sabato 28 aprile 2012

288 - IL SEME DI UNA GUERRA

Gimble e Juan si fanno strada attraverso la folla radunata nella grande stanza al pianterreno del palazzo del Governatore. E' insolito che un processo venga tenuto qui, ma la necessità di contenere il gran numero di persone accorse ha reso necessario l'allestimento di una delle grandi sale della rocca. Bifolchi, paesani, curiosi si accalcano per accaparrarsi i posti migliori, mentre le guardie cittadine si prodigano per mantenere l'ordine oltre le transenne che separano il popolino dal palco delle autorità e dai banchi di giudice, imputato e testimoni.
Correia siede sulla piccola tribuna assieme alle personalità più influenti di Salamanca. Non manca nessuno: il monsignore, la piccola nobiltà, i ricchi mercanti.
I due avventurieri riescono a farsi largo a sufficienza da riuscire a vedere, proprio mentre il capitano Garzes accompagna Black Bart alla sua postazione. Il pirata è dimagrito, e sul suo volto aleggia un'aria stanca. Il suo ingresso è accompagnato da urla, insulti, sputi. Alcune teste calde vorrebbero scavalcare le transenne per regolare i propri conti personalmente, ma vengono prontamente ricacciate indietro dalle guardie.
Placare la folla e ottenere una parvenza di silenzio si rivela un compito ben più arduo del previsto e solo dopo quasi mezz'ora dall'ingresso del giudice il processo può avere inizio. Dopo le letture di rito dei poteri conferiti e dei capi d'accusa, inizia la lunga processione dei testimoni.
Mercanti derubati, navigatori che hanno perso tutto, donne violentate, parenti di vittime delle scorrerie dei pirati. Per tutta la giornata nel palazzo del Governatore vengono portate le truci testimonianze delle atrocità commesse dall'equipaggio della Sable Drake, un campionario dei peggiori crimini possibili.
La folla ascolta come ipnotizzata, quasi incredula, maledicendo il nome del pirata ad ogni cambio di testimone.
Black Bart invece, quando interpellato, tace. Lo sguardo del pirata è spento, rassegnato, senza alcuna voglia di lottare, di controbattere. Il suo destino era già segnato prima ancora che iniziasse il processo.

Il sole filtra rosso dalle finestre sul finire del terzo giorno di udienza quando Juan viene chiamato a portare la sua testimonianza. La sorpresa di suo padre, come anche quella del Governatore e di Garzes è evidente; nessuno di loro probabilmente si era premurato di scorrere tutta la lista dei testimoni.
"Juan Siqueira Roberts" legge il giudice. Poi con un cenno stanco della mano lo invita a esporre.
Juan non dice nulla, limitandosi a consegnare alla guardia al suo fianco una custodia per pergamene. Il soldato porta il documento al giudice che lo apre e lo osserva sbalordito.
"Signore... vogliate darmi delle spiegazioni! Questa lettera reca il sigillo di Granada..."
"Potete spezzarlo, e leggerne il contenuto."
Il giudice srotola la missiva e ne scorre il contenuto incredulo. Juan prende la parola nel silenzio generale.
"Sono riuscito a recuperare questo prezioso documento dalla cabina di Black Bart, mio padre, prima dell'attacco da parte della milizia di Salamanca. L'ho fatto per ragioni personali, perché io stesso avevo bisogno di capire..."
Il giovane coloviano si rivolge a Garzes, sapendo di trovare in lui conferma degli avvenimenti: "Era questa che mio padre cercava sottocoperta, quando avete incrociato le lame."
"E' una lettera di corsa!"
Le parole rieccheggiano nella sala. Black Bart resta impassibile nascondendo la sorpresa. A questo punto qualsiasi parola da parte sua coinvolgerebbe anche suo figlio nel proprio destino. Correia scatta in piedi, il suo sguardo è pieno di preoccupazione, di ira, di odio.
Poi il boato della folla sommerge tutto. Insulti, sputi, maledizioni riempiono la sala, costringendo le guardie ad intervenire per mantenere la calma. Il giudice si affretta a sospendere la seduta, riservandosi di far esaminare l'autenticità del documento, rimandando il verdetto alla mattina seguente.
Correia scende dal palco e si avvicina a grandi passi al giovane coloviano, affrontandolo di petto mentre un manipolo di guardie li circonda per proteggerli da eventuali disordini: "Sei impazzito? Ti rendi conto di ciò che hai fatto, di quello che stai per scatenare, di tutte le vite che avrai sulla coscienza per questa follia? Questo è il seme di una guerra Juan, il seme di una guerra..."
Juan si limita a tacere, mentre viene portato al sicuro dagli armigeri. Nell'andarsene incrocia lo sguardo di Juanito, seduto sulla tribuna delle autorità. L'ex sindaco di Puerto del Principe è l'unico a osservarlo in silenzio. In quegli occhi Juan legge le sue parole: non condivido ciò che fai, ma ti capisco.

