
Lo gnomo corre a sedere vicino al coloviano, in fibrillazione, come se lo stesso pensiero li avesse folgorati allo stesso istante.
Gli bisbiglia nell'orecchio eccitato, attirando l'attenzione dei compagni.
Juan non capisce esattamente cosa intenda lo gnomo, ma probabilmente è ciò che immagina anche lui. Il quadro è la porta, la lente la loro chiave.
Il passaparola è rapido e in un batter d'occhio Hearst si fionda sulla grossa lente del faro. Resistendo al calore che gli scotta le mani, la divelge e la rimuove dai perni su cui è montata.
Il quadro di Carnegie si anima, il Duca li osserva con sguardo interrogativo.
Gli artigli grattano frenetici sulla botola.
Con l'aiuto dei compagni e grugnendo per lo sforzo, il guerriero posiziona la lente di fronte al quadro.
Accade tutto in pochi attimi.
Nel punto focale della superficie concava, il quadro si riflette prendendo profondità, come un ologramma sbiadito. Il volto del Duca passa dalla sorpresa, all'orrore, alla rabbia, si volta di scatto verso la figura fuori campo alle sue spalle.
Urla parole di fuoco coperte dagli strilli animaleschi della notte del faro, dal graffiare sul legno della botola: "Cancellalo! Distruggilo! Distruggilo immediatamente!!!"
Ma il suo comando rimane inascoltato mentre gli avventurieri scattano verso la proiezione, quel riflesso d'illusione che li condurrà alla realtà.
Il Duca impreca, punta il suo scettro verso la figura dietro di lui facendone scaturire un fulmine che elettrizza l'aria riempiendola del caratteristico odore agliaceo dell'ozono. Ma è troppo tardi.
Un bagliore fortissimo. Lo spazio si comprime, si dilata, tuona, esplode, spacca i timpani. Cadere, volare, sbattere.

domenica 4 settembre 2011

253 - LA FORZA DI MOLTI

Gli avventurieri si affrettano lungo le passerelle. Juan precede tutti, seguito da Rune, e via via tutti gli altri, con Gilead e Isabel che cercano di aiutare alla meglio i compagni più lenti, Gimble e Grolac.
L'uscio del faro scricchiola pericolosamente sotto il continuo picchiare e graffiare di decine di artigli. Tutti sanno che non resisterà, non a lungo.
Lo schianto metallico del chiavistello che cede, tuttavia, giunge prima di quanto si aspettassero, seguito dallo strisciare del tavolo sul pavimento, spostato dalla spinta dei gibberling. Gimble si ferma per un istante, fissando inorridito la massa di creature che si riversa nell'atrio della torre come in preda a una frenesia inarrestabile. I primi ad entrare vengono calpestati, schiacciati dalla calca.
Lo gnomo sa di doverli rallentare, di dover guadagnare quel poco di tempo per raggiungere la botola e sigillarsi sulla sommità del faro. Facendo ricorso alle sue capacità magiche, Gimble evoca un grosso ragno, che compare dal nulla con il solito sbuffo di vapori verdi.
Isabel richiama Gimble, sale le scale, continua la sua corsa, mentre l'aracnide sputa ragnatele vischiose lungo le passerelle. Diverse creature vi rimangono intrappolate, rallentando l'avanzata di colore che le seguono, ostruendo i passaggi verso le scale che conducono ai livelli successivi.
Gilead approfitta ulteriormente della situazione, scagliando la torcia accesa sui gibberling invischiati, trasformando il tutto in una trappola di fuoco in cui parecchi mostriciattoli vengono arsi vivi. Le fiamme si spengono soffocate dalla calca stessa, vanificando la speranza dell'elfo che attecchissero sul legno delle passerelle.
"Non perdete tempo! Salite!" urla Juan, che già sulla sommità incita i compagni sporgendo la testa dalla botola aperta.
E' una corsa contro il tempo, ma gli ostacoli piazzati da Gimble hanno garantito un buon vantaggio. Quando anche lo gnomo sta per raggiungere la botola, i gibberling sono all'incirca a tre quarti della risalita.
Hearst studia in silenzio la situazione, poi improvvisamente sorprende tutti riscendendo sull'ultima passerella, in direzione opposta a quella di Gimble.
"Che diavolo fai? Dobbiamo chiudere!" grida lo gnomo incredulo.
"Sali, ci penso io a fermarli" ribatte deciso il guerriero.
Hearst, raggiunti i pali portanti delle passerelle, delle scale, assesta con l'ascia dei poderosi colpi che ne spezzano le corde e ne indeboliscono la struttura. Il guerriero temporeggia il più possibile prima di raggiungere i compagni al sicuro.
Al passaggio dei gibberling, sotto il peso della moltitudine inferocita, le strutture sabotate cedono con uno schianto, trascinandosi dietro quasi tutta l'impalcatura di legno delle passerelle sottostanti. Schegge e polvere si levano dappertutto, in un frastuono di legno che si spezza e urla animalesche disperate.
Quando la polvere sta per raggiungere la sommità del faro, Hearst chiude la botola.

