giovedì 26 marzo 2009

82 - IL POPOLO DELLA NOTTE

Lo sciamano con il teschio di leone mormora strani rituali. Poi solleva il bastone, e lo batte tre volte a terra provocando un rumore secco, insolitamente udibile nonostante la distanza, e riempiendo l'aria di scie di luce verdastra.
Commenti terrorizzati si levano tra i Desana-Kariri, mentre un odore di marcio si leva tutt'intorno e l'atmosfera sembra farsi più scura. Xokleng e i suoi guerrieri impugnano le loro asce di pietra, come in attesa di un nemico invisibile.
Improvvisamente, dal nulla, iniziano a materializzarsi neri guerrieri senza vita, corpi senza mente di nativi del passato. Gli zombi, avvolti dal loro sentore di morte, si fanno avanti con passo strascicato verso i guerrieri Desana, mentre donne e bambini si rifugiano nelle capanne. Altri numerosi gruppi di non morti scendono dalla collina sulla quale è comparso Azawak. Il Popolo della Notte cala come una lenta ma inesorabile nemesi sulla tribù del Popolo del Fuoco.

Le asce dei Desana colpiscono, mutilano, ma i corpi dei morti non provano dolore, né fatica. Non importa quanti zombi cadano sotto i colpi dei guerrieri, prima o poi uno di loro colpirà la sua vittima con la propria lancia, impreciso e lento, ma colpirà. E poi un altro... e un altro ancora... i morti non hanno fretta.
I nostri eroi, ad eccezione di Juan, ingaggiano un feroce combattimento contro i nativi non-morti, giungendo in aiuto a Gilead e ai Desana. Xokleng nota i nuovi arrivati e fissa Gilead negli occhi per alcuni istanti con il suo sguardo infuocato, prima di spaccare con la sua ascia il cranio di un avversario.
Isabel alzando il simbolo di Erevos ne invoca il potere: una luce blu investe gli zombi che circondano Gilead, scacciandoli. Mentre i compagni tengono a bada i non-morti, l'elfo si trova nelle condizione di tirare liberamente su Azawak. La corda del suo arco si tende e in meno di un secondo una freccia letale sibila verso il cuore dello sciamano Kapinawa.
Il ghigno trionfante di Gilead si spegne quando il suo dardo si spezza con violenza a pochi centimetri dal corpo di Azawak, infrangendosi contro una barriera invisibile, su cui s'increspano in viola le onde dell'impatto, come quando si getta un sasso in acqua.
L'attenzione dello sciamano con la testa di leone si concentra sui nostri eroi, che stanno mietendo numerose vittime tra le sue fila. Bisbigliando parole arcane, scaglia orribili incantesimi sugli avventurieri, ferendoli con dardi di gelo, frastornando le loro menti, risucchiandone le forze con un raggio verde scaturito dalle sue dita.

Nel frattempo, Juan si muove silenzioso tra la vegetazione al limitare della radura, poi tra le capanne. Con il favore delle ombre si avvicina a Xokleng, alle prese con due zombi. Lo sciamano Desana elimina i suoi avversari con colpi decisi e potenti, poi si ferma pochi attimi, a prender fiato. Proprio il momento che Juan aspettava... silenzioso e rapido il giovane giunge alle spalle di Xokleng e lo colpisce di sorpresa con l'elsa della spada: non vuole uccidere, ma solo stordire.
L'attacco è preciso e portato alla perfezione, ma... peccato che Xokleng sia un osso duro! Lo sciamano accusa il colpo, che tuttavia non è sufficiente ad atterrarlo: egli, infuriato, si gira urlando e dopo un paio fendenti a vuoto, colpisce con la sua ascia Juan, aprendogli un profondo squarcio sul braccio. Quando Xokleng sta per portare un ulteriore, terribile attacco, Juan riesce solo a rendersi conto che un nuovo guerriero non-morto Kapinawa si aggrappa alle spalle del capotribù, impegnandolo in una difesa più urgente. Visto che la fortuna lo assiste, meglio non abusarne: è giunto per Juan il momento di sparire di nuovo...