La mattina seguente, in un clima teso e denso di interrogativi, viene letto il verdetto. Gimble, tra il pubblico, sorride all'ironia del destino quando il giudice comunica che il notaio Miguel de Osuna certifica l'autenticità della lettera di corsa.
Black Bart viene condannato alla detenzione come prigioniero di guerra al servizio di Granada. Correia si alza e se ne va scuotendo la testa.
Il pubblico esplode nuovamente, contenuto a fatica dalla milizia: "verme di Granada", "cane di Pinilla" sono gli epiteti più gentili rivolti a Juan, qualcuno chiede a gran voce di appendere tutta la famiglia.
I soldati portano via il pirata, portano via il giovane, mentre la folla scavalca le transenne e invoca la guerra contro Granada.
Gimble riesce a sgattaiolare vicino al compagno. Ormai Salamanca è troppo pericolosa per loro. Partenza per Tavistock e imbarco per Bakaresh il prima possibile. Con qualunque mezzo.

giovedì 19 aprile 2012

287 - SPACCATURA PROFONDA

Gimble e Juan cenano in silenzio. La locanda è insolitamente vuota, la grande attesa alla vigilia del processo a Black Bart pare farsi sentire anche nei costumi.
Tuttavia nemmeno Gimble ha molta voglia di parlare. Continua a chiedersi se quello che sta facendo per aiutare Juan non stia rischiando di compromettere tutto quanto.
Il bardo continua a ripensare all'accesa discussione di tre giorni fa con Rune, Gilead e Isabel a seguito dell'intrusione nella casa dell'ambasciatore, giustificata con un semplice "bisogno di denaro".
Una scusa palesemente falsa, tanto da scatenare l'irritazione dei compagni sentitisi presi in giro, tanto da portare Rune ad andarsene infuriato mentre affermava di non voler sapere più nulla di quello che stavano tramando lui e Juan, con la complicità omertosa di Hearst.
Poi la decisione dei compagni di partire per Bakaresh con la prima nave, prima del processo. Non era sua intenzione creare un spaccatura così profonda nel gruppo, ma non poteva rivelare il piano per aiutare Black Bart.  Non l'avrebbero mai accettato, perché non sono come lui, o come Juan. Loro non sarebbero disposti a tutto per salvare una persona cara.
I suoi pensieri sono interrotti da Juan: "Oggi sono andato ad iscrivermi nelle liste dei testimoni. Il funzionario era piuttosto sorpreso, sono l'unico a favore di mio padre. La comparizione avviene in ordine di iscrizione, perciò sarò tra gli ultimi a esporre la mia verità..."
Gimble annuisce distrattamente. Questa sera non riesce a essere lucido. Pensa a Bakaresh, pensa a Bleena.