I nostri eroi riprendono fiato appoggiati al parapetto sulla cima. Al centro del piccolo spazio c'è un ampio braciere ricolmo d'olio, dal quale si sprigiona la fiamma che illumina la notte di questo posto dimenticato da Dio, e al suo fianco una grossa lente regolabile per mezzo di un argano. Quattro grandi arcate si intervallano lungo la circonferenza del faro, e su una delle pareti che le separano, il consueto quadro del Duca fa capolino. Sul suo volto è dipinta un'espressione beffarda mentre si anima, ma ancora una volta gli avventurieri hanno la sensazione di qualcosa di appena percepibile nella profondità di campo del quadro, alle spalle del loro aguzzino.
"Questa volta non avete scampo!" declama il Duca, la cui voce freme dall'emozione di una vittoria che sente certa.
"Ah sì? Questo è quello che credi, bastardo!" risponde rabbioso Juan. Aiutato da Rune e Hearst il coloviano regola la lente verso il basso, in modo che il fascio di luce colpisca nella pianura sottostante. Laddove la luce viene proiettata, i gibberling fuggono impazziti.
"Ahahahah!!! E' tutto ciò che avete pensato per contrastarmi?" Carnegie ride di gusto, interrompendosi bruscamente e riprendendo la sua espressione crudele. "L'olio del faro non durerà per sempre, a differenza della notte che vi attende. E se anche fosse, non sarebbe comunque sufficiente."
Gli occhi del Duca diventano due fessure sottili: "Osservate bene ciò che c'è sotto di voi..."
Isabel si sporge dal parapetto, seguita dai compagni. Una fiumana di mostriciattoli si accalca per entrare nel faro, altri si aggrappano alle pareti nel tentativo di scalare, usati a loro volta come supporto per la risalita di altri gibberling.
Rune getta un'occhiata anche dalla botola. Lo spettacolo è il medesimo: senza scale, i mostri usano i loro stessi compagni come appigli per arrampicarsi, guadagnando pochi piedi alla volta, ma rendendo la risalita inarrestabile.
"Siete finiti! E' solo questione di tempo!" esulta Carnegie, leggendo il pallore sul volto di Rune. "Avete ancora una possibilità per accorciare la vostra sofferenza, solo una. Accettate la resa, toglietevi voi stessi la vita. Gettatevi di sotto, nel mare, sugli scogli appuntiti! Lasciate che le rocce spezzino le vostre ossa e lacerino le vostre carni! Lasciate che le onde lavino il vostro sangue! Lasciate che il mare sia la tomba dei vostri corpi..."

