martedì 31 maggio 2011

236 - TRAPPOLA D'ACQUA

Gimble continua a ruotare l'argano alla cieca, sperando che anche Rune faccia lo stesso. Inutile gridare, non sentirebbe. Improvvisamente il meccanismo offre resistenza, segno che è arrivato alla fine dell'ultimo quarto di giro.
Lo scrosciare dell'acqua si interrompe di colpo, lasciando che le urla degli avventurieri alle prese con i serpenti rimbombino nella sala.
Gilead infilza i rettili con il tridente, supportato dai compagni. L'acqua rende difficile combattere quelle bestie, agili nel loro elemento naturale, che assaltano e mordono con denti aguzzi e velenosi.
Rune e Gimble si affrettano ad uscire dai globo di oscurità, anch'essi intralciati nei movimenti, per dar man forte al gruppo.
Solo quando tutti i corpi delle pericolose creature galleggiano senza vita, i nostri eroi prendono respiro. Tuttavia lo scontro sembra protrarsi nelle conseguenze. Gilead guarda pallido una ferita alla coscia, due fori circondati da un alone violaceo. Si sente nauseato e senza forze.
"Il veleno ha agito solo localmente, per fortuna" spiega Isabel, prestando le prime cure. "Non corri altri pericoli, ma ti sentirai debole per un bel po' se non troviamo una cura..."
Grolac, con un gesto di rassegnazione, commenta a sproposito: "Bah... ho sempre pensato che gli elfi non hanno il fisico... ehi!!!"
Hearst suscita un sussulto nel nano strappandogli di mano il martello. Grolac si copre con le braccia e chiude gli occhi, sicuro che sia giunta la sua ora. Il mestiere del teatrante è un'arma a doppio taglio: sapeva che sarebbe morto per una battuta di troppo, prima o poi...
Il ruggito di rabbia del guerriero è seguito dal rumore di pietra in frantumi. Grolac riapre le palpebre. No, non era la sua testa, ma quella di un gargoyle.
"Figlio di puttana di un Duca!" urla furioso Hearst, continuando a prendere a martellate la statua.
Il guerriero fa saltare pietre dappertutto, scaricando i nervi, unica utilità evidente dell'accesso d'ira.
"Deve esserci un modo... un passaggio nascosto..." balbetta a fatica Gilead, esortando i compagni a cercare lungo le pareti, purtroppo senza successo.
"Forse... forse sul soffitto!" esclama Gimble, folgorato dall'idea. "Dobbiamo riempire la stanza d'acqua per trovarlo! Isabel, Hearst, togliete le armature!"
Grolac si guarda attorno preoccupato, mentre guerriero e sacerdotessa si levano la ferraglia di dosso: "No-no-no-no!! Non starete scherzando! Io... io non so nuotare! E se Gimble non avesse ragione?!?"
"Per una volta il nano ha ragione" dice Juan. "Potrebbe non essere come dice Gimble, e allora sarebbe tutto più difficile con la stanza piena d'acqua."
"Sì, sì, sì, giusto e saggio Juan!"
"Smettila di fare il leccapiedi! E ricorda che sei ancora vivo solo per via di mia sorella, bastardo!" sbraita Gimble afferrando il nano per la collottola. "Sentiamo allora, tu cosa suggerisci di fare?"
"Deve... deve esserci per forza un modo di far defluire l'acqua! E' logico, altrimenti come svuoterebbero la stanza?" afferma Grolac. "Dobbiamo cercare sul pavimento!"
La voce di Hearst è quantomai minacciosa: "E allora fallo!"
"Ho... ho paura dell'acqua..." balbetta come un bambino Grolac.
"Lascialo perdere Hearst" interviene Rune. "Diamoci da fare."
La ricerca sembra infruttuosa, tanto da convincere Gimble che ormai sia ora di riempire la sala, quando Gilead esulta nonostante il malessere.
"Qui! Qui! Guardate... il profilo di questa lastra di pietra! Dobbiamo... dobbiamo sollevarla!"
Hearst non perde tempo, piantando a forza la lama dell'alabarda sottratta alle armature animate in una delle scanalature laterale della lastra.
Il guerriero fa leva con l'asta, con tutte le sue forze. Il peso dell'acqua rende tutto più complesso, se l'asta si spezza sono perduti...
E invece, pian piano la pietra si muove, si solleva. L'acqua comincia a defluire, Rune afferra la lastra e la sposta di peso.
La stanza si trasforma in un vortice, l'acqua sgorga con forza immane. I nostri eroi cercano di resistere, provano a raggiungere i gargoyle per aggrapparsi affrontando la corrente.
Ma il moto è impetuoso, il pavimento cede alla potenza del risucchio, la pietra viene trascinata via, disgregandosi sotto gli avventurieri. La terra manca sotto i piedi, il vuoto.
Cadendo, urlando in un abisso di oscurità.