martedì 17 aprile 2012

286 - L'ARTE DEL TEATRANTE

Benito raccoglie i bicchieri dal tavolo appiccicoso e li immerge nella tinozza. La bisboccia di quei tre rientrati ad ora tarda dopo "aver fatto bello" - come dicono loro per sottintendere una nottata con donne di facili costumi - ha lasciato svariati cadaveri di rum e caonabo sui tavoli.
Gilead, Rune, Isabel e Hearst consumano placidamente la colazione ad un altro tavolo, con i primi tre che sembrano non voler approfondire oltremodo i dettagli sulla serata dei compagni, visto anche il sonno prolungato di Juan e Gimble.
Un passo pesante di stivali risuona nella via. Attraverso l'uscio spalancato per far entrare l'aria del mattino fanno il loro ingresso due guardie cittadine, che accompagnano un uomo con un vistoso livido sullo zigomo sinistro. Quest'ultimo si massaggia di continuo la nuca, lasciandosi sfuggire ogni tanto delle smorfie di dolore.
Benito si affretta a togliersi il grembiule, mentre si avvicina per sapere il motivo della visita.
Uno degli armigeri spiega che la notte precedente l'uomo che è con loro è stato aggredito durante una rapina ad opera di due furfanti, di cui uno era uno gnomo.
"Sappiamo dalle informazioni che abbiamo raccolto in città che uno gnomo alloggia presso la tua locanda, Benito."
L'oste annuisce, mentre gli avventurieri ascoltano attenti la conversazione: "E' vero, ed è un rispettabile signore. Tuttavia stamane dorme ancora, dal momento che ieri notte si soffermato a lungo a degustare i miei liquori dopo *aver fatto bello*." dice, accompagnando l'ultima affermazione con un occhiolino d'intesa.
"Bando alle ciance, oste! Non m'interessa se il tuo cliente è un beone o un puttaniere" esclama il tizio malmenato. "Anche se era buio ho visto in faccia il mio aggressore e---"
Il temperamento burrascoso dell'uomo viene smorzato dalla guardia: "Calmatevi, ve l'ho già detto. Qui non siamo a Granada..."
La frase sospesa a metà fa intendere che tra i due non corre buon sangue.
"Benito, vi prego di chiamare il vostro ospite, in modo che se si tratta del colpevole possa essere riconosciuto."

"Quanto diavolo ci mette a scendere!" protesta l'individuo con lo zigomo viola.
"Come vi ho già detto" spiega Benito "il signore stava ancora dormendo quando ho bussato alla sua camera, e mi ha pregato di riferirvi che ci avrebbe messo un po' a mettersi in ordine."
L'oste non fa in tempo a finire la frase che lo scricchiolio degli scalini preannuncia l'arrivo del bardo.
"Eccomi!"
Benito e gli avventurieri sgranano gli occhi, cercando subito dopo di dissimulare la sorpresa. Davanti a loro non c'è il solito Gimble, ma uno gnomo tanto camuffato con trucchi e vestiario da sembrare un'altra persona.
"E' lui?" chiede la guardia.
Benito non capisce se la domanda sia rivolta a lui o alla vittima dell'aggressione, ma ad ogni modo tace facendo finta di niente; forse non ha molto in simpatia Granada, o forse teme di perdere un assiduo consumatore di alcolici.
"No, non è lui..." risponde deluso l'aggredito. "Altro tempo perso, dannazione..."
"E' quello che dico anch'io" ribatte velenosa la guardia. "Andiamocene. Grazie della collaborazione signore. Benito, i miei saluti."
Non appena i soldati escono dalla locanda, l'oste si volta verso Gimble facendo le sue illazioni: "Ma... allora siete stato voi!"
"E allora perché non mi hai denunciato?" ribatte pronto lo gnomo. "No, assolutamente no, non sono stato io."
"Ma allora perché..."
"Per riparare a ciò che hai detto tu! Con che leggerezza hai detto loro che avevo fatto tardi alla Casa che non c'è?" dice severo lo gnomo mentre Benito arrossisce imbarazzato. "Secondo te potevo accettare di farmi vedere in faccia da delle autorità, con il rischio che la voce arrivasse alle orecchie della Chiesa?"
L'oste balbetta impacciato, vergognandosi dei propri sospetti completamente convinto dal raggiro del bardo: "Ch-chiedo perdono! Sono stato uno sprovveduto! Per un istante ho creduto che... ma avete ragione, sono stato uno sciocco e ho rischiato di mettervi nei guai! Scusate se ho dubitato, è solo che... aaahh... Permettetemi di offrirvi vitto e alloggio per oggi, è il minimo che possa fare, signore."
Gimble annuisce, accettando di buon grado: "Non preoccuparti Benito, fai tesoro dell'esperienza. Fortunatamente è andato tutto bene."
Mentre l'oste si allontana, la mano di Rune si appoggia sulla spalla del bardo, obbligandolo a voltarsi. Il monaco, l'elfo e la sacerdotessa lo guardano severi mentre Hearst ficca la testa nella colazione per evitare di essere in ogni modo interpellato.
"Forse puoi fregare Benito, Gimble, ma non noi."