domenica 28 agosto 2011

252 - AL RIPARO

Le luci danzanti di Gimble svaniscono proprio quando i nostri eroi raggiungono la base del faro, mentre Juan si fionda sulla porta strattonandola. Il rumore metallico della serratura non lascia dubbi.
"E' chiusa! Copritemi, proverò a scassinarla!"
In un batter d'occhio il coloviano inizia ad armeggiare aiutandosi con la bacchetta metallica trovata nelle segrete. Juan suda per la tensione nonostante la brezza marina.
I compagni si dispongono a semicerchio per proteggerlo, mentre i mostriciattoli si accalcano a centinaia. Tengono la posizione alla meglio, affidandosi soprattutto alla furia omicida di Hearst. Il guerriero rotea senza pietà l'ascia sui nemici, lasciandosi dietro una scia sanguigna, mentre l'arma affilata mutila orrendamente le creature farfuglianti.
Tuttavia la marea di quelle bestie è inarrestabile. Per tanti che ne muoiono, il doppio scavalcano i loro cadaveri.
"Juan! Non resisteremo per sempre!" urla Rune, mentre spezza il collo di una delle scimmie.
"Sto facendo del mio meglio... ma questa porta di mer... porca puttana!" Juan impreca sonoramente mentre dalle mani sudate gli scivola l'attrezzo metallico. Il coloviano s'affretta a recuperarlo per rimettersi all'opera.
"Juan! sbrigati... argh!" Hearst grida di dolore. Il guerriero, impegnato ad estrarre la lama da un cadavere aiutandosi col piede, non si era accorto di uno di quegli esseri alla sua destra, ora aggrappato al suo braccio con i denti affondati nel bicipite.
"Maledetto idiota!!!" sbraita Hearst, sebbene non si capisca se ce l'ha con l'avversario o con il coloviano. Il guerriero scuote il braccio contro la parete del faro, usandola per vedere il contenuto della testa del suo aggressore, mentre a calci tiene indietro le altre bestie che sopraggiungono.
Con un clangore secco, la serratura cede, strappando un grido d'esultanza a Juan. Il coloviano non perde un secondo per fiondarsi nel faro, seguito dai compagni che indietreggiano lentamente mantenendo l'orda a distanza.
L'ultimo ad entrare è Gilead, che dopo aver allontanato i nemici agitando una torcia accesa davanti a sé, si getta all'interno lasciando che Hearst chiuda la porta. Il guerriero vi si appoggia con tutto il suo peso, mentre i muscoli si gonfiano nell'immane sforzo di contrastare la spinta.
Grolac attira l'attenzione di Rune su un tavolo dall'aspetto solido in mezzo al pianterreno. I due si affrettano a portarlo fino all'entrata, incastrandolo sotto il chiavistello.
L'interno del faro non presenta piani intermedi, e dopo una prima rampa di scali in pietra, la risalita lungo le pareti interne è un'alternanza di passerelle di legno e scale a pioli che le collegano, fino alla botola che conduce alla sommità.
"Che diavolo sono quelle bestie?" chiede Hearst col fiatone, rosso di sangue dalla testa ai piedi.
"Credo che si chiamino gibberling... ne ho sentito parlare qualche volta..." risponde Gimble. "Quanto meno non sono non-morti, altrimenti Juan se la sarebbe già fatta sotto... ma... dov'è Juan?"
I compagni cercano il coloviano con lo sguardo, vedendolo già alla terza passerella, impegnato nella risalita del faro. Non-morti o no, meglio portarsi avanti.