mercoledì 25 maggio 2011

235 - VENTITRE' GARGOYLE

"Che razza di stregoneria è mai questa..." esclama sorpreso Gilead dopo aver aperto la porta che conduceva alla stanza delle corazze.
L'elfo, seguito dai compagni, muove cautamente i suoi passi in una sala che ha in comune con quella precedentemente conosciuta solo il fatto di essere lunga e stretta. La nuova stanza è costellata di alcove, ognuna delle quali reca su un piedistallo la statua grottesca di un gargoyle con le fauci spalancate. Ventitré in tutto.
L'unica eccezione sono due alcove in mezzo ai lati stretti, all'interno delle quali spuntano dei pesanti argani dal terreno.
Il solito quadro del Duca si staglia al centro della parete larga, esattamente di fronte all'ingresso.
Improvvisamente, con un tonfo pesante, un blocco di pietra cala a sigillare l'entrata. Nello stesso istante, il ritratto di Carnegie prende vita.
"Cos'hai in mente, maledetto bastardo!?" chiede nervoso Gilead, mentre Gimble e Hearst osservano di sbieco il quadro. Ancora una volta quella misteriosa figura alle spalle del Duca...
"Sarebbe meglio se ti domandassi cosa avete in mente voi stessi, elfo. Il vostro destino è nelle vostre mani ora. E chi è causa del suo mal, pianga sé stesso... ahahahah!!!"
Il ritratto di Carnegie si cristallizza sulla sua crudele risata. Gli avventurieri si interrogano: cosa voleva dire con quelle parole il Duca? Di certo non promettono nulla di buono.
Gimble suggerisce di esaminare gli argani. I marchingegni, dotati di un braccio metallico per spingerli, sembrano poter ruotare uno in senso orario, l'altro in senso antiorario.
"Rune, dammi una mano" chiede lo gnomo al compagno più vicino all'argano opposto al suo. "Comincia a ruotare..." continua, non vedendo altre soluzioni.
Gli argani girano accompagnati da un rumore metallico di catene in movimento, fino a bloccarsi in all'unisono dopo un quarto di giro.
Dopo alcuni istanti di silenzio, le bocche dei gargoyle cominciano a vomitare acqua nella stanza. La portata è elevata tanto che dopo un solo minuto il livello raggiunge quasi le caviglie.
"Merda!" esclama Gimble.
"Fermate il flusso!" urla Gilead.
"Non torna, dannazione!" Rune si sforza di tirare la leva nella posizione originaria. "Ruota solo in un senso!"
"Le armature! Per Dio dateci una mano con le armature!" sbraita Hearst, tentando di togliersi di dosso la ferraglia che in un frangente come questo potrebbe diventare fatale.
Il panico si diffonde rapido, mentre l'acqua scorre copiosa dalle bocche delle statue.
"Ruota ancora Rune! Ruota ancora!" grida Gimble spingendo il braccio del suo argano, immediatamente imitato dal monaco, mentre il tintinnare metallico accompagna il successivo quarto di giro.
Quel che segue è un boato, un'esplosione d'acqua che scroscia dalle fauci spalancate, colpisce il prigioniero e Grolac, li atterra, fa cadere Juan, sovrasta le urla disperate, mentre il livello sale schiumando a una velocità impressionante. Gimble e Rune s'aggrappano agli argani per non cadere, parzialmente riparati nelle alcove.
Gli avventurieri colti di sorpresa si rialzano e si raggruppano al centro della sala. Le armature di Hearst e Isabel penzolano impacciandoli, non ancora slacciate del tutto.
L'acqua bagna la cintola, scroscia talmente forte da rendere incomprensibili le parole.
Gimble ha ormai fuori solo le spalle, gesticola indicando a Rune di girare l'argano, in fretta.
Ancora un quarto di giro.
Un'improvvisa sfera di oscurità magica investe le alcove con gli argani, alcuni grossi serpenti guizzano fuori dalle bocche delle statue. Di male in peggio.