giovedì 12 aprile 2012

285 - IL VIZIETTO DELL'AMBASCIATORE

Il rumore del chiavistello della porta d'ingresso al pianterreno mette immediatamente in allarme Juan e Gimble. Nello stesso istante, qualcuno in attesa nel salotto si alza, il rumore dei suoi stivali risuona mentre si avvicina all'uscio. La porta si apre.
"Bentornato signore" dice una voce che è poco più che un bisbiglio.
Chi gli risponde lo fa sussurrando col tono sprezzante di chi è abituato a dar ordini ed esigere rispetto senza darne in cambio: "Mia moglie dorme?"
Quello che gli avventurieri presumono essere l'ambasciatore raccoglie la risposta affermativa del guardiano.
"Bene, io vado a dormire" afferma il diplomatico. "Tu torna fuori, al tuo posto."
La porta d'ingresso si apre e si richiude, mentre un rumore di passi si avvicina. Un lume di candela rischiara la scala.
Gimble vorrebbe imprecare, ma non c'è un istante da perdere. Aperta con delicatezza estrema la porta della camera, il bardo e Juan s'infilano nella stanza, illuminata solo dal chiarore delle stelle attraverso le finestre. La sagoma nel letto si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. Gimble chiude la porta, e insieme a Juan trattiene il fiato appiattendosi alla parete dell'ingresso, nell'oscurità.
La porta si apre ancora, solo uno spiraglio. La luce della candela dell'ambasciatore filtra illuminando debolmente il volto della donna nel letto. Poi la porta si richiude, e l'uomo si allontana in punta di piedi, verso la camera dietro l'angolo del corridoio.
Quando tutto tace, Gimble e Juan abbandonano la stanza. Dal corridoio silenzioso, gli avventurieri accedono all'ultima porta nel corridoio, quella della camera per gli ospiti. La stanza è di scarso interesse, se non per il fatto che dalla finestra si può vedere la porta d'ingresso ora piantonata all'esterno dalla guardia che attendeva l'ambasciatore in salotto; la stessa a cui il mattino Gimble aveva raccontato un sacco di baggianate architettoniche.
Juan non riesce a trattenersi dal commentare sottovoce: "Marito e moglie dormono in stanze separate..."
"E' abbastanza frequente tra i nobili" spiega Gimble "e a quanto pare è molto utile al nostro uomo per coprire le sue scappatelle notturne, con la complicità del suo guardiano..."
"Questo suo vizietto per poco non ci è costato caro..."
Gimble annuisce: "Ad ogni modo ora che anche l'ambasciatore è rientrato, non dovremmo avere altre sorprese. Adesso meglio stare zitti e continuare a cercare ciò che ci serve. Scendiamo di sotto."