Le cose non stanno andando per il meglio. Gli zombi sembrano non finire mai. Hearst e Rune sono stremati, e anche i poteri di Isabel sono agli sgoccioli.
Gimble prova un'ultimo disperato tentativo. Lo gnomo fa ricorso al suo incantesimo più potente, ricreando per pochi istanti, sulla collina, un'illusione di Xokleng alle spalle di Azawak. L'illusione con rapidi movimenti si getta sullo sciamano Kapinawa, simulando un attacco.
Impreparato, distratto dall'attacco, Azawak non si rende conto del fatto che ci sono due Xokleng. Lo sciamano del Popolo della Notte urla di getto una formula e scompare nel nulla, lasciando dietro di sé solo un pallido alone verde...

lunedì 23 marzo 2009

81 - LA PACE IMPOSSIBILE

Le urla allarmate di una delle sentinelle vicino alle fosse di catrame interrompono il rituale della tribù. Xokleng zittisce i suoi e grida qualcosa a sua volta. La sua voce vibra minacciosa nell'aria della notte.
Le sentinelle impugnano le frombole ed estraggono dalle sacche appese ai fianchi grosse pietre cosparse di catrame, scrutando vigili il limitare della foresta.
E' evidente che i sussulti istintivi di Gilead non sono passati inosservati al fine udito dei guardiani Desana.
L'elfo agisce ancora d'istinto, e trangugia una delle pozioni di linguaggi fornite da Gutierrez. Immediatamente, quelli che fino a pochi secondi prima erano suoni sconclusionati, diventano le chiare intimazioni dello sciamano del Popolo del Fuoco ad uscire allo scoperto.
Coraggiosamente, Gilead si alza in piedi ed avanza fuori dalla foresta. Non capendo quello che sta succedendo, i compagni bisbigliano di fermarsi, preoccupati.
Con un ululato, le sentinelle fanno roteare le frombole, pronte a colpire.
"Fermi!!!" ordina Xokleng "Chi sei tu, bianco codardo, che ti nascondevi spiando! Chi ti manda? Parla!"
"Vengo dalla colonia che avete attaccato tre notti fa" risponde Gilead, e magicamente le parole escono dalle sue labbra nella lingua dei nativi. "E vengo in pace!"
"Pace!?" sbraita Xokleng, con la voce carica di disprezzo. "Non mi interessa la pace con voi cani dalla pelle bianca! Voi siete la causa delle nostre disgrazie, e siete ciò che si frappone tra noi e la nostra salvezza. Le terre di cui vi siete appropriati sono nostre di diritto, la via del fiume e la via del mare! Voi invasori dovete andarvene o morire! La prossima volta la mia gente non sarà così così clemente con voi, e la vostra colonia verrà annientata dal potere del Popolo del Fuoco!"
Xokleng taglia l'aria con l'ascia, mentre continua a bruciare, ma sempre con minor vigore.
"Ora vattene, torna dai tuoi padroni e riferisci ciò che ti ho detto: è per questo che vivi ancora! Ringrazia i tuoi dei e..."
Xokleng viene interrotto dal grido di allarme di uno dei suoi guerrieri: il nativo guarda terrorizzato verso la collina a sud, indicandone la sommità rocciosa.
Il capo tribù si volta di scatto, mentre la sua gente comincia a mormorare sommessamente le parole "Kapinawa-Kariri", ossia Popolo della Notte.
Xokleng osserva preoccupato e carico di rabbia l'imponente figura statuaria che domina la radura da uno spuntone roccioso: uno sciamano, con una spaventosa maschera ricavata dal teschio di un leone che ne copre il volto, e un bastone ornato da monili e pietre che emanano una sinistra luce verdognola.
Xokleng stringe i denti: "Azawak...."

giovedì 19 marzo 2009

80 - XOKLENG!