domenica 21 agosto 2011

251 - L'ORDA

Gilead scalcia per far perdere la presa al piccolo umanoide. La creatura, una specie di scimmia dalla pelle grigiastra e pelosa e dalle orecchie appuntite, emette un grugnito stridulo cadendo a pochi passi di distanza. Il suo tentativo di rialzarsi viene stroncato da una freccia dell'elfo in mezzo agli occhi, scoccata con la grazia tipica dei Guardiani di Frontiera.
"Che diavolo...?" Grolac impreca sonoramente, indietreggiando spalla a spalla con gli avventurieri.
Il fruscio nel grano aumenta d'intensità, nell'oscurità si scorgono le spighe ondeggiare, spinte dai movimenti di centinaia di creature striscianti. Un farfugliare sommesso fatto di grugniti bassi si mischia al rumore della risacca.
"Quanti... quanti sono?" esclama Rune, nello stesso istante in cui uno di questi esseri balza nella sua direzione, emettendo il suo stridulo urlo di battaglia. Il monaco lo respinge assestandogli un pugno tra le fauci che non gli lascia scampo. Il corpo grigio senza vita del mostriciattolo ricade nel grano subito calpestato da nuovi assalitori. Per niente intimorite per la perdita di due dei loro, le bestie avanzano con le zanne sbavanti esposte e occhi famelici.
Sono dappertutto, sbucano da ogni dove, attaccano senza timore. Gli avventurieri respingono i loro attacchi, accerchiati, spalla a spalla. Juan colpisce rapido in supporto a Rune e Gilead, Isabel contiene gli assalti supportata da Grolac, mentre Gimble usa il sonno per addormentare avversari e ridurre l'impatto delle cariche. Hearst falcia nemici a decine senza pietà. Sebbene singolarmente queste creature non siano una minaccia per i nostri eroi, il loro numero è soverchiante.
"Non possiamo resistere! Sono troppi! Sono ovunque!" urla Gilead, mentre con il tacco dello stivale fracassa il volto di una scimmia ai suoi piedi.
Hearst bestemmia incessantemente mentre spicca del teste dei pelosi primati, lordo di sangue dalla testa ai piedi. Il guerriero con un urlo bestiale carica la moltitudine davanti a sé, calpestandola, spingendola via.
"Rune!!! Non stare lì impalato come un imbecille! Dammi una mano!"
Nonostante i modi rudi di Hearst, il monaco ne capisce le intenzioni: "State pronti a correre, tenteremo di aprire la via! Cercate di contenere gli attacchi da dietro!"
Rune si alterna al guerriero caricando gli avversari in modo da aprirne le fila senza che abbiano il tempo di riorganizzarsi. L'oscurità, la paura, la tensione, le ferite, rendono tutto più difficile. Almeno per il buio però arriva provvidenziale l'aiuto di Gimble. Il bardo evoca le luci danzanti, che sortiscono anche un effetto inatteso: la luce sembra infastidire non poco i mostriciattoli, li confonde, ne rende goffi e incerti i movimenti.
"Ora!" urla lo gnomo, incitando i compagni. "Il mio incantesimo non durerà per sempre!"
La successiva carica di Hearst è devastante. La lama affilata dell'ascia del boia falcia le carni che si oppongono con la facilità di un coltello caldo nel burro. Rune segue il guerriero impedendo alle fila di richiudersi, facendo cenno ai compagni di seguirlo.
Superate le prime file dell'accerchiamento, la concentrazione di nemici si fa più rada, composta semmai di bestie ancora in movimento alla ricerca della preda.
I nostri eroi corrono, corrono verso il faro. La luce è la loro unica salvezza.

lunedì 15 agosto 2011

250 - UN FARO NELLA NOTTE

Gimble si gratta pensieroso la barba, mentre segue i compagni attraverso le immense distese di grano che li separano dal faro. Non riesce a togliersi dalla testa il messaggio che Juan ha mostrato. Che sia un nuovo inganno di Carnegie? O davvero qualcuno sta cercando di aiutarli? Ma chi?
"Elfo, questi campi sembrano non finire mai!" barbotta Grolac dalle retrovie, punzecchiando Gilead che fa strada. Il ranger non lo degna di risposta.
Gimble torna ai suoi pensieri e alle congetture che già da diverso tempo lo assillano. Il messaggio ne è una conferma. Diversi elementi sembrano confermare che attorno a loro sia tutto irreale, sebbene il paesaggio sia visivamente ineccepibile: non ci sono animali, tranne gli insetti, la brezza soffia sempre lontano, il grano è insapore - o almeno così il bardo interpreta le colorite affermazioni di Hearst a riguardo. Eppure c'è qualcosa di più, non si tratta di una semplice illusione. Benché Gimble si sforzi, non c'è modo di far breccia nel velo di finzione, anche avendo scoperto le sue incongruenze. Questo è il cardine della questione: se le incongruenze esistono nella realtà in cui si trovano e pur individuandole non è possibile miscredere il falso, è evidente che ciò che vivono è sì artefatto, ma pur sempre reale!
Le lamentele di Grolac distolgono nuovamente lo gnomo dalle sue elucubrazioni. Il nano comunque ha ragione. Camminano da diverso tempo, il sole s'è spostato dallo zenit, e il faro è ancora lontano a occidente. E' come se le distanze fossero dilatate.
Gilead incita i compagni a non perdersi d'animo e riprende la marcia nel grano.