La scala conduce ad una grande stanza riccamente arredata che occupa buona parte del pianoterra e funge sia da salotto che da sala da pranzo, con i suoi divanetti rivestiti di velluto granata e il grande tavolo signorile dei banchetti. Nella fredda luce del cristallo gli avventurieri possono scorgere la porta che conduce alle cucine nella parte sinistra della stanza, oltre il tavolo, e quella dello studio di fronte a loro. A fianco di quest'ultima, un'apertura ad arco si affaccia sull'atrio dell'ingresso.
Improvvisamente il chiavistello dell'ingresso scatta - ancora! - e le voci di due uomini si accavallano. Juan nasconde il cristallo maledicendo l'inefficenza di Hearst come palo. La luce di una lanterna illumina l'atrio, mentre le voci si scambiano poche informazioni per il cambio della guardia.
"Sì, il padrone è già andato a dormire, entra pure" afferma il custode del mattino.
"Allora posso farmi il mio solito goccetto in tranquillità, eh eh eh..." risponde l'altro.
"Sì, ma vedi di fare in fretta, io me ne vado adesso. Oggi non ne posso più, tra rompiscatole al mattino e coperture la sera..."
La porta si richiude, la luce avanza. Il guardiano notturno sta per entrare nella sala. Gimble cerca una via di fuga alle spalle, sulla scala, ma è troppo tardi, il cono di luce della lanterna li investirebbe in pieno.
Juan si fionda sulla porta dello studio, l'ultima visibile a chi entra, piega la maniglia... chiusa! Imprecando mentalmente sfila il grimaldello dalla cintola, mentre un sudore freddo gli corre lungo la tempia.
I passi degli stivali nell'atrio, un primo... un secondo...
Questione di attimi, manca l'ultimo cavicchio da far saltare ruotando l'asticella dell'attrezzo da scasso. Un terzo passo...
La fretta è cattiva consigliera, Juan perde la presa, sbaglia, la serratura torna alla posizione originale, tutto da rifare. Un quarto passo, lo stivale spunta oltre l'arco. Un altro passo e verranno scoperti.
Ormai non c'è più tempo. Gimble decide di giocare d'anticipo e un istante prima che la guardia si accorga di loro, bisbiglia la formula del sonno.
Senza successo.
La guardia avverte un giramento di testa, capisce che qualcosa non va, si volta d'istinto verso gli avventurieri illuminandoli con la lanterna; trovandosi faccia a faccia con loro lancia un'esclamazione di sorpresa, per un istante esita, impacciato dal fatto di reggere il lume con la mano dell'arma. Un'esitazione di cui Gimble approfitta rapidamente, recitando parole arcane che paralizzano i movimenti dell'avversario, bloccandolo nell'atto di prendere la spada con un'espressione incredula dipinta sul volto. Juan si sposta fulmineo e lo colpisce violentemente alla nuca con l'elsa della spada, facendogli perdere i sensi.
Senza dire nulla il coloviano torna alla serratura dello studio, e una volta scassinata si fa aiutare da Gimble a trascinare il guardiano esanime nella stanza.
Sulla scrivania, vicino a lettere ufficiali e documenti, c'è il sigillo.
"Juan, fa che sembri una rapina" sussurra il bardo. Il giovane coloviano non si fa pregare, e comincia a rovistare dappertutto arraffando tutto ciò che trova di prezioso. Gimble scoperchia la lanterna del custode e scalda un po' di ceralacca, quindi imprime con precisione e dovizia il simbolo di Granada, in modo da ottenerne un calco preciso.
Non devono sospettare che eravamo qui per il sigillo, pensa riponendolo nello stesso punto della scrivania.
Ristabilita la completa oscurità, Gimble e Juan tornano al piano superiore per riaprire la botola che conduce nel solaio; giunti nel corridoio lo gnomo nota, grazie alla visione crepuscolare, che la porta della camera dell'ambascatore è socchiusa.
I due si paralizzano, e nel silenzio assoluto della notte, sentono solo rumore di battere di denti. Gimble sogghigna: il diplomatico li ha sentiti malmenare il guardiano e se la sta facendo sotto, curando che nessuno arrivi nel corridoio.
A tastoni indica a Juan di scendere in silenzio. A questo punto meglio non farsi notare e uscire dall'ingresso principale, con la guardia fuori combattimento nessuno li potrà vedere.

martedì 10 aprile 2012

284 - COME LADRI

Hearst sta finendo di scodellare i piatti avanzati a pranzo da Gimble e Juan quando Gilead, Rune e Isabel tornano in taverna. Con disinvoltura li saluta e comunica loro che sta per andare a riposare un po'. Il suo comportamento insospettisce immediatamente i compagni: non è un mistero che Hearst non sia bravo a mentire. Il guerriero si fa elusivo di fronte alla tempesta di domande che il resto del gruppo gli rivolge cercando di scoprire se sta tramando qualcosa, finché non sbotta in preda all'esasperazione.
"Basta!" urla picchiando i pugni sul tavolo. "Sono solo stanco, ho detto che voglio andare a dormire..."
Le sue parole non sembrano convincere nessuno. Rune lo guarda preoccupato: "Cerca almeno di non metterci tutti quanti nei guai..."