Il villaggio del Popolo del Fuoco si estende in una radura arida e rocciosa, in cui la foresta sembra aver lasciato il posto ad un eruzione di terreno secco e brullo. Tutta la zona delle capanne è circondata da grosse fosse di catrame scuro e caldo, che emana un odore acre e pungente, ed inevitabilmente richiama nella mente degli avventurieri gli avvenimenti di poche notti prima. Una piccola collinetta si erge al limitare sud dell'area, sovrastando il villaggio, anch'essa pressoché priva di vegetazione. Il contrasto tra la giungla e le caratteristiche vulcaniche della zona è forte, quasi innaturale.
L'osservazione è permessa grazie proprio al rituale che si svolge al centro del villaggio: un grande idolo di pietra, alto come due uomini, di cui si riconoscono solo un corpo tozzo e una testa abbozzata, arde con vigore, cosparso della nera e peciosa sostanza delle fosse. Le fiamme illuminano i corpi scuri dei nativi, che danzano ritmicamente accompagnati dai tamburi attorno al fuoco, intonando cantilenanti una singola parola: Xokleng! Xokleng!
La visione crepuscolare dei semiumani permette anche di notare altri corpi scuri muoversi nei pressi delle fosse di catrame, sentinelle silenziose che non prendono parte al rituale, pronte ad avvistare possibili pericoli provenienti dalla vegetazione.
Ad un tratto, la monotonia della scena s'interrompe. Il terribile indigeno capo dei Desana, l'uomo con in testa il teschio di capro, esce da una delle capanne più grandi. Lo sciamano alza di scatto le braccia al cielo, e con un boato la sua gente lo acclama: Xokleng è il suo nome!
Dopo l'arrivo di Xokleng, un secondo boato scuote la tribù quando da un'altra capanna escono due energumeni Desana, che trascinano un ragazzo tramite due corde legate alle braccia di quest'ultimo. Il giovane, probabilmente un debole, si dimena nel disperato quanto inutile tentativo di fuggire, di liberarsi.
I due guerrieri muovono decisi verso l'idolo in fiamme, mentre la loro vittima urla in preda al panico. Xokleng abbassa le braccia. Gli energumeni tendono le corde, e passando ognuno da un lato dell'idolo infuocato, fanno sì che il corpo del malcapitato vada lentamente ad appoggiarsi sulla pietra, tra le fiamme del loro feticcio.
Le grida di dolore del ragazzo Desana riempiono la notte, nel silenzio degli spettatori, accompagnate solo dal rullare del tamburi. Nessuno fiata, tutti attendono, tutti assaporano ogni goccia dello strazio legato al sacrificio all'Idolo del Fuoco.
Isabel si copre il volto inorridita, Gilead ha l'istinto di intervenire, ma viene afferrato per un braccio da Rune, che pur condividendo il suo sentimento, scuote la testa: non c'è nulla da fare.
Quando anche l'ultimo respiro della vittima è stato divorato dalle fiamme, Xokleng si avvicina al cadavere, e le fiamme lo investono. Come durante la battaglia di Pinàr, il suo corpo si incendia, senza che il fuoco lo ferisca. Egli alza di nuovo le braccia al cielo, e di nuovo il Popolo del Fuoco esplode in un barbaro boato di giubilo...
(Ill. Tribal Shaman, by Christiaan De Wet Klopper)