sabato 21 maggio 2011

234 - IN SECONDO PIANO

Quello che segue l'insipido banchetto è un sonno pesante e tormentato.
Isabel viene svegliata dal russare incessante di Grolac. Non ha idea di quanto tempo sia passato. Si sente riposata, rigenerata dalle ferite subite nello scontro con le armature, ma anche appesantita. Quando tenta di alzarsi, il senso di goffaggine si manifesta ancora di più, costringendola a cadere come un sacco di patate sulle proprie natiche. Ha la sensazione di pesare come un bue.
Il trambusto della caduta sveglia anche i compagni. Come la sacerdotessa anche Grolac, Hearst e il prigioniero, abbuffatisi senza ritegno, si sentono appesantiti e flaccidi.
La stessa cosa non accade a Gilead e Rune, i quali si erano nutriti con moderazione.
"Dannazione, mi sento goffo come un maiale..." lamenta Grolac.
"Ma tu *sei* un dannato maiale, nano..." ribatte sferzante Juan.
"Lascialo perdere" taglia corto Gimble. "Piuttosto... l'elfo e il monaco sembrano non aver subito effetti nefasti dal banchetto. Il trucco è non esagerare. Forse è meglio se anche noi mettiamo qualcosa sotto i denti..."
Mentre Juan e Gimble mangiano una pagnotta e del brodo, il quadro di Carnegie si rianima prendendo profondità. Il Duca si felicita di vedere tutti quanti di nuovo in forma, invitando gli avventurieri a uscire dalla sala del banchetto attraverso la porta da cui sono arrivati.
I nostri eroi guardano la sagoma del nobile decaduto con odio mentre si rivolge a loro con i suoi modi fastidiosamente eleganti. Tutti tranne Rune. Lo sguardo di Rune esprime sorpresa e curiosità.
Il monaco lascia che la figura di Carnegie torni statica, quindi si rivolge ai compagni. La linea di visuale di Rune durante quest’ultima manifestazione di Carnegie era casualmente obliqua. Non si trovava di fronte al quadro, ma di lato.
"Era come se potessi vedere dentro la sua stanza, nelle parti non dipinte! Un'immagine confusa, come un acquerello! Ma soprattutto, là dietro c’era... c'era qualcuno con lui. Una figura in secondo piano, nascosta, incappucciata."
L'agitazione di Rune sembra però eccessiva, come gli fa notare Gilead.
Il monaco cerca di giustificarsi: "Sì, hai ragione, ma... non lo so, ho avuto una strana sensazione..."
Gimble interviene riprendendo in mano la situazione: "Sia quel che sia, non ha più senso rimanere qui. Andiamo, torniamo nella sala delle armature e vediamo cos’ha in mente quel bastardo..."