Il portone sul cortile della casa dell'ambasciatore è chiuso, illuminato solo da una lanterna sul muro a sinistra. La via è tranquilla, l'ora è tarda e non gira anima viva.
Esattamente come al mattino, Gimble evoca il falco e si fa trasportare sul tetto, dove lega una corda di seta al comignolo per far salire Juan. Prima di arrampicarsi, il coloviano ribadisce a Hearst di restare nei dintorni e di fare da palo.
Una volta sul tetto si calano entrambi attraverso la fessurazione accedendo ad un solaio sgomberato. Juan illumina la zona con il suo ciondolo di cristallo proveniente dai sotterranei di Isla del Quitrin. La debole luce azzurra permette la rapida individuazione di una botola chiusa con un meccanismo a gancio. Juan verifica rapidamente l'assenza di trappole o allarmi, quindi la apre facendo scendere la scala a pioli montata sulle guide della botola stessa.
Facendo attenzione a non produrre il minimo rumore, Juan e Gimble scendono in un corridoio al primo piano dell'abitazione. Davanti a loro una porta chiusa, dall'altra parte una svolta ad angolo verso l'ala dell'edificio che si snoda sopra le cucine, e da cui partono le scale che conducono al pianoterra. Appoggiato ad una parete c'è un bastone uncinato con cui il coloviano fa risalire la scala e richiude il passaggio.
Juan si avvicina furtivo alla porta, dall'interno non proviene alcun rumore. Lentamente gira la maniglia e scivola all'interno, seguito dallo gnomo. La stanza è una camera da letto vuota, il letto a baldacchino ben fatto, le coperte ben stirate e in ordine. I due rovistano con circospezione alla luce del cristallo, trovando un taccuino personale dell'ambasciatore nel comodino ed alcuni abiti in una cassapanca, ma nessun altro effetto personale d'interesse o di valore.
Richiusa la porta dietro di loro e nascosto il cristallo sotto il farsetto, si muovono come gatti nell'altra ala del corridoio, con Gimble che guida grazie alla sua visione crepuscolare. Svoltato l'angolo, oltre le scale che portano di sotto, sulla parete destra si affacciano due porte.
Lo gnomo si avvicina alla prima, appoggiandosi per origliare nel silenzio della notte. Dall'interno proviene un russare leggero e sommesso.

La noia di Hearst viene interrotta bruscamente dall'approssimarsi alla casa di un uomo ammantato. Il guerriero segue con lo sguardo l'uomo corpulento che si avvicina al cancello, ed estratto un braccio vestito di arancione dal manto apre il portone con una grossa chiave. La stazza e il vestiario ricordano immediatamente ad Hearst l'uomo intravisto la mattina nello studio a far scartoffie... che sia l'ambasciatore in persona che sta rientrando a quest'ora? Se è così, Juan e Gimble sono in pericolo. Hearst si agita imprecando tra sé e sé, come sempre gli capita quando gli viene richiesto di pensare per gli altri; quell'idiota di Juan gli ha detto di fare il palo, ma non come comportarsi nel caso fosse arrivato qualcuno... come fare ora per avvertirli?