mercoledì 18 marzo 2009

79 - NELLA FORESTA DI ALZNAR

"Sono d'accordo con Garzes. La battaglia di questa notte ha sicuramente piegato gli animi dei Desana-Kariri, e questa volta saranno certamente disposti a trattare" dice Gilead, sposando appieno la soluzione proposta dal Tenente.
"Tuttavia avremo un problema di comunicazione con costoro" puntualizza Isabel. "Nonostante io sia in grado di comprendere per brevi periodi il loro idioma grazie ai poteri concessimi da Erevos, non sono in grado di parlarlo."
Gutierrez rassicura la sacerdotessa: "A questo proposito vi fornirò due pozioni per la comprensione dei linguaggi, analoghe a quelle usate dai miei uomini per interrogare i prigionieri. So che sono poche, ma è tutto ciò che abbiamo a disposizione, tutto ciò che il guaritore di Pinàr è riuscito a fabbricare nei giorni precedenti il vostro arrivo. Usatele con cura."
"Scusate, ma mi sembrate farla un po' troppo facile". Le parole di Juan si intromettono taglienti nella discussione. "Basate tutto quanto sulla supposizione che quei selvaggi non ci uccideranno a vista: ma noi siamo in sei, loro centinaia. Se qualcosa va storto siamo morti."
Anche Hearst e Gimble annuiscono in silenzio alle affermazioni di Juan.
"Dateci alcuni soldati come scorta! Oppure... Garzes, tu combatti come venti dei tuoi: vieni con noi!"
Garzes riflette prima di rispondere: "Sarei onorato di accompagnarvi in questa missione, ma non posso. Ho dei doveri qui, e non posso abbandonare Pinàr e i miei uomini. L'indisponibilità di Gernon, inoltre, lascia senza comando un terzo dei combattenti. Per quanto riguarda la scorta, sapete bene che le nostre forze sono numericamente basse, ma..."
"Non importa Tenente, va bene così" dice Rune. "In sei, o con pochi uomini in più, non fa la differenza contro centinaia nel loro ambiente naturale. Andremo noi, non ci servono altri uomini."
Juan scuote la testa, guardando contrariato il monaco: "Poi non ditemi che non vi avevo avvertito..." ed esce dal salone.

Tre giorni, due sulla costa, uno nella foresta vergine. Questa è la stima di viaggio di Gilead, il percorso più semplice.
Nuvole cariche d'acqua accompagnano i nostri eroi al loro ingresso nella giungla, e presto riversano il loro contenuto con un violento acquazzone. Con la fine del mese di agosto, l'avvicinarsi della stagione delle piogge inizia a farsi sentire.
Il temporale, di breve durata, viene presto seguito da una calda schiarita. Il torrido sole tropicale, che pur fatica a farsi strada nella fitta vegetazione, solleva una malsana e permeante umidità, che riempie i polmoni, rendendo difficile e faticosa la respirazione. Inoltre, nugoli infiniti di insetti fastidiosi si levano dal terreno umido, fortunatamente respinti dalla provvidenziale erba Bastit, acquistata dallo speziale di Pinàr, che salva gli avventurieri da un vero e proprio salasso da parte delle voraci zanzare tropicali.
Ad un certo punto, mentre Gilead è in avanscoperta, Isabel nota un volatile di colore arancione fuoco simile ad un pappagallo volare sopra di loro, e sparire rapidamente tra la fitta vegetazione. La chierica non può fare a meno di associare la creatura al Popolo del Fuoco.
Poco più avanti un secondo avvistamento dello strano pappagallo insospettisce ulteriormente i nostri eroi. D'impeto, Juan afferra l'arco e scaglia una freccia, suscitando l'ira di Gilead. Il dardo colpisce in pieno il bersaglio, ma il colpo, sicuramente letale per un uccello di quelle dimensioni, rimbalza letteralmente sulle piume del volatile senza ferirlo!
L'uccello, impazzito dalla paura, scappa starnazzando in direzione nord ovest, mentre il gruppo si stava muovendo verso nord est. Questo genera dubbi sull'effettiva strada da prendere, pertanto Hearst, dopo essersi levato l'armatura, si arrampica su una delle piante più alte.
Il panorama della foresta è monotono, con vegetazione a perdita d'occhio ovunque, dalla costa fino alla grande montagna che domina il centro dell'Isola di Alznar. Tuttavia, scrutando con attenzione nella luce del crepuscolo che si avvicina, Hearst scorge ad est del fumo diffuso.
I nostri eroi si mettono in marcia senza esitazioni. Ben presto, l'odore di un fumo acre indica inequivocabilmente la vicinanza e la natura della loro.
Nella luce ormai fioca del tramonto, i nostri eroi giungono al limitare di una grande radura. Accucciandosi, nascosti nella vegetazione, osservano rapiti e impauriti quello che sta accadendo nel territorio del Popolo del Fuoco, al centro del villaggio...

venerdì 13 marzo 2009

78 - I DUE POPOLI

L'odore acre del fumo si mischia ai gemiti dei feriti, e ai sussulti sommessi di chi ha perso i propri cari. La battaglia, come tutte le battaglie, lascia dietro di sé uno spettacolo di morte carico d'angoscia. E nonostante le maggiori perdite si contino dalla parte dei nativi, nessuno festeggia. Tutti gli sguardi che s'incontrano a Pinàr, sono gli sguardi di chi ha perso comunque.

