giovedì 30 dicembre 2010

207 - A PERDIFIATO NEL LABIRINTO

Rune rotola a terra con una capriola, evitando per un soffio il colossale pugno dell'Inveitabile. La mano metallica si schianta sul muro sbriciolando la pietra. Juan guarda atterrito, mentre seguito dal monaco mette da parte la stanchezza e ricomincia a correre.
Il golem si muove rapido, troppo rapido per la sua mole. Il coloviano sfreccia tra corridoi e svolte, poi all'improvviso scarta in un passaggio secondario quando il costrutto non può vederli, trascinando per i vestiti Rune che d'istinto stava tirando dritto.
Juan fa cenno al monaco di tacere e nascondere il cristallo luminoso. I passi pesanti s'avvicinano inesorabili.
Le speranze del giovane coloviano vanno in frantumi quando il gigante d'acciaio si ferma proprio dinanzi al loro nascondiglio. Il terrore assale gli avventurieri, che riprendono la loro fuga a perdifiato lungo il corridoio, fino ad arrivare ad un nuovo passaggio su cui il cunicolo sbuca perpendicolarmente.
Rune si volta: inaspettatamente l'Inevitabile non li ha seguiti. Tuttavia il rumore dei passi è vicino...
Il golem non tarda a ripresentarsi dal ramo di destra del nuovo passaggio, con incedere deciso.
Juan realizza: come diceva Taleryn, corridoi larghi, corridoi stretti... non poteva seguirli nel cunicolo appena percorso, ha dovuto allungare il giro attraverso altre vie nel labirinto!
"Rune! Corri! Dobbiamo trovare un altro riparo!"

Hearst ferma i compagni. Quel rumore, simile ad un enorme maglio che percuote il pavimento facendolo tremare, non promette nulla di buono.
"Ha smesso" constata Gimble quando torna il silenzio.
Il guerriero avanza nel corridoio seguito dai compagni, su cui pochi metri più avanti si apre una biforcazione verso destra.
Quando si sporge, non riesce a trattenere un'esclamazione di stupore per la montagna di metallo che si erge pochi passi più avanti. Il mostruoso golem si gira verso di lui: la macchina per uccidere ha una nuova preda.

"Se n'è andato" dice Juan, al riparo con Rune in un corridoio stretto. "Temevo che non si sarebbe mai più mosso da lì!"
"Scappiamo, approfittiamone finché non è qui!"
"Sei pazzo?!? I passi sono ancora vicini! Qui non può entrare, qui siamo al sicuro!" ribatte Juan, bocciando la proposta del monaco.
"E allora cosa vuoi fare? Restare qua in eterno?"

"Correte! Correte!!! Giù! Giù da queste scale!" urla Hearst, in piedi davanti a una rampa.
Gilead percorre la scalinata con agilità, Isabel affianca il guerriero e osserva preoccupata Gimble e Grolac, la loro corsa troppo lenta, e il golem di ferro alle loro calcagna.
"Correte! Le scale dovrebbero rallentarlo!"
Gimble e Grolac accelerano con la forza della disperazione.
Le scale trattengono come auspicato l'avanzata dell'Inevitabile, che rallenta il suo passo sugli angusti gradini.
Pochi metri dopo la rampa in discesa, una seconda scalinata sale, riportandosi al livello precedente, formando una sorta di conca. Una benedizione per gli avventurieri, che hanno il tempo di prendere distanza.
Hearst guida a perdifiato la corsa, senza orientarsi. All'improvviso qualcuno chiama da un passaggio stretto. Il guerriero si fionda nel cunicolo riprendendo fiato. Era la voce di Juan.

martedì 28 dicembre 2010

206 - L'INEVITABILE

L'energumeno peloso grugnisce di rabbia, mentre Rune e Juan scattano veloci attraverso la stanza. Il monaco illumina alla meglio i loro passi con uno dei cristalli azzurri recuperati, schizzando insieme al compagno verso l'uscita più vicina.
I cannibali si gettano all'inseguimento, rapidi e indemoniati, ansiosi di vendicarsi degli invasori.
"Qui c'era l'alcova... no... merda! Di là!" urla Juan, mentre altri cannibali arrivano da un cunicolo davanti a loro. In pochi istanti i due avventurieri si ritrovano in un'area sconosciuta della tana, inseguiti da pazzi assetati di sangue, prendendo svolte a caso, nella speranza di non incappare in un vicolo cieco o in un altro gruppo di cannibali che sbarri loro la fuga.
La fortuna sembra assisterli e presto le grotte naturali lasciano il posto ai corridoi di pietre squadrate che caratterizzavano le prigioni, ma gli orribili grugniti alle loro spalle indicano che i cannibali non hanno rinunciato alle loro prede.
Rune, sempre un passo più avanti del compagno, lo incita.
"Juan, veloce, di qua!" grida prendendo una svolta, "Di qua!" ancora un'altra, poi un altro bivio, attraverso corridoi bui, alti e stretti, larghi e schiacciati; senza il tempo di decidere, di orientarsi, in quella che è una rocambolesca corsa per salvarsi la vita.
Poi, improvvisamente, Juan realizza che il loro fiatone è l'unico rumore presente. Il sudore imperla il suo volto e bagna le vesti.
"Rune... li abbiamo seminati..." dice a fatica, facendo spazio per le parole nel suo respiro affannato.
Il monaco annuisce appoggiandosi al muro, esausto, le mani sulle cosce, lo sguardo a terra.
"Già, ma..." la voce di Rune si strozza in gola quando solleva gli occhi per vedere dove si trovano. L'angoscia lo attanaglia, il terrore corre nelle vene. La paura lo sfiora come fosse un vento freddo che si spande nel dedalo di pietra in cui sono capitati.
Una montagna di ferro. Passi pesanti e veloci rimbombano nel silenzio, accompagnando la nemesi di metallo fuori dall'oscurità.
"Per Dio Juan!!! Scappa!!! SCAPPA!!!"