L'ultimo spicchio infuocato di sole sparisce nell'orizzonte marino, lasciando nel cielo i riflessi rossi del tramonto. La brezza lontana aumenta d'intensità, portando con sé il freddo della sera. Ancora pochi minuti e l'oscurità divorerà tutto.
"Non manca molto ormai, forza!" esclama Gilead, esortando i compagni ad accelerare il passo. Il faro disterà pressappoco un miglio.
I nostri eroi marciano rapidi verso la meta, facendo frusciare le spighe di grano al loro passaggio. Lentamente il tramonto si spegne, lasciando che i contorni infuocati del faro, degli alberi, del grano si affievoliscano e si confondano nel crepuscolo.
Ma prima che il buio inghiotta tutto quanto, il faro s'illumina. Una fiamma s'accende misteriosamente sulla sua sommità, guida e riferimento di invisibili marinai e sperduti viandanti.
"Avete visto?" chiede inutilmente Rune, fermatosi come i compagni ad osservare sorpreso l'evento.
"Sssshhht!" lo zittisce Gilead. L'elfo tende le orecchie. "Sentite anche voi?"
Sotto la risacca, tra le pieghe del vento... si sente un fruscio nel grano... si sente qualcosa farfugliare...
Un brivido corre lungo la schiena degli avventurieri in ascolto. Il buio ha trasformato questo luogo dall'atmosfera calda e spensierata del giorno in un posto a dir poco lugubre.
"Andiamo!" dice deciso Gilead. "Dobbiamo raggiungere il faro il prima possibile, qui siamo troppo scoperti!"
L'elfo muove alcuni passi rapidi ma quasi subito urta qualcosa con la gamba. Si sente una specie di grugnito. Gilead balza all'indietro, mentre un piccolo essere peloso dai denti aguzzi salta fuori dal grano emettendo un urlo animalesco. La creatura si aggrappa alla gamba del ranger, affondando le sue fauci nelle carni.

mercoledì 10 agosto 2011

249 - IL MESSAGGIO

Juan si immerge nel calore del giorno, il suo sguardo si perde nella distesa di campi di grano che si estende a perdita d'occhio dinanzi a lui, intervallata solo qua e là da rocce affioranti dal terreno e alcuni alberi.
I compagni lo affiancano, uscendo assieme a lui dalla piccola costruzione rurale in cui erano sbucati, guardandosi attorno.
In lontananza si scorgono montagne lontane, tranne ad occidente, dove grazie al cielo terso si scorge all'orizzonte una scogliera, sovrastata da un faro.
Il sole al suo zenit riempie di placida tranquillità il paesaggio, una brezza isolata culla il grano a poca distanza, al ritmo della risacca del mare, in lontananza.
Hearst si lascia cadere seduto, Rune inspira profondamente, lasciando che i raggi gli scaldino la pelle. Tuttavia Gilead è inquieto.
"Elfo, cosa c'è che non va?"
Il ranger sa il fatto suo quando si tratta di spazi aperti: "E' strano... la risacca del mare giunge fin qua, ma la scogliera è molto lontana... e il vento... guardate, soffia sempre *poco più in là* rispetto a noi."
I compagni guardano perplessi Gilead, ma non possono far altro che constatare che ha ragione.
"E c'è dell'altro: non notate questo strano silenzio? Non si sentono ne rumori, né odori oltre alla brezza marina. Niente cinguettii di uccelli, frinire di cicale, squittii di roditori. Niente vita."
Nel silenzio che segue le affermazioni dell'elfo, Juan afferra Isabel per un braccio, richiamandola in disparte. La sacerdotessa è sorpresa mentre il coloviano svolge davanti a lei il brandello di pergamena trovato nel pane, rivelandone il contenuto.
*La realtà è il riflesso dell'illusione*
Isabel osserva Juan con aria interrogativa, mentre il giovane si affretta a spiegare la provenienza del messaggio dal significato criptico.
"Perché non ce ne hai parlato prima?" chiede la chierica.
"Eravamo sotto gli occhi del quadro... di Carnegie..." Juan fa una pausa.
"Perché ne parli solo con me? Dovremmo condividerlo con gli altri..."
"No... cioè, non saprei... ne ho parlato con te perché il tuo credo è la conoscenza e potevi capirci qualcosa più di me. Quanto agli altri, preferirei dirlo solo a Gimble..."
"Perché solo lo gnomo? Non capisco..."
"Non so più di chi fidarmi... Hearst non è certo affidabile..."
Isabel fa una smorfia: "Chi meglio di me potrebbe dirlo. Tuttavia se non collaboriamo rischiamo di non uscirne vivi, è il caso di mettere da parte rancori e incomprensioni. E poi capisco Hearst, ma Rune e Gilead..."
"Il fatto è che loro sono così... così..."
Rigidi!
pensa Juan. Rigidi nel giudizio su Hearst, ancora più di quanto lo sia la stessa Isabel. Hanno una visione così lontana dalla sua, una visione del mondo dove è tutto bianco o nero, il bene è bene e il male è male. Juan si morde la lingua: "Lascia perdere Isabel, hai ragione. Facciamo come dici tu."