Gutierrez cammina agitato da un lato all'altro del grande tavolo di legno nel salone della sua villa. I nostri eroi, recuperate per quanto possibile le forze dopo un breve riposo, si sono immediatamente recati con Garzes a incontrare il Sindaco.
Gimble rigira tra le mani uno dei proiettili scagliati dalle frombole dei nativi la sera prima. La parziale combustione della pietra nelle mani dello gnomo, gli ha permesso di capire il principio con cui venivano incendiate. Infatti più della metà del sasso è avvolto di una sostanza nera e peciosa, una sorta di catrame.
Dal resoconto di Garzes, pare che Hula e Avisel si stiano preoccupando di riorganizzare le difese di Pinàr. Gernon è stato ferito, ma non sono le ferite del suo corpo a preoccupare il Tenente. Ad ogni modo l'ufficiale non è in grado di tornare in servizio immediatamente e resterà a riposo.
"Esaminando i corpi degli indigeni caduti, abbiamo notato che fanno tutti parte della stessa etnia. Tutti portano sul corpo quei peculiari tatuaggi rossi, che avranno sicuramente un significato per questi selvaggi" dice Rune.
"Infatti è così" risponde Gutierrez. "I miei uomini hanno interrogato i pochi prigionieri catturati dopo la battaglia, grazie ad una pozione di comprensione dei linguaggi. I nativi che hanno attaccato Pinàr del Rio fanno tutti parte della stessa tribù, chiamata Popolo del Fuoco, Desana-Kariri, nella loro lingua primitiva."
Gli avventurieri ascoltano attenti e interessati.
"Inoltre, siamo riusciti ad estorcere ai prigionieri anche la posizione grossolana del maggiore insediamento della loro tribù" afferma compiaciuto il Sindaco, tracciando una vistosa croce sulla mappa abbozzata dell'Isola di Alznar stesa sul tavolo.
"Esiste un'altra etnia con cui invece non abbiamo ancora avuto a che fare, che a detta dei prigionieri prende il nome di Popolo del Fiume, ovvero Xucuru-Kariri. Tuttavia, non sappiamo nient'altro di costoro". Gutierrez afferra una tazza di caffè freddo, ingurgitandone un sorso abbondante, prima di continuare.
"Dobbiamo decidere il da farsi: attaccare ora il Popolo del Fuoco inviando un contingente di uomini per radere al suolo il loro villaggio, sarebbe colpirli nel momento opportuno, dopo che hanno perso una dura battaglia. Il che ci darebbe di sicuro un grande vantaggio..."
"... ma significherebbe impegnare quasi tutte le nostre forze in questa missione, lasciando scoperta Pinàr" interrompe Nicolau Garzes. "Gutierrez, non dimenticare che anche noi abbiamo subito gravi perdite: lasciare indifesa Pinàr potrebbe significare lasciarla in balia di un possibile secondo attacco, magari da parte degli Xucuru-Kariri, di cui non conosciamo la forza."
Il Sindaco osserva Garzes, pensieroso. I due si fissano intensamente negli occhi.
"Gutierrez, credo sia giunto il momento di impiegare le doti diplomatiche dei nostri amici avventurieri, che da quanto mi è stato riferito, hanno già dimostrato di possedere in una precedente occasione a Tavistock."
Il Sindaco stringe le palpebre: "Garzes, vuoi che ti rammenti che fine hanno fatto i nostri ultimi tre esploratori?"
"Lo so perfettamente" ribatte il tenente, "ma ora sono cambiate le carte in tavola. Il Popolo del Fuoco ha certamente perso la sua sicurezza di vincere, la sua spavalderia, a prescindere dalla ritualità dei loro gesti. Non credo che avranno il coraggio di ripetere ciò che hanno fatto con i nostri precedenti inviati: se non sono stupidi, avranno capito che ascoltare chi gli inviamo conviene più a loro, che a noi..."
"Immagino che il nostro compito sia capire il perché di questi attacchi, e possibilmente di farli cessare." dice Rune.
"Esattamente... oppure, uccidere il loro capo" dice Garzes, abbassando il tono della voce col progredire delle parole. "Se la prima opzione dovesse fallire, uccidere lo sciamano, probabilmente, sarebbe come sterminarli..."