lunedì 27 dicembre 2010

205 - LA TORRE DEI CUBI

"Sentite anche voi questo rumore?" chiede Gilead.
Isabel, Gimble e Hearst annuiscono, Grolac barbotta qualcosa di incomprensibile. Acqua, acqua che scorre.
Incapaci di attendere senza far nulla il ritorno di Juan e Rune, i nostri eroi hanno deciso di avventurarsi nelle zone attorno al labirinto dell'Inevitabile, nonostante i rischi paventati da Taleryn.
"Dobbiamo almeno avere una prima mappatura dell'area" si era giustificato Gimble col vecchio mago "e per orientarci Grolac ci farà comodo. Vero nano, che verrai con noi?"
Una minaccia travestita da proposta, che il nano ha dovuto accettare controvoglia.
Gilead avanza, seguito da Hearst che regge la torcia. Alla fine del lungo cunicolo, il passaggio si biforca. A destra, un ponte di legno e corde lungo una decina di metri attraversa un antro cavernoso in cui scorre impetuoso un fiume sotterraneo.
"Dev'essere il fiume di cui parlava Taleryn" afferma Gilead "Questo significa che dall'altra parte del ponte ci sono gli accampamenti dei prigionieri."
"Già" concorda Gimble, "e per arrivare qui non abbiamo attraversato alcun labirinto... dobbiamo aver preso la strada sbagliata. Ad ogni modo, non è ancora il momento di presentarci ai galeotti..."
Presa la biforcazione di sinistra, gli avventurieri continuano la loro esplorazione attraverso i monotoni corridoi di pietra del sotterraneo. All'improvviso, dopo una svolta, l'angusto passaggio di pietra si apre su una caverna gigantesca, illuminata da una luce debole e innaturale.
Le acque scure di un lago riempiono la grotta, ad eccezione di un piccolo isolotto al centro, su cui si eleva una strana torre di cubi di pietra posti in maniera irregolare uno sopra l'altro.
Una stretta scogliera corre lungo tre quarti del perimetro della caverna, in senso orario, partendo dall'ingresso da cui provengono i nostri eroi.
"La Torre dei Cubi..." constata Hearst.
Gimble osserva la grotta, e le due uscite collegate dalla lunga scogliera, una alla loro sinistra, l'altra alla loro destra, diametralmente opposte.
"Anche qui non c'è ancora molto da fare..." dice lo gnomo. "Nano, dove portano secondo te le uscite?"
Grolac solleva le spalle: "E che ne so? A rigor di logica, quella alla nostra destra per cui dovremmo percorrere tutta la scogliera, dovrebbe portare negli accampamenti dei prigionieri. L'altra... non ne ho idea!"
Hearst supera i compagni e si avvia verso l'apertura di sinistra: "L'hai detto tu stesso gnomo, non è ancora il momento di presentarci agli inquilini del sotterraneo, per cui la scelta è presto fatta. Avanti, non perdiamo tempo..."

lunedì 20 dicembre 2010

204 - IL TERZO CRISTALLO

Passano minuti eterni, mentre i cannibali strappano lenti le carni per consumare il loro pasto. Poi due di essi, un maschio e una femmina, lasciano la grotta attraverso un passaggio buio sulla sinistra.
Juan osserva i due cannibali rimasti, accovacciati vicino alla loro vittima.
"Rune, tu sistema la donna. All'altro ci penso io."
I due scattano con passo felino nella caverna, muovendosi come ombre senza peso. In un batter d'occhio sono addosso ai loro nemici.
Il monaco afferra la femmina per la mandibola tappandole la bocca, e con una mossa repentina le torce la testa, spezzandole l'osso del collo.
Nel medesimo istante, Juan è alle spalle del maschio. Prima che il cannibale si renda conto di ciò che sta accadendo, il coloviano gli conficca l'asticella metallica recuperata nelle celle dietro l'orecchio destro. Il nemico sbarra gli occhi riversandoli all'indietro, il suo dolore si soffoca in un rantolo soffocato. Juan lo afferra per i capelli, impedendo al suo corpo di cadere a peso morto. Quindi lo adagia sul terreno, riversandolo supino.
"Il suo monile ci tornerà utile" dice Juan indicando il frammento di pietra azzurra al collo della sua vittima, mentre ripulisce l'asticella d'acciaio dalla materia cerebrale che la lorda. Rune lo strappa, e se lo infila in tasca.
Il monaco rivolge la sua attenzione al cristallo più grande che illumina la stanza. In pochi secondi, anche la terza pietra per Taleryn è recuperata.
"Bene" bisbiglia Rune. "Ora continuiamo nel cunicolo dove si sono diretti gli altri due."

Juan ferma il monaco, pochi passi dietro di lui. Il tunnel si apre sull'antro dove avevano visto trascinare e dilaniare il prigioniero poco prima. Il cadavere del poveretto è ancora li, attorniato da quelle belve senza più un briciolo di umanità, bramose di carne fresca. La scena è illuminata dai pochi monili di pietra azzurra al collo di alcuni cannibali.
"Abbiamo girato in tondo" sussurra Juan. "La a sinistra dovrebbe esserci il cunicolo che porta all'alcova..."
"Allora dobbiamo andare oltre, dal lato opposto di questa sala, nella direzione da cui hanno portato questo poveretto" propone Rune. "Lì troveremo altri cristalli."
"E sia, ma dobbiamo aggirarli in silenzio" il tono di Juan è preoccupato. "Sono in troppi, non possiamo permetterci di affrontarli."
Gli avventurieri si muovono silenziosi, rasenti alle pareti della grotta, fuori dal blando raggio di illuminazione dei monili. All'improvviso però Rune urta una pietra. Il sasso rotola, il rumore risuona leggero nell'oscurità. Juan si paralizza.
Un cannibale corpulento e peloso solleva la testa dal suo pasto. Nella mano destra impugna un'ascia di pietra rudimentale, con la quale stava tentando di staccare l'avambraccio del prigioniero percuotendo il gomito.
L'energumeno annusa l'aria circospetto. Quindi il suo sguardo si posa sul corridoio dell'alcova, da cui non proviene più la consueta luce azzurra, confermandogli che qualcosa non va.
Il bestione digrigna i denti gialli, grugnendo ai suoi: "C'è qualcuno..."
Juan suda freddo.
"Merda..."