mercoledì 18 maggio 2011

233 - IL BANCHETTO

Rune si avventa con rabbia sul quadro del Duca, staccandolo dalla parete e scaraventandolo a terra, mandando in pezzi la cornice.
Gimble si avvicina toccando con il palmo la tela: "Dobbiamo mantenere la calma... non serve a nulla perdere le staffe. E' meglio tenerci la nostra rabbia per quando potremo mettere le mani addosso a questo farabutto."
Lo gnomo scuote la testa. Il dipinto è solo un dipinto, senza alcuna profondità.
Gilead aiuta premuroso Isabel a mettersi seduta. La sacerdotessa è sofferente. Hearst si avvicina, trascinandole a fianco i pezzi di una delle due armature crollate: "Mettila. Ti salverà la vita la prossima volta."
I due si fissano freddi negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Nessuno ha dimenticato ciò che è accaduto solo qualche giorno prima. Allo stesso tempo, però, entrambi sanno di dover mettere da parte i loro attriti. Ne va della sopravvivenza di tutti.
"L'altra la prendo io" afferma Hearst senza trovare opposizione.
"Guardate!"
L'esclamazione del prigioniero teletrasportato con i nostri eroi attira l'attenzione di tutti. Lentamente una porta prende forma sulla parete stretta opposta al quadro.
Gilead guarda grave i compagni: "Non abbiamo scelta. Andiamo."

Un corridoio stretto e buio conduce per una decina di metri fino a una seconda porta di legno, identica alla precedente. La luce diffusa che illuminava la sala delle armature viene lentamente inghiottita dalle tenebre, finché anche la visione crepuscolare di Gilead e Gimble è inutile, e solo la capacità di vedere al buio di Grolac, caratteristica dei nani, permette al gruppo di avanzare.
Il passaggio conduce ad una stanza in cui il nano distingue i contorni di un tavolo su cui svettano alcuni candelabri. Ottenuti da Gilead acciarino ed esca, Grolac accende le candele.
"Accomodatevi, miei cari" la voce di Carnegie risuona invitante nella semioscurità. Gli avventurieri ne cercano la figura, fino a scorgere un nuovo quadro posizionato sopra una fontanella a muro ricolma d'acqua. Il Duca li osserva divertito, ritratto in una posa austera, mentre giochicchia con lo scettro tra le mani.
"Devo confessarvi che mi avete un po' deluso nella vostra prima esibizione, mi aspettavo qualcosa di più da voi. Tuttavia ritengo che le cause vadano ricercate nella stanchezza, dimenticavo che non avete avuto riposo da quando siete usciti dal sotterraneo. Mi sono permesso quindi di invitarvi alla mia tavola, cosicché abbiate occasione di rifocillarvi..."
La luce flebile cresce d'intensità fino a illuminare tremolante una tavola imbandita, ricolma di pietanze prelibate ed invitanti. Gli avventurieri sgranano gli occhi, sentendo già lo stomaco aprirsi e l'acquolina salire alla bocca. Dopo un'eternità di pasti a base di funghi, muschi e pesce crudo, questo banchetto è una tentazione irresistibile, una benedizione.
Maialetto da latte allo spiedo, pesce grigliato in salsa di mandorle, crostacei al limone, spezzatini e lingua di manzo, polli arrosto ancora fumanti dalla pelle dorata. E ancora sformati di patate e uova, minestre di manioca, platano fritto, riso guarnito di salse speziate. E poi forme di pane calde, piadine di frumento, frittelle dolci di ananas alla cannella. Per non parlare del vino color rubino contenuto in brocche di coccio decorato.
Hearst non attende nemmeno che Carnegie abbia finito di parlare, seguito a ruota da Grolac.
"Fermi!" esclama Gimble. "Come potete fidarvi del Duca? Non sentite che il cibo *non ha odore*?"
Ma gli avvertimenti di Gimble sembrano cadere nel vuoto davanti alle tentazioni della tavola, tanto che anche Isabel e il prigioniero non resistono dall'abbuffarsi.
"C'è sotto qualcosa..." dice Juan confermando i sospetti dello gnomo. Anche la volontà di Rune e Gilead cede lentamente, e il due piluccano alcune verdure e si dissetano con un po' d'acqua.
Hearst digerisce sonoramente: "Fa schifo! Questa roba fa schifo, non sa di niente!"
"E' vero!" conferma Isabel. "Ma rinvigorisce. Sento che le forze mi tornano ad ogni boccone!"
Gli avventurieri passano da una portata all'altra senza interruzione, ingurgitando quantità esagerate di quel cibo insapore che nutre ma non sazia.
Gimble si morde il labbro cercando di restare lucido e non mangiare. Sospetta che presto pagheranno questi eccessi, ma non può fare nulla per fermare i compagni.
Carnegie ghigna da dentro il ritratto: "Buon appetito..."