lunedì 9 marzo 2009

77 - LA BATTAGLIA DI PINAR DEL RIO

I nativi sono agili come scimmie. I loro corpi neri ricoperti di tatuaggi rossi si arrampicano con facilità sulle palizzate, dove le rudimentali asce di pietra spaccano i crani degli arcieri di Pinàr del Rio. Altri, invece, concentrano le loro forze per entrare dalle porte. La strategia casuale e scoordinata dei selvaggi sembra godere di grande efficacia, supportata dalla sorpresa, dalla ferocia e dalla inusuale insensibilità alla paura della morte.
Hearst e un drappello di mercenari si gettano verso la porta est, facendo pressione con i loro corpi per contrastare la spinta dei nativi. Il pesante catenaccio di legno che chiude il passaggio orientale scricchiola pericolosamente. La spinta degli indigeni è quasi insostenibile. I corpi schiacciati della prima carica, immolatisi sulle barricate appuntite, fungono ora da cuscinetto per le cariche successive. La scena, vista dalle palizzate, è raccapricciante: ad ogni spinta, i corpi infilzati sanguinano copiosamente, sul terreno, creando una orribile fanghiglia rossastra e rivoli ematici che scorrono e filtrano oltre la porta di Pinàr. Nell'aria si diffonde un pestilenziale odore di ferro che si mischia quello del fumo. La miscela, irrespirabile per i difensori, sembra invece galvanizzare oltremodo i selvaggi assalitori.
Gimble prova un diversivo, scagliando un incantesimo di luci danzanti sopra le porte, per impaurire i nativi. La magia funziona giusto il tempo per far tentennare il nemico, e dare un attimo di respiro a Hearst e ai mercenari alle porte.
"Uomini!!! Alle porte!... Riorganizziamoci!... Date copertura agli arcieri!... Voi... alla difesa sulle passerelle!"
Gli ordini urlati da Garzes, affiancato da Isabel, sono una sferzata di coraggio negli animi dei difensori di Pinàr. Il Tenente, condottiero esperto, sta pian piano riprendendo in pugno le sorti della battaglia. La sua decisione e fermezza, gli ordini scanditi e precisi, sono come una luce nell'oscurità per i suoi uomini.