martedì 3 aprile 2012

283 - CRITICO D'ARTE

Gimble attraversa il portone spalancato sul cortiletto del palazzotto. L'edificio di due piani si piega ad angolo retto sul piccolo spazio aperto, con il muro di cinta che chiude il quadrato composto dalla proprietà. Il bardo si guarda attorno con fare assorto, soffermandosi sull'arco del portone, quindi sul pozzo, poi sui cornicioni delle finestre.
"Eh-ehm..." un uomo armato vestito con abiti di cuoio, probabilmente una guardia privata, attira la sua attenzione. Gimble, pur avendolo notato fin da subito, dissimula sorpresa come chi viene strappato di colpo dai propri pensieri.
"Signore, voi siete nella proprietà dell'Ambasciatore di Granada. Vi prego di qualificarvi e dire perché siete qua, oppure allontanarvi ora."
"Oh, pavdòn!" esclama Gimble, imitando un altezzoso accento di Arx. "Non m'evo neanche accovto di esseve entvato in una pvopvietà, pveso com'evo ad ammivave queste mevaviglie avtistiche!"
Lo gnomo si passa una mano nei capelli tirandoli all'indietro, poi continua a far vagare lo sguardo perso sui particolari del palazzotto.
"Scusate signore, ma..."
"Aaaah! Che delizia! Solo un uomo vaffinato come il sottoscvitto può appvezzave la bellezza di questi vestauvi, queste vivtuosismi dell'avchitettuva come non se ne tvovan più..."
La guardia cerca di intervenire mentre Gimble saltella emozionato indicando un dettaglio qua, un'incisione là, uno stucco lassù: "Ma guavdate, guavdate!" dice passandosi di nuovo la mano nei capelli. "...e il pozzo, il pozzo... un'opeva d'avte! Ma è ancova funzionante? C'è acqua?"
"Beh, sì..." balbetta la guardia, in evidente difficoltà dinanzi a questo ospite inatteso.
"Magnifico! Magnifico! Che signove il vostvo signove! E... e quelle infevviate alle finestve!"
"Mah... sono contro i ladri..." accenna mestamente la guardia.
"Ma nnnoooo! Non vedete la lovo linea, la fattuva vaffinata. Chi le ha volute così ha vacchiuso in esse un messaggio, la fivma dell'avtista! Vedete, è come con le povte" afferma Gimble indicando i due usci che affacciano sul cortile "in entvambe si vede come chi le ha volute desidevava che significassevo accoglienza pev l'ospite e spauvacchio pev l'intvuso!"
Gimble continua la discussione sommergendo il povero guardiano di fesserie architettoniche. Ad un tratto, il provvidenziale ingresso nel cortile di un uomo che traina un carretto di vettovaglie fornisce al poveraccio il pretesto per defilarsi dal fiume di parole dello gnomo.
Il venditore si avvicina all'uscio più piccolo, frontale rispetto al portone d'ingresso. Dopo aver bussato con il benestare del guardiano, una donna - probabilmente la cuoca o una domestica - gli apre e contratta l'acquisto di alcuni generi.
Gimble ne approfitta per guardarsi bene attorno. E' chiaro che la porta piccola da cui è uscita la donna dà sulle cucine, mentre presumibilmente l'altra più grande è l'ingresso padronale. Tutte le finestre, sia quelle interne, quelle che si affacciano sulla strada e quelle al piano superiore sono dotate di inferriate. Gimble fa una smorfia: non sembrano esserci modi semplici per entrare.
Salutato e ringraziato il suo interlocutore per il tempo dedicatogli, il bardo esce dal portone, con gran sollievo di quest'ultimo.
In strada lo attendono Hearst e Juan. Anche i compagni hanno dato un'occhiata attorno all'abitazione dell'Ambasciatore, constatando la posizione delle cucine, della sala da pranzo, dello studio in cui un corpulento individuo vestito di rosso e arancione è impegnato a far scartoffie ad una scrivania. Tuttavia tutti concordano che non ci sono modi semplici di entrare.
Gimble si liscia la barba: "Maledizione! Sembra che entrare e *prendere in prestito* un sigillo si rivelerà più difficile del previsto..."
"Rimane da controllare solo il tetto" dice Juan, poco convinto dell'utilità stessa della sua affermazione. "Dovrei provare a salire..."
"A quest'ora del giorno ti vedrebbero anche da Salamanca bassa, meglio se lasci fare a me..."
Gimble si sposta in una strada poco in vista. Certo di non essere visto, evoca con la magia bardica un grosso falco che lo trasporti fin lassù indisturbato, quindi si rende invisibile.
Sulla sommità dell'edificio lo attende una piacevole sorpresa: il tetto è sfondato in un punto, a causa di un cedimento attribuibile a restauri lungi dall'essere perfetti. L'apertura comunica con un solaio, prudenzialmente svuotato in vista delle riparazioni, o delle più probabili piogge stagionali.
Il falco riporta a terra lo gnomo, che ricompare dinanzi ai compagni con un sorriso beffardo: "Andiamo a riposare. Stanotte avremo da fare!"