mercoledì 20 luglio 2011

248 - FINALMENTE IL SOLE

Uno ad uno, i nostri eroi raggiungono l'apertura più alta del pozzo, così strenuamente difesa dal Diavolo delle Catene. Davanti a loro un lungo corridoio si perde nell'oscurità.
Prima di procedere, mentre Isabel dispensa freddamente cure su Hearst, Rune decide di tornare nell'alcova dove Juan aveva lasciato armi preziose sfruttando la sua residua capacità di volare. L'arco e le poche frecce recuperate dal monaco sono per Gilead una vera benedizione.
Il passaggio buio conduce gli avventurieri ad porta, che si apre tra la sorpresa e lo sconforto sulla sala del banchetto già visitata in precedenza. La tavola è imbandita, ricolma di cibo dall'aspetto invitante, ma i nostri eroi sanno già cos'aspettarsi da quelle pietanze insipide.
"I miei complimenti, davvero!"
Il solito ritratto di Carnegie che sovrasta la tavola si anima all'improvviso.
"Finalmente uno spettacolo degno di questo nome. Aaahh... mi sto davvero divertendo con voi, ma non voglio disturbarvi oltre. Vi prego, riposate e rifocillatevi, perché---"
"Bastardo figlio di puttana!!!"
il tono del Duca fa perdere completamente le staffe a Juan. "Dove ce li hai i coglioni? Giochi con noi come il gatto col topo, fai il gradasso, ci parli con aria di superiorità, perché Dio solo sa da quanto ci tieni rinchiusi senza vedere la luce del sole! Facci uscire! Affrontaci faccia a faccia, fammi vedere se hai le palle! Se non le trovi vengo io a cercartele, e giuro che te le strappo con le mie mani!"
Il volto di Carnegie s'irrigidisce per l'onta subita, colto di sorpresa dallo sfogo di Juan, incapace di controbattere. Ma lo smarrimento dura poco, e i suoi lineamenti ripropongono il consueto sorriso beffardo poco prima che il quadro torni statico: "Vuoi il sole? Ti accontenterò ragazzo, ma ricorda che il giorno non dura per sempre."

"...qualunque sortilegio stia usando, nulla di tutto ciò può essere reale, lo capisci nano?"
"Come fa a non essere reale. Le nostre ferite sono reali, il pozzo era reale, l'acqua era reale, anche questo cibo di merda è reale!"
"Il fatto che siano illusioni non significa che tu non le percepisca come reali!"
"E allora perché anche se mi convinco che sono illusioni, continuano ad esistere?!?"
"E allora perché corridoi uguali portano in luoghi diversi e corridoi diversi portano in luoghi uguali?!?"
Juan mastica svogliatamente una pagnotta, mentre in sottofondo Gimble e Grolac battibeccano sull'effettiva esistenza di ciò che stanno vivendo. Discorsi inutili.
Ad un tratto sente qualcosa sotto i denti, nascosto nella mollica. Lancia un'occhiata rapida al quadro del Duca. Non si muove. Si volta per non farsi vedere, porta la mano alla bocca... un pezzo di pergamena, le dita agili di Juan la fanno scivolare nella tasca dei pantaloni. Il coloviano si accuccia: meglio riposare ora.

Dopo alcune ore di sonno i nostri eroi si sentono ristorati. Senza alcuna alternativa, ripartono imboccando la solita porta, aspettandosi il solito corridoio che li porterà nella nuova follia di Carnegie. Questa volta però, il cunicolo s'interrompe bruscamente. C'è solo una piccola botola sul soffitto, raggiungibile con una scala a pioli appoggiata alla parete.
Gli avventurieri si scambiano occhiate interrogative, quindi Rune sale e apre.
"Cosa vedi?" chiede curioso Gimble.
"Sembra... una rimessa, una stalla... non saprei... il pavimento è di terriccio, le pareti di sasso. C'è una porta... filtra della luce..."
A quelle parole Juan si precipita sulla scala scavalcando il monaco, e fiondandosi all'uscio lo spalanca. La luce del giorno lo investe, il coloviano si crogiola nei suoi raggi.
Finalmente il sole.