mercoledì 15 dicembre 2010

203 - MACABRO BANCHETTO

Guidati da Pequeño, Rune e Juan ripercorrono i cunicoli che portano alle grotte dei cannibali.
"Torna da tuo padre" dice Rune al ragazzino. "Da qui continuiamo noi."
Pequeño si allontana, lasciando i due avventurieri nell'oscurità.
Memore dei pochi metri fatti al buio nella prima esplorazione, Juan fa strada fino a scorgere la luminescenza azzurra proveniente dall'alcova dove pasteggiavano i due cannibali. Alcova ormai deserta, se non per i rimasugli di ossa.
Rune afferra con forza il cristallo, che si spezza facilmente, e lo ripone nel sacco, facendo ripiombare nel buio la grotta.
"E uno" bisbiglia Juan. "Rune, avvolgi il cristallo nella iuta in modo da liberarlo facilmente, a mo' di lanterna... ci sarà utile una minima fonte di luce se dobbiamo darcela a gamb..."
Improvvise urla di terrore interrompono il coloviano. Urla che rieccheggiano nelle grotte, prima lontane, man mano sempre più vicine.
Gli avventurieri attendono tesi, al riparo nell'alcova buia. Una luce azzurra invade gradualmente una caverna che si apre in fondo al cunicolo, mentre i cannibali vi trascinano dentro un prigioniero che si dimena terrorizzato. Altri cannibali si precipitano nell'antro, affacciandosi dalle varie caverne collegate, ansiosi di consumare il loro pasto.
Un repentino acuirsi delle grida del malcapitato coincide con un agghiacciante rumore di carni lacerate.
Juan e Rune si allontanano turbati, ripercorrendo i cunicoli verso l'uscita della tana, mentre il poveretto viene dilaniato e divorato.
Ma la fuga non è semplice. La presenza di altri cannibali che sopraggiungono da zone inesplorate costringe gli avventurieri a svolte impreviste. Quando torna la calma, Rune illumina il passaggio: una grotta di roccia nuda, identica a tutte le altre.
Senza punti di riferimento, i nostri eroi si trovano costretti a procedere a caso.

"Vedi qualcosa?" sussurra Rune nell'oscurità. Juan sporge il capo nel bivio dinanzi a loro, cercando di individuare luminescenze azzurre.
"Sì, a destra. Seguimi, in silenzio."
Juan avanza con passo felino. Vede il cristallo, in un antro cavernoso qualche metro più in là, parzialmente nascosto da un pilone di roccia.
*Cric*
Il coloviano si paralizza.
"Rune, fai luce..."
Il monaco apre leggermente il lembo del sacco.
"Mio Dio..."
La grotta, chiusa su sé stessa e sorretta dalla colonna di roccia, è disseminata di escrementi e ossa. Ossa animali, principalmente di topi, ma non solo. Teschi e femori umani testimoniano il macabro destino di sfortunati prigionieri.
Juan prova un brivido lungo la schiena: "Non mi piacciono i posti pieni di ossa. Prendiamo quel dannato cristallo e andiamocene."
Rune non si fa pregare, e dopo aver preso il secondo cristallo, segue Juan al bivio precedente, attraverso lo stretto tunnel in direzione opposta.
Dopo diversi metri il giovane coloviano si ferma. Anche questa diramazione sembra aprirsi su una grotta naturale da cui proviene un debole bagliore, accompagnato rumori disgustosi.
Gli avventurieri si avvicinano con cautela: quattro cannibali, due maschi e due femmine, sono intenti a mangiare i resti consumati di una donna sventrata.
Rune trattiene un conato di vomito. Questa gente non ha più nulla di umano. Questa gente merita di morire.

domenica 5 dicembre 2010

202 - RICOGNIZIONE

"Ci siamo, qui inizia il loro territorio."
Pequeño indica con la mano le grotte naturali che si uniscono al lungo tunnel appena percorso.
"Bene, spegni la torcia" ordina Juan "e seguimi."
"Ma... ma io..." il tono del ragazzo esprime tutta la preoccupazione di disobbedire al padre. "Forse dovremmo tornare indietro..."
Senza rispondere, Juan avanza furtivo. Pequeño deglutisce, quindi spegne la fiaccola.
Nel buio e nel silenzio il coloviano ascolta, mentre i suoi occhi s'abituano all'oscurità.
C'è il respiro teso di Pequeño dietro di lui, c'è il suo cuore, che batte all'impazzata per la paura. E poi ci sono dei passi che s'avvicinano. Juan mette una mano sulla bocca del ragazzo, per impedirgli anche il minimo fiatare. Dopo pochi istanti tre cannibali percorrono un cunicolo che incrocia il loro perpendicolarmente, passando oltre, illuminando la loro via con i monili di cristallo azzurro.
Quando torna il silenzio, rimane solo un rumore leggero e osceno che viene dalle grotte. E' un grugnito, è uno strappare, è un succhiare.
Juan avanza a tentoni, finché un leggero bagliore azzurro fa capolino oltre una svolta, diventando la sua guida. Il coloviano s'appiattisce alla parete, avanzando verso la specie di alcova naturale da cui proviene la luce, fin quando riesce a vedere al suo interno.
Lo spettacolo è disgustoso. Juan sente Pequeño dietro di sé, paralizzato dalla paura.
Riparati nel loro antro illuminato da un grosso cristallo di azzurro, due cannibali gustano le tenere carni di un neonato, piluccandone con dovizia le ossicine.
Juan trattiene la nausea, concentrandosi sulla roccia azzurra, proprio una di quelle richieste da Taleryn. Il coloviano valuta in fretta la situazione: non se la sente di affrontare da solo due cannibali, con Pequeño al seguito. Potrebbe facilmente metterne fuori combattimento uno, ma a quel punto l'altro avrebbe tutto il tempo per reagire o per chiamare aiuto. No, meglio togliere il disturbo.