giovedì 12 maggio 2011

232 - TERRORE IN ARMATURA

Il quadro del Duca sembra congelarsi perdendo la sua profondità, nello stesso istante in cui un sinistro cigolio avvisa i nostri eroi della minaccia incombente. Con movimenti inizialmente lenti e impacciati le armature scendono dai loro piedistalli, animate da una volontà invisibile.
Gli avventurieri si avventano sulle armi appese alle pareti. Hearst impugna un martello da guerra, lasciando la sua ascia rudimentale - decisamente più leggera - a Isabel. Gilead afferra un tridente, Grolac un'ascia, mentre Juan e Gimble, poco avvezzi alle armi lunghe, si limitano agli scudi con il marchio di Isla del Quitrin per proteggersi.
In pochi secondi il combattimento si fa subito duro: le alabarde delle armature falciano senza pietà gli avventurieri, che mal equipaggiati faticano anche solo ad avvicinarsi.
Hearst martella incessantemente una delle due corazze, aiutato da Gilead che dalla distanza scaglia tutte le armi da tiro che riesce a recuperare dalle pareti.
Rune, Isabel e Gimble impegnano l'altro avversario, mentre Juan, Grolac e il prigioniero si tengono ben alla larga dalle lame taglienti delle alabarde.
La stanchezza si fa presto sentire e le ferite bruciano, mentre la ferraglia animata non sembra mostrare segni di cedimento.
"Maledizione! Non vanno giù!" sbraita Hearst, dopo che l'ennesima martellata crea un'evidente ammaccatura sul metallo lucido.
Rune si porta per un istante fuori dalla portata dell'avversario, per prendere respiro e studiare la situazione. Forse facendole cadere...
L'azione per il monaco è più veloce del pensiero. Senza esitare balza sull'avversario, cercando di sorpassare la sua guardia per sbilanciarlo, poi il suo peso farà il resto. Rune evita l'affondo con l'alabarda, afferra gli spallacci di metallo. Tuttavia la corazza è salda sulle sue gambe: il nemico reagisce assecondando il movimento, poi spingendo a sua volta, scagliando a terra il suo assalitore.
Vedendo il compagno in difficoltà e l'armatura girata di spalle verso il monaco, Isabel attacca, commettendo un'imprudenza. La corazza ne blocca l'avanzata con un colpo allo stomaco vibrato con l’asta, per poi girarsi di scatto per colpire con la lama. La chierica viene centrata al volto, fortunatamente di piatto, ma la botta è violentissima. Isabel crolla a terra esanime, col sangue che cola a fiotti da naso e bocca.
L'infelice diversivo della sacerdotessa dà a Rune quei pochi, preziosi attimi necessari ad evitare il fendente di ritorno del suo avversario, tornato ad occuparsi di lui. La lama dell'alabarda si schianta sul pavimento in un'esplosione di scintille, mentre il monaco rotola di lato e si rialza in posizione di guardia.
Questa volta è la corazza ad essere rallentata dal colpo vibrato con troppa sicurezza. Rune ne approfitta, supportato da Gimble, mandando in pezzi il nemico con una scarica di calci.
Pochi istanti dopo, anche Hearst finisce il proprio avversario spiccando l'elmo dal resto dell'armatura con una martellata da far tremare le pareti.
Gilead si precipita ad aiutare Isabel, mentre i compagni valutano la situazione. Sono bastati pochi minuti e sono già tutti piuttosto malconci. Se questo doveva essere solo l'inizio, di certo il prosieguo non promette bene...