L'ennesima pioggia di pietre infuocate precipita sul villaggio. Gilead vede un nativo arrampicarsi rapido, poco lontano dalla sua posizione, nei pressi di un altro arciere, che inconsapevole del nemico vicino sta tirando sugli assalitori delle porte. L'elfo sta per allertare l'alleato, quando un proiettile lo colpisce violentemente di rimbalzo al volto.
Gilead intontito non capisce cosa accade attorno; sente un urlo straziante così vicino, eppure lontano, mischiato al fischio che lo tormenta nelle orecchie e nella sua testa. Quando riprende coscienza della situazione, vede alla sua sinistra il demonio nero tatuato di rosso correre verso di lui, ululando il suo grido di guerra con l'ascia di pietra pronta a colpire. L'adrenalina scuote Gilead che con un agile balzo all'indietro si getta dalle passerelle, attenuando la caduta grazie alle sue doti acrobatiche. Il suo passato nei Guardiani di Frontiera si risveglia nella sua memoria: rapidità e precisione. Anche il suo nemico, agile, salta dalla passerella verso la sua preda, con gli occhi bianchi spalancati bramosi di morte. Ma quel salto sarà la sua fine. La parabola di caduta è decisa, il nemico non si può difendere, né spostare: Gilead deve solo tirare... tende la corda, quasi con calma placida... e scocca. La sua freccia si conficca precisa nella gola del selvaggio che cade malamente, contorcendosi per il dolore negli attimi che precedono la morte.
"Non possono resistere all'infinito!" constata Rune, osservando il catenaccio della porta est sempre più malconcio. In tutta risposta Gimble estrae dal suo zaino una boccetta di Fuoco dell'Alchimista, acquistato a Salamanca prima di partire.
"Ottima idea!" esclama Rune, afferrando dalla sua sacca una fiala analoga.
I due si coordinano e scagliano le armi a spargimento al di là della porta, che spandono il loro contenuto sui nativi colpiti. Il liquido infiammabile si accende immediatamente al contatto con l'aria, bruciando con vigore i corpi dei nemici.
Tuttavia, le porte sono ormai allo stremo, il catenaccio sta per cedere.
Garzes, astutamente, ordina la ritirata, facendo sì che i nativi sfondino, ma permettendo in tal modo alle sue truppe di non venirne investiti, e anzi programmando un assalto a tenaglia.
E così accade. L'ingresso a Pinàr dei nativi è accompagnato da una pioggia di frecce laterale, seguita da un attacco frontale della fanteria.
I nostri eroi si gettano nella mischia. Lo spadone di Hearst si lorda ben presto del sangue di molti nemici, come anche lo stocco di Juan e la spada corta di Gimble. Il rumore delle ossa rotte dalla morning star di Isabel si mischia alle urla di coloro che cadono sotto le raffiche di pugni di Rune, mentre Gilead copre i compagni con le sue frecce letali.
E' un massacro. Il campo di battaglia si tramuta presto in un lago di sangue in cui galleggiano corpi mutilati di nemici e alleati.
La strategia di Garzes sembra funzionare. Inoltre, svanito l'effetto sorpresa, le truppe di Pinàr riprendono man mano la posizione dominante, grazie alla migliore organizzazione e al miglior equipaggiamento. Nonostante ciò, gli indigeni continuano ad attaccare, come fosse la loro ultima disperata battaglia.

Ad un tratto, davanti alle porte fa capolino un indigeno spaventoso. Sul capo porta un teschio di capro o qualcosa di simile. Lo circondano diversi nativi, con i tamburi, che gli danzano attorno ritualmente. Nella confusione dei combattimenti la terribile figura sciamanica si erge imponente, isolata dagli scontri, ma la sua presenza pesa come una nuova minaccia.
In una mano regge un corno da battaglia, nell’altra le teste di tre esploratori. Le solleva, mentre il suo sguardo incontra e sfida quello di Garzes, che in piedi su una passerella sta facendo strage di selvaggi.
Poi, improvvisamente, il corpo dello sciamano prende fuoco e comincia ad adere. Le urla degli indigeni si alzano a sottolineare il rituale magico: le fiamme che lambiscono il corpo muscoloso del terribile capo tribù non lo feriscono, ed anzi sembrano donargli grande piacere.
Con un gesto pieno di disprezzo, lo sciamano getta le teste mozzate oltre le palizzate, come a voler dare un avvertimento, come a voler dimostrare la forza dei nativi.
Quindi, mentre le fiamme lo avvolgono sempre di più, prende il corno e lo suona... e con il suono del corno, i nativi iniziano la ritirata.
(1a ill. Bard of Lake Town, by Raymond E Gaustadnes)