"Non posso farcela da solo" conclude Juan, dopo aver raccontato per filo e per segno il risultato della breve esplorazione. Pequeño, seduto su una roccia, muove nervosamente le gambe, pallido in viso. Taleryn lo osserva preoccupato.
"Verrò io con te" dice Rune. "Sono certamente il più adatto a muovermi di nascosto e combattere senz'armi."
Juan annuisce: "D'accordo. Non perdiamo tempo. Pequeño, ci farai strada?"
Il ragazzino si riprende di colpo dai suoi pensieri, colto impreparato dalla richiesta di Juan.
"Pequeño ha già fatto la sua parte!" protesta Taleryn.
"Infatti, gli è già andata bene una volta..." si lascia scappare Hearst. La battutaccia gli vale occhiate di fuoco dal mago e dai compagni.
"Non ti ricordi la strada?" chiede Rune a Juan.
Il coloviano fa spallucce, sogghignando: "Non ci ho badato..."
"Padre, andrò!" afferma Pequeño a pugni stretti, mentre Taleryn sospira preoccupato.
Rune conforta il vecchio mago: "Non temere Taleryn, baderò io a lui. Farò in modo che ci accompagni fino alla tana, quindi tornerà qui al sicuro. Non gli accadrà nulla, te lo prometto."

giovedì 2 dicembre 2010

201 - SOGNI DI UN RAGAZZINO

"Se affrontare i cannibali non sarà semplice, affrontare l'Inevitabile è certamente suicida!" esclama Gilead.
"Eppure dovremo trovare un modo elfo, se non vogliamo restare qui in eterno" ribatte Juan. "Ma cominciamo con le cose semplici..."
Gimble si liscia il pizzetto, pensieroso: "Un'azione di sfondamento nella tana dei cannibali è impossibile, sono troppi in numero e noi non siamo equipaggiati. Serve un'incursione furtiva. Taleryn, puoi fornirci un sacco in cui nascondere i cristalli in modo che non facciano luce?"
Il vecchio annuisce, mentre lo sguardo dello gnomo si posa su Juan.
"Scordatelo!" sbotta il coloviano, intuendo ciò che si nasconde nei pensieri di Gimble. "Là da solo non ci vado! Non ho la minima idea di come sia la zona, e non voglio diventare la loro cena!"
"Juan, tu sei probabilmente l'unico in grado di recuperare i cristalli senza che i cannibali ti notino!" ribatte il bardo.
"Sì, ma... ma, mi servirebbe almeno una guida!" Juan si guarda attorno cercando sostegno. Poi i suoi occhi si posano su Pequeño. "Ecco! Lui! Lui conosce queste caverne come le sue tasche!"
Isabel, Rune e Gilead lo fulminano con lo sguardo.
"No!" allarmato, Taleryn stronca sul nascere la richiesta di Juan. "Non se ne parla!"
"Ma padre!" protesta il giovane. "Juan ha ragione! Io conosco quei cunicoli, e sono bravo a passare inosservato! Non può recuperare i cristalli se non sa dove andare!"
"Vedi vecchio, tuo figlio ha spirito d'avventura!" un ghigno di vittoria compare sul volto del coloviano. "Ti prometto che non gli farò correre rischi. Voglio solo effettuare una prima perlustrazione. Solo dopo che avrò capito com'è l'area, passeremo all'azione."
"E sia" Taleryn sospira. "Ma ti prego ragazzo, fai attenzione."

Pequeño conduce Juan attraverso un'uscita secondaria nascosta, che si perde in stanze e corridoi tutti uguali. Il coloviano si lascia guidare dal ragazzo, che illumina la via reggendo una torcia, fino a quando i due imboccano un cunicolo rettilineo stretto e lungo.
Più di una volta Juan si ripara nei coni d'ombra, muovendosi con passo felino, lasciando Pequeño in avanscoperta, venendo meno alla promessa di non esporlo. Allo stesso tempo il ragazzo si volta più volte trovandosi solo, cercando con lo sguardo il compagno invisibile, solo per vederlo rispuntare con palese ammirazione laddove non si sarebbe aspettato.
"Come... come fai?!?"
"Ci vogliono anni di allenamento, ragazzo. Anni e anni."
"Io per ora me la cavo, ma devo farne di strada per nascondermi come fai tu!" dice Pequeño. Poi, come per non voler essere da meno, continua: "Ma io non sono uno scansafatiche, mi sto allenando, ogni giorno!"
"E su cosa?" chiede Juan, intuendo che l'adolescente sta solo aspettando la sua curiosità.
"Prenderò il Cubo per mio padre. Sì, salirò sulla Torre dei Cubi, e sarò il primo, il più veloce, il più forte!" dice Pequeño, orgoglioso.
Juan sogghigna. Sogni di un ragazzino.