giovedì 5 maggio 2011

231 - CARNEGIE

Vista appannata e senso di nausea. Quando sono svenuti?
Lentamente i nostri eroi si riprendono dallo strano torpore che li invade. I contorni della stanza si delineano: rettangolare, lunga e stretta, fatta della monotona pietra grigia della fortezza. Sulle pareti più lunghe pesanti drappi purpurei si aprono a sipario su quattro scudi appesi al muro, due per parte, recanti il simbolo di Isla del Quitrin, che sovrastano ognuno della armi incrociate. Un'usanza ornamentale tipica dei manieri appartenenti ai signori dei feudi nord occidentali dell'Impero. Al centro delle medesime pareti due armature da cerimonia poggiate su piedistalli di marmo scuro si fronteggiano impugnando lunghe alabarde con entrambe le mani, come se fossero un sostegno per non crollare in pezzi.
Infine una delle pareti corte viene riempita quasi completamente da un enorme quadro, nella cui elaborata cornice vi è il ritratto di un uomo in abiti nobiliari, in piedi davanti a un ricco scranno con intarsi in oro e imbottiture di velluto rosso. Nelle sue mani stringe uno scettro metallico con preziosi rivetti d'argento, simbolo di potere. Ha i capelli neri, leggermente brizzolati, e una barba a punta curata. Il suo sguardo altezzoso si perde in un orizzonte distante.
Nessuna fonte di illuminazione naturale, nonostante ci si veda benissimo, ma soprattutto nessuna uscita.
Uno scatto improvviso attira l'attenzione degli avventurieri ancora storditi. Il prigioniero che aveva assalito Gimble e attivato il Cubo si avventa su uno degli scudi e afferra una lancia, pronto a difendersi. Non si era certo immaginato di teletrasportarsi assieme a tutto il gruppo che era riuscito a fregare...
"Che faccio, lo ammazzo?" bisbiglia Hearst.
"No, aspetta..." risponde Gimble, quindi si rivolge all'individuo che li guarda nervosamente. "Calmati, a quanto pare siamo tutti sulla stessa barca e quel dannato Cubo ci ha ficcati in una prigione ancora più angusta. E comunque sei da solo contro sette. Non ti conviene proprio..."
"Divertente! Complimenti!"
L'affermazione proveniente da una voce fuori campo coglie tutti di sorpresa. L'uomo nel dipinto si muove con eleganza, il quadro sembra prendere profondità.
"Devo congratularmi per la vostra astuzia, sono piacevolmente sorpreso dalla vostra uscita di gruppo. Una ventata di novità, indubbiamente."
"Facci uscire, bastardo!" urla d'impeto Gilead.
"Vi pregherei di mantenere un linguaggio meno scurrile, ma devo ammettere di aver peccato anche io quanto a buone maniere. Perdonatemi, non mi sono ancora presentato: sono il Duca Andrew Carnegie, il signore di Isla del Quitrin, e padrone di casa" dice con fare presuntuoso il ritratto, mimando un leggero inchino.
"Non la passerai liscia quando usciremo di qui, *ex-Duca*" minaccia Juan, punzecchiandolo riguardo al titolo nobiliare decaduto.
Carnegie sorride: "Caro mio, non sarà facile per voi uscire. Siete miei prigionieri, e Isla del Quitrin non deve la sua fama alle evasioni, ma alla loro assenza. Tuttavia non escludo che i "migliori" possano con il tempo avere l'onore di diventare miei servitori. E' per questo che esiste il Cubo: per scegliere, selezionare. Ma non prima di avermi divertito e allo stesso tempo aver dimostrato di essere degni della mia benevolenza."
"Cosa stai blaterando?!" esclama spazientita Isabel. "Parli di onore, benevolenza... tu non sai nemmeno cosa siano!"
"Già!" continua Rune. "E noi non siamo i tuoi giullari, ma coloro che ti faranno pentire di essere nato!"
Il sorriso di Carnegie si trasforma in una risata: "Ahahah! Le vostre minacce sono indice che siete lottatori di spirito, difficili da piegare. Ci sono pappemolli che si lasciano morire dalla disperazione, una tale noia... No, voi no, voi mi entusiasmate!"
La voce del Duca si fa seria di colpo: "Ma ora basta chiacchiere, vediamo come ve la cavate. Come riscaldamento suggerisco di non strafare e cominciare con un classico..."