mercoledì 4 marzo 2009

76 - TAMBURI NELLA NOTTE

Scariche di pietre infuocate si abbattono sulle tende militari e sulle case di Pinàr. In men che non si dica la notte viene riempita dalle fiamme e l'odore del fumo. Gilead incocca le frecce nell'arco e tira nell'oscurità, verso il fronte di fuoco vicino alla foresta. Distingue a malapena corpi neri che roteano le loro frombole in fiamme, pronti ad una seconda gragnuola di proiettili incendiari. Urla, guardando indietro verso la tenda dei compagni, urla, intimando agli arcieri di tirare verso il nemico. Ma gli attacchi sono scoordinati, ognuno per sé.
Le grida dell'elfo vengono ben presto coperte dalle strazianti urla di civili e mercenari dalle vesti e dai capelli in fiamme, che corrono nel disperato tentativo di resistere alla morte, solo per poi cadere consumati e anneriti dal fuoco divoratore.
I nostri eroi escono rapidi dalla loro tenda, trovandosi dinanzi uno spettacolo apocalittico. Tende e case bruciano con vigore, corpi in fiamme si rotolano sul terreno nel tentativo di spegnerle, gli abitanti di Pinàr che si affrettano a gettare acqua e coperte sui loro cari e sui loro beni, mercenari che fuggono, in preda al panico senza una meta.
Il suono dei tamburi si aggiunge improvvisamente alla cacofonia di rumori della disperazione. Un ritmo tribale cupo e terribile, come dovesse scandire l'inesorabilità degli eventi, della fine della colonia. Le urla di cento nativi si alzano nell'oscurità, mentre i loro corpi scuri iniziano una folle corsa all'assalto palizzate.
Nel caos, Juan sfodera il suo arco e tira alla cieca oltre le barriere, mentre i compagni si adoperano ad aiutare feriti e spegnere fiamme. Nel frattempo, le distanti urla di Garzes aiutano la riorganizzazione degli arcieri, che scoccano i loro dardi letali all'unisono sulle prime file di assalitori. I corpi dei nemici cadono trafitti dalle frecce, ma la loro avanzata verso la porta est non sembra dare il minimo segno di cedimento.
Una terza scarica di proiettili infuocati parte dal limitare della foresta, costringendo gli arcieri a ripararsi, investendo Pinàr. Le pietre cadono ovunque, ferendo anche Isabel e Rune, in maniera fortunatamente non grave.
Come un'onda, tra ululati e grida di battaglia incomprensibili, l'avanzata dei nativi s'infrange contro le difese di Pinàr, in preda a un delirio collettivo, senza paura dell'estremo sacrificio. I nativi che per primi si abbattono sulle appuntite barricate della porta est vengono trafitti senza pietà in una raccapricciante carneficina, incapaci di salvarsi, sospinti dalla furia dei propri compagni nelle file posteriori. L'odore del sangue riempie l'aria, mischiandosi al fumo inebriando ancora di più i guerrieri indigeni.
Gilead scocca frecce disperatamente, più veloce che può: "La porta!!! Non deve cedereee!!!" urla l'elfo. Solo pochi uomini del contingente stanno contrapponendosi alla spinta della marea scura dei nativi sull'entrata di Pinàr, gli altri sono allo sbando... senza ordini, disorganizzati.
Hearst e Gimble sentono le urla di Gilead, ma si sono già resi conto che la situazione è critica. Finalmente Hearst scorge un uomo, in piedi in mezzo al campo, muovere passi timorosi, come se non sapesse dove andare.
"Gernooon!!! Dannazione, vieni via di lì!!!" Hearst corre verso il Sergente. Il fumo gli brucia negli occhi, ma si fa forza e raggiunge l'ufficiale. Gernon ha il volto pallido, terrorizzato.
"Gernon! Che diavolo fai!" sbraita Hearst, afferrando Gernon per le spalle e scuotendolo. "Devi occuparti dei tuoi uomini!!! Riprenditi!!!"
Il Sergente sembra non saper reagire, prova a balbettare qualcosa, che nemmeno riesce a uscire dalle sue labbra tremanti.
"GERNON!!! AAAHHH... DANNAZIONE!!!" Hearst scosta bruscamente Gernon incapace di rinsavire, decidendo di fare il possibile per riprendere in pugno la situazione per quanto possibile. "Isabel!!! Avvisa Garzes, siamo in difficoltà sulla porta est!! Uomini, chi ha fegato mi segua! Non facciamoli entrare!!!"