venerdì 26 novembre 2010

200 - LA TEORIA DI TALERYN

La fame è troppa per fare gli schizzinosi. I funghi e le muffe maleodoranti sono leccornie dopo un lungo digiuno. Gli avventurieri divorano quell'insolito pasto con foga prima di riprendere il discorso con Taleryn.
Mentre Hearst spilucca anche gli ultimi rimasugli di cibo, Isabel si rivolge al mago: "Poco fa hai parlato del *Labirinto dell'Inevitabile*... di cosa si tratta?"
"E' il luogo in cui probabilmente vi sareste involontariamente inoltrati se Pequeño non vi avesse salvato. Là non si avventurano nemmeno i cannibali" risponde Taleryn. "Si tratta di un dedalo di corridoi in cui perdersi è la norma. In questo labirinto si aggira l'Inevitabile, un golem di ferro che vaga senza meta con l'unico scopo di tormentare i prigionieri."
"Un go... golem?" la voce di Isabel trema solo nominare quella parola, ben sapendo cosa significa. "Ma... se il suo scopo è uccidere i prigionieri perché non esce dal labirinto?"
"Perché il labirinto è fatto di corridoi larghi in cui il golem, data la sua stazza, può muoversi liberamente, e corridoi stretti in cui invece non può passare. Sono queste strettoie, poste ai limiti del dedalo, che proteggono i prigionieri da questa nemesi d'acciaio" Taleryn si fa estremamente serio. "Non fatevi ingannare dall'apparente goffaggine di questo infernale costrutto. Chi lo incontra spesso non sopravvive per raccontarlo."
Hearst digerisce piuttosto sonoramente, attirandosi uno sguardo di rimprovero dalla sacerdotessa: "Al diavolo l'Inevitabile. Pensiamo a uscire di qui. Quando comparirà la prossima volta il Cubo?"
"Ben detto!" esclama Grolac.
"Taci nano! I tuoi commenti non sono graditi!" dice Gimble con disprezzo.
"E' difficile calcolare con esattezza il tempo qua sotto" il mago solleva gli occhi e si gratta la barba "ma per quel che può valere credo manchino circa sei giorni alla prossima apparizione."
Rune riporta la discussione sul concetto che lui stesso aveva interrotto in precedenza, riguardo l'utilizzo del Cubo per teletrasportare più individui nello stesso istante.
Taleryn si umetta le labbra prima di tuffarsi nella spiegazione delle sua teoria, snocciolando concetti di magia mai dimenticati. Passano parecchi minuti prima che il vecchio incantatore si accorga degli sguardi confusi dipinti sui volti della sua piccola platea.
Taleryn sospira, interrompendo la dotta dissertazione: "Perdonatemi, mi sono lasciato prendere... in parole povere, ritengo che l'effetto magico del Cubo possa essere catalizzato e amplificato, ma per farlo sono necessari, ovviamente, un catalizzatore e degli amplificatori. Insomma, servono gli *ingredienti giusti*."
"Immagino che si tratti di cose difficilmente reperibili qua sotto..." fa notare Rune.
"Già" risponde il vecchio, "ma non se ci si accontenta, per così dire. Sono anni che ragiono su queste mie teorie, e sono abbastanza certo che ci siano materiali adatti nel sotterraneo almeno per tentare."
"Bene!" esclama Juan, ottimista. "Qual è allora il problema. Troviamo questi ingredienti!"
"Non è così semplice" dice Taleryn, smorzando l'entusiasmo del giovane coloviano. "Gli amplificatori di cui ho bisogno sono delle formazioni cristalline che si trovano nel territorio dei cannibali. Si tratta pietre blu, simili a grosse ametiste, che irradiano una debole luce azzurra. I cannibali le usano come fonte di illuminazione."
Ecco cos'era il bagliore azzurro che avvolgeva gli inseguitori...
Secondo Taleryn, la debole luminescenza è causata dal residuo magico contenuto in queste pietre, sia esso un residuo di origine naturale o meno.
"Irradiando di magia i cristalli, questi dovrebbero entrare in risonanza rilanciando l'effetto magico stesso, ampliandone quindi la potenza e l'area d'azione."
"Affrontare i cannibali non sarà semplice" dice pensieroso Gilead. "Tuttavia ho come la sensazione che questa non sia la parte più complessa..."
Taleryn annuisce con sguardo greve: "Infatti, serve anche il catalizzatore..."
I volti dei nostri eroi impallidiscono mentre il vecchio scandisce le parole.
Il Corno dell'Inevitabile.

venerdì 19 novembre 2010

199 - COME UN FIGLIO

"Diversi anni fa provai a convincere gli altri prigionieri di alcune mie teorie. Ritengo che il Cubo possa essere utilizzato per consentire la fuga di più di un individuo alla volta, ma questo richiede che non venga attivato nel momento ce ne si impossessa."
Taleryn sospira: "Avevo un amico che mi diede ascolto, che provò a recuperare il Cubo, ma perì nell'intento..."
Il vecchio abbassa lo sguardo. E' evidente che ancor oggi non si perdona la morte dell'amico.
Rune cambia argomento per distogliere l'uomo dai suoi tristi pensieri, aprofittando dell'assenza di Pequeño per chiedergli del ragazzo. Taleryn avrà tutto il tempo in seguito di spiegare le sue teorie.
"Per me quel ragazzo è come un figlio" gli occhi dell'uomo brillano di affetto, mentre racconta del giovane. "Ricordo come se fosse ieri: lo presi con me poco dopo essere arrivato a Isla del Quitrin, al tempo non aveva più di tre anni. Pequeño è figlio di chissà quale unione, quasi certamente è nato nelle prigioni ed è rimasto orfano. Quando lo incontrai era nelle mani di una banda di prigionieri, che lo usavano come schiavo."
Taleryn tace sugli abusi più turpi, ma i suoi occhi si arrossano al solo pensiero. Non sono necessari dettagli per immaginare le sofferenze che quel piccolo deve aver passato.
"La cosa più inaccettabile è che nel loro egoismo gli altri prigionieri restavano indifferenti a questo abuso. Io... io non potevo tollerarlo."
Taleryn continua, raccontando come uccise tutti gli aguzzini con gli incantesimi che gli rimanevano.
"Sei un mago!?" esclama Gimble.
"Lo ero" Taleryn si fa malinconico "Non ho più praticato la magia qua sotto, se non piccoli trucchetti. Non ne ho i mezzi, non ho il mio libro degli incantesimi. Quel poco di magia che restava in me da quando fui imprigionato, lo esaurii su quei bastardi."
"Cos'hai fatto poi?" chiede Gilead.
"Portai via Pequeño, lontano dai prigionieri. Dopo aver individuato questa zona nascosta, ci rifugiammo qui, dove il lago poteva darci cibo e acqua a sufficienza. Vi assicuro che non fu semplice attraversare il labirinto dell'Inevitabile."
"Il... che?" le parole di Isabel vengono interrotte dal ritorno di Pequeño con funghi e muffe.
Il ragazzo si annuncia con tono scherzoso: "Forza signori, oggi lauto pasto per tutti!"