martedì 3 maggio 2011

230 - TERZO INTERLUDIO

Carnegie si alza dal suo scranno. Un trono degno del suo rango nobiliare passato, con intarsi in oro finemente lavorati, e imbottiture ricoperte di velluto cremisi. Applaude.
"Memorabile, memorabile. Una vera e propria novità nel panorama di idioti che si sono susseguiti. Non mi aspettavo una fuga di gruppo, ma questo non fa altro che rendere le cose ancora più interessanti, vero mia cara?"
Il Duca si avvicina fino al cerchio magico di costrizione inciso sul pavimento marmoreo che la tiene vincolata, con passi lenti, passandone i confini, urtando le pietre magiche colorate ai suoi piedi. Le accarezza la guancia.
Lei guarda senza emozione il suo carceriere. Lo disprezza, ma non lo dà a vedere. Carnegie ha una predilezione per la prigionia, ha creato la sua fortuna sulla prigionia. Usa le sue vittime come le pedine di un gioco nato per il suo divertimento, le illude e le schiaccia.
Lo disprezza, ma non può fare a meno di ammirarne la macabra fantasia, la chirurgica malvagità, la lucida follia.
"Mia cara, questa volta dovremo superarci..." bisbiglia il Duca con dolcezza.
Lo odia. Odia l'uomo che l'ha resa schiava e carnefice allo stesso tempo.

lunedì 2 maggio 2011

229 - FINALMENTE LIBERI

Quando Hearst, Rune e Gimble fanno il loro ingresso nel rifugio di Taleryn, il vecchio mago ha già preparato tutto. Il corno dell'Inevitabile si erge in mezzo ad un esagono immaginario ai cui vertici corrispondono i cristalli sottratti ai cannibali.
"Taleryn! Dove sono gli altri?" grida trafelato Gimble avvicinandosi al cerchio luminescente. Lo sguardo del mago si posa sul Cubo, stretto tra le braccia dello gnomo. I suoi occhi non nascondono un ammirato stupore.
Prima che il vecchio possa rispondere, la voce di Gilead e un rumore di passi in corsa annuncia l'arrivo del resto del gruppo.
Ciò che accade nei pochi istanti successivi coglie tutti di sorpresa. All'improvviso dall'oscurità del corridoio un agguerrito prigioniero balza addosso a Gimble, urtando due cristalli e scaraventandolo a terra vicino al corno. Li aveva seguiti e non l'avevano visto!
Le mani dell'aggressore afferrano con forza il Cubo per strapparlo dalle mani dello gnomo. Gimble resiste con tutte le sue forze, deve assolutamente impedire che il prigioniero lo attivi, o tutto sarà stato inutile.
Sono istanti concitati, i compagni si gettano in soccorso all'amico, l'agitazione, la confusione, le urla riempiono la stanza.
Nel caos più totale, mentre tutti si concentrano su Gimble per aiutarlo nella collutazione finendo quasi per intralciarsi, sono le urla di Taleryn a emergere come un faro nella notte.
"Entrate nel cerchio! Presto!!!"
Il vecchio mago anziché aiutare lo gnomo si sta già affrettano a risollevare i cristalli caduti.
Gimble e compagni realizzano le intenzioni di Taleryn. Il piccolo bardo è ormai allo stremo delle forze. La fisicità del prigioniero è soverchiante, le sue mani stanno girando l'ultimo blocco del Cubo, presto lo attiverà. Ma Gimble stringe i denti, ha capito il piano del vecchio; deve solo resistere qualche secondo, solo qualche secondo in più...
"Taleryn vieni!" grida Isabel incitando il mago a far presto, ad unirsi a loro nell'esagono di cristalli. Il vecchio risolleva l'ultima roccia azzurra e sorride, volgendo loro uno sguardo stanco. La chierica si sente invadere dalla tristezza. Non verrà, anche se ne avesse il tempo. Non ha più ragioni per fuggire, ciò che amava è rimasto qua dentro.
Poi una luce bianca avvolge tutto.