martedì 16 novembre 2010

198 - GLI ERRORI DELL'EGOISMO

“Il sotterraneo ha i suoi equilibri” spiega Taleryn. “Quelli che hanno tentato di divorarvi poco fa sono i cannibali, prigionieri che per fame hanno rinunciato alla loro umanità, alla dignità, alla voglia di lottare. La brama di carne li ha condotti alla follia, a diventare bestie a caccia di una preda.”
“Perché non si massacrano l’uno con l’altro?” chiede Isabel.
“Lo fanno, quando uno di loro diventa troppo debole per cacciare. Ma il loro è un branco, e collaborano. Cosa che invece non hanno capito tutti gli altri prigionieri.”
“Altri prigionieri? Cosa intendi?” chiede incuriosito Gimble.
Taleryn si umetta le labbra, come fosse un maestro che si appresta ad intraprendere una lunga lezione. Con fare pacato spiega che nell’area più lontana dal suo rifugio vivono gran parte dei prigionieri. Là ci sono acqua e cibo sufficienti per tutti, il fiume sotterraneo che attraversa quelle sale è ricco di pesce e molluschi, e crescono molti funghi commestibili.
"Un tempo anche io vivevo là" dice, mentre i suoi occhi si perdono in ricordi lontani. "Sopravvivere è più semplice. Il problema è che sopravvivere e aspettare è l'unica cosa che fanno i prigionieri; non si sono mai organizzati, coalizzati, per trovare un modo per fuggire di qua. Vivono ognuno per sè, in attesa del Cubo della Speranza.”
Lo sguardo interrogativo degli avventurieri sprona Taleryn a continuare. Il vecchio spiega che l Cubo della Speranza è l'unico modo per uscire dal sotterraneo. O almeno così si crede. Si dice sia l'unica possibilità di salvezza che il Duca offre ai prigionieri più *valorosi*. Questo peculiare oggetto è un cubo dall'aspetto metallico con lato grande poco più di una spanna. Il Cubo è diviso in tre sezioni che possono ruotare su un unico asse, in modo che girandole vengano a combaciare le incisioni che compongono un simbolo magico per ogni faccia. In quell'istante viene attivato un incantesimo di teletrasporto.
"Certo potrebbe essere un modo per fuggire, ma da ciò che dici potrebbe anche essere un modo per morire in fretta..." fa notare Gimble.
"Nessuno sa veramente cosa accade quando il Cubo viene attivato. In realtà potrebbe anche essere un incantesimo di disintegrazione... ma è comunque l'unica possibilità. Non per niente nel nome che gli è stato affibiato dai prigionieri, è menzionata la speranza."
"Hai parlato di attesa del Cubo..." dice Isabel. "Questo significa che non è sempre presente."
"No, infatti" risponde Taleryn. Il vecchio spiega che vicino alle sale dei prigionieri c'è un grande antro cavernoso, quasi interamente invaso da un lago. La stanza è costantemente illuminata da una debole luce magica permanente. Nel bel mezzo del lago affiora un minuscolo isolotto su cui si erge un pilastro costituito da blocchi cubici di pietra, alto circa venti metri, chiamato "Torre dei Cubi". Il Cubo della Speranza si manifesta una volta al mese sulla sua sommità. Quando ciò accade, i prigionieri si dannano lanciandosi in una folle corsa per riuscire a scalare il pilastro e afferrare il Cubo per primi. C'è chi si prepara per mesi, prima di tentare. C'è chi muore nell'impresa, cadendo nel vuoto, annegando, o ancora divorato dai lacedon che si annidano nelle acque scure del lago.
"Cos'ha a che fare tutto ciò che hai raccontato con la collaborazione tra i prigionieri?" chiede confuso Gilead.
Taleryn risponde sicuro: "A differenza dei cannibali, i prigionieri sono ancora attaccati alla loro umanità. Tuttavia la competizione causata dal Cubo li isola, rifiutano di lottare per una causa comune nella speranza di essere i prossimi a farcela, o nella consapevolezza che non ce la faranno mai. Vivono costretti a guardarsi le spalle ogni notte per paura che qualcuno li uccida, per paura che qualcuno li possa battere nella prossima scalata. Essendo soli sono anche preda delle scorribande dei cannibali, che cacciano coloro che fanno l'errore di allontanarsi dalle sale vicine all'antro della Torre dei Cubi. Al massimo tra i prigionieri si formano piccole bande per il predominio in una stanza."
Il vecchio lascia trasparire una grande amarezza: "Gli uomini, per il predominio, per l'egoismo, compiono sempre gli stessi errori, sia liberi che rinchiusi."
"Taleryn, parli come se tu conoscessi un altro modo per scappare, fondato sulla cooperazione..."
L'esternazione di Gimble non fa altro che incupire ulteriormente l'espressione sul volto dell'uomo.
"Infatti è ciò che credo. Ma nessuno mi ha mai dato ascolto..."

giovedì 11 novembre 2010

197 - ISLA DEL QUITRIN

Isla del Quitrin. Tristemente famosa nelle Isole Coloviane per il penitenziario che sorge nel centro della sua impenetrabile foresta, da cui il soprannome “Isola dei Deportati”.
Juan ricorda perfettamente le voci che circolano su questo luogo.
Inizialmente la prigione era stata costruita e finanziata di comune accordo tra le varie città delle Colovie per contrastare il fenomeno della pirateria, ma ben presto le rivalità tra i Governatori avevano generato seri problemi di efficienza e accesi scontri politici sulla carcerazione di soggetti legati agli intrighi e alle trame dei signori delle Isole.
Poi poco più di quindici anni fa, arrivò il Duca.
Andrew Carnegie era un nobile destinato originariamente a regnare sul Ducato di Brightton, ma l’invasione del suo feudo da parte del Granducato di Sercen e la conseguente sconfitta, lo obbligarono all'esilio assieme alle sue milizie personali e pochi fedelissimi.
Il Duca fece rotta verso le nuove colonie, dove da abile stratega e fine diplomatico riuscì ad ingraziarsi i favori di un buon numero di Governatori. Questo fatto gli garantì di non avere particolari problemi, e anzi qualche appoggio indiretto, quando con i suoi uomini invase, conquistò e si insediò a Isla dl Quitrin, autonominandosi nuovo sovrintendente.
Con l'arrivo di Carnegie, l’Isola mantenne la sua funzione di penitenziario, ma divenne indipendente dal dominio dei Governatorati.
E' evidente a chiunque che i prigionieri sono diventati un affare redditizio per il Duca, che riceve denaro per "sistemare" i deportati che le città gli affidano senza fare troppe questioni.
"Dunque" riprende Taleryn "prima di rispondere a tutte le vostre domande, ditemi di voi. Chi siete? Perché vi hanno imprigionato qui?"
"E' una lunga storia" esordisce Gimble. Lo gnomo spiega sinteticamente i fatti salienti che li hanno portati alla prigionia.
"In pratica, se noi siamo qua, lo dobbiamo principalmente alle nefandezze compiute da questo maledetto nano" conclude, non risparmiando un pesante affondo su Grolac.
"A voler ben vedere" risponde sarcastico il nano, ritrovando la sua spavalderia di un tempo "è colpa della tua testardaggine se ci troviamo tutti qua!"
"Figlio di..." Gimble si getta al collo di Grolac per strangolarlo.
Solo l'intervento dei compagni a dividerli impedisce che il litigio degeneri.
"Nano" dice minaccioso Hearst "non tirare troppo la corda della tua fortuna. Se sei ancora vivo è solo perché hai informazioni che ci servono. Ma non esagerare con i tuoi giochetti. Gimble potrebbe perdere la pazienza..."
Gilead riporta la discussione sul binario originale "Ora tocca a te, Taleryn, dirci chi sei..."
Il vecchio sorride malinconico. Spiega di essere un prigioniero politico e di essere qui da almeno quindici anni, se non ha sbagliato i suoi conti.
"Così... così tanto!?" esclama sbigottito Rune. "Qual è il tuo crimine? Vorrei poterti aiutare ad uscire di qui..."
"Il tuo ottimismo è invidiabile. Sai a malapena dove sei e già parli di una fuga. Da qui sotto raramente si esce, monaco" ribatte Taleryn. "Ad ogni modo, è passato così tanto che ormai nulla ha più senso. Ciò che è stato è stato, i miei trascorsi non importano più" taglia corto, evidenziando di non voler più affrontare un argomento per lui doloroso.
Il vecchio si accarezza la barba, mentre si appresta a spiegare quelli che sono gli equilibri delle prigioni.

giovedì 4 novembre 2010

196 - PEQUEÑO

"Grazie ragazzo" dice Gilead, ancora col fiatone.
Il giovane fa spallucce, mentre fissa gli avventurieri con un mezzo sorriso stampato sul volto. Avrà sì e no quindici anni, corporatura esile e muscoli nervosi, occhi azzurri e capelli scuri, come la carnagione, sebbene impallidita dall'oscurità di questo luogo.
"Chi sei ragazzo? Cosa ci fai qua? Sembri piuttosto esperto di questo posto" chiede Rune, incuriosito da questo peculiare salvatore.
"Mi chiamo Pequeño, e questa è da sempre la mia casa. Ma piuttosto, voi... siete nuovi, vero? Sì, per forza, visto che stavate per farvi sbranare dai cannibali..." chiede il giovane. Poi senza attendere risposta s'incammina lungo il corridoio che si estende oltre il passaggio nascosto.
"Aspetta! Dove vai? Nuovi? Cosa significa? Cannibali? Chi sono?" incalza Rune confuso dalle poche rivelazioni del ragazzino.
"Sono prigionieri, come tutti. Solo non hanno più un briciolo di umanità... ma venite, seguitemi" dice Pequeño, fermandosi ad armeggiare con un meccanismo nascosto su una parete. L'occhio esperto di Juan nota che è un marchingegno per disattivare una rudimentale trappola. "Vi porto da mio padre. E fate attenzione a dove mettete i piedi..."

Il corridoio percorso da Pequeño e dai nostri eroi si apre su una stanza, le cui mura si interrompono e fondono nel loro lato più distante dall'ingresso alle pareti di un'ampia grotta naturale. Laddove la volta rocciosa degrada verso il livello del pavimento, da sorgenti sotterranee affiora un piccolo lago, dalle acque scure e profonde. Pesci secchi e muschi sono appesi ad alcuni chiodi fissati nei muri, affiancati a rudimentali reti da pesca.
Una lanterna illumina l'area con luce magica. E' appoggiata su un grosso tavolo ricolmo di pezzi oggetti recuperati chissà dove, di legno e metallo, attorno al quale sta trafficando indaffarato un uomo dalla barba bianca e incolta, vestito di una tunica cenciosa.
L'ingresso degli avventurieri lo fa girare di scatto. I suoi occhi profondi scrutano il gruppo, poi si posano severi su Pequeño, con aria di rimprovero.
"Padre, sono nuovi!" esclama il giovane pronto a scagionarsi per qualcosa che probabilmente non doveva fare. "Non sono pericolosi!"
"Non puoi mai saperlo, ragazzo! Quante volte devo ripetertelo!" ribatte accigliato il vecchio.
I nostri eroi assistono in silenzio al botta e risposta. Impossibile non notare la profonda differenza di età tra i due. Più che padre e figlio, sembrano nonno e nipote.
Isabel fa un passo avanti: "Fidatevi buon uomo, vostro figlio ci ha salvato la vita e gli siamo riconoscenti. Non abbiamo cattive intenzioni, vi dò la mia parola. Per quel che può valere, sappiate che è la parola di una Contemplatrice."
Il vecchio pare tranquillizzarsi un po'.
"Non preoccupatevi!" esclama Pequeño facendo l'occhiolino. "Il mio vecchio fa il duro, ma in fondo ha un cuore buono!"
"Pequeño!" sbotta l'uomo, arrossendo in maniera evidente sotto la barba. "Smettila di dire fesserie! Piuttosto renditi utile, va a prendere un po' di cibo per i tuoi amici! Forza!"
"Vado, vado... ho capito..." barbotta sghignazzando il ragazzo, allontanandosi dopo aver preso con sé una cesta di vimini.
"Veniamo a noi" dice il vecchio. "Io sono Taleryn, e avete già avuto modo di conoscere mio figlio Pequeño."
L'impazienza degli avventurieri è troppa per attendere i convenevoli. Le voci si accavallano inondando Taleryn di domande. Dove si trovano, come si esce da qui, chi è lui, chi sono i cannibali...
"Calma, calma..." risponde pacato il vecchio. "Non siate irruenti..."
"Parli come se avessimo tutto il tempo del mondo!" protesta scocciato Juan.
"Ciò che dici non è molto distante dalla realtà" ribatte pacifico Taleryn.
"Cosa significa?" Juan si rabbuia. "Per tutti i santi, non farci stare sulle spine!"
"E' molto semplice. Da questo posto non si scappa. Abituatevi all'idea di restare qui per molto tempo, quasi certamente per sempre."
A Juan si gela il sangue, mentre il sospetto di ciò che il vecchio sta per dire s'insinua nella sua mente.
"Benvenuti a Isla del Quitrin..."

mercoledì 27 ottobre 2010

195 - CANNIBALI

Gli avventurieri proseguono con ancora maggior circospezione, fino a giungere in un punto in cui il corridoio si biforca con un incrocio a "T".
Hearst si pianta in mezzo alla biforcazione guardando a destra e sinistra: "Bene, e ora? Da che par..."
Gilead gli fa cenno di tacere. I suoi sensi hanno percepito qualcosa.
Dal corridoio di sinistra fanno capolino una dozzina di individui, vestiti di stracci o completamente nudi, con barbe e capelli sudici, pallidi e dagli occhi spiritati. I corpi magri sono avvolti in una debole luce azzurrina, emessa da piccole pietre che alcuni di questi uomini portano al collo.
"E questi...?" commenta Hearst, prima di rivolgersi a loro. "Ehi voi! Chi siete?"
Con un incedere quasi animalesco gli strani figuri avanzano, con le bocche aperte che perdono bava, sempre più rapidi. Dalle loro labbra si distingue solo una parola, ripetuta ossessivamente: "Carne! Carne!"
"Non sembrano inclini al dialogo" constata Rune esortando i compagni a fuggire nella direzione opposta, "e soprattutto sembrano affamati!"
Gli avventurieri si lanciano lungo il corridoio buio, con Hearst in testa, e i misteriosi cannibali alle calcagna. Gimble e Grolac faticano a tenere il passo dei compagni, ma fortunatamente anche gli inseguitori non si rivelano agilissimi, e spesso nella foga s'intralciano l'un l'altro.
Hearst guida i compagni attraverso svolte e incroci, passaggi larghi e cunicoli stretti, incapace di orientarsi nell'impeto della fuga.
Presto la debolezza dovuta alla prigionia si fa sentire; un sudore malsano inzuppa le vesti, subito freddo nell'atmosfera umida, il fiato si fa corto. Lo stesso non si può dire degli inseguitori, che guadagnano metri.
All'improvviso, dopo un angolo a sinistra, una rampa di scale scende bruscamente nelle tenebre, resa scivolosa dall'umidità e dai muschi. Condizioni che tradiscono la corsa sicura di Juan, nonostante la sua proverbiale destrezza. Il giovane coloviano incespica prendendo una brutta storta, e rotolando su parecchi gradini prima di riprendere il controllo, con il rischio di trascinare alcuni compagni nella caduta.
Quando si rialza, dietro di lui ci sono solo Gimble e i grugniti animaleschi degli inseguitori. Troppo vicini. La caviglia gli pulsa per il dolore.
"Non ce la faccio più..." lamenta lo gnomo.
Juan stringe i denti e riprende a correre.
Hearst, ai piedi della scala appena prima di un'ennesima svolta, osserva per un istante. Vorrebbe fermarsi e combattere quelle belve, ma è troppo rischioso, sono troppi da affrontare senz'armi e indeboliti.
"Psst!"
Cosa...? Qualcuno ha chiamato...
Il guerriero drizza le orecchie, mentre Rune lo affianca. Con la torcia scandaglia il corridoio che oltre l'angolo si perde nell'oscurità.
"Psst! Qui... qui!"
Hearst scorge la figura di un ragazzino, che si affaccia tra le pietre di un passaggio laterale socchiuso: una porta segreta!
Il giovane fa cenno di gettarsi all'interno per salvarsi. Hearst non ha esitazioni, seguito da Rune, che si ferma sull'ingresso per far entrare Gilead, poi Isabel e quindi Grolac.
Passano attimi eterni, Gimble e Juan non hanno ancora girato l'angolo e i grugniti dei cannibali sono ormai vicinissimi. Il ragazzo fa per chiudere il passaggio, ma Rune lo ferma: "Non possiamo abbandonare i nostri compagni!"
Il monaco fa indietreggiare l'adolescente, chiamando a sostegno Hearst: "Appena li faccio entrare, sigilla l'ingresso!"
Rune è un fulmine: Juan e Gimble svoltano l'angolo, seguiti a un paio di metri dai cannibali. Il monaco li afferra per le spalle trascinandoli a forza nel passaggio, cadendo con loro. Gli inseguitori, vedendo l'improvvisa deviazione, cambiano direzione gettandosi verso l'ingresso nascosto, protraendo le braccia per afferrare le loro prede.
Hearst spinge con forza la porta di pietra. Il braccio di un cannibale riesce a farsi strada nell'interstizio che ancora rimane, cercando di bloccare la chiusura, ma il guerriero schianta la parete semovibile con decisione, senza alcuna pietà, spezzando le ossa dell'avambraccio del malcapitato. Quindi ne afferra saldamente la mano, piegando e strattonando avanti e indietro l'arto spaccato, finché ne strappa le carni, amputandolo.
Al di là della porta si odono le strazianti grida di dolore del malcapitato, ma è ciò che segue che fa gelare il sangue nelle vene degli avventurieri: sono gli ululati dei cannibali, che alla vista del sangue si avventano sul loro simile ferito per divorarlo.

giovedì 21 ottobre 2010

194 - CORRIDOI OSCURI

"Meglio di niente..." commenta Hearst, guardando il contenuto della cassapanca malconcia. Sei torce, otto candele, due acciarini con esca. "Almeno non dovremo muoverci al buio."
Raggiungere la guardiola sfruttando l'ultimo rimasuglio di candela di Grolac è stata una scelta saggia. La porta era corrosa e poco resistente, come le altre; niente di impossibile per i muscoli di Hearst.
Dalla stanza i nostri eroi tentano di rimediare quanto possibile per un minimo equipaggiamento di fortuna. Isabel recupera una sedia marcia: con la seduta, strappando una striscia di tessuto dalla sua tunica, ne ricava uno scudo rudimentale, mentre una gamba risulta utile come randello.
Juan invece trova un vecchio triangolo e la relativa bacchetta d'acciaio, forse un richiamo utilizzato dalle guardie che stazionavano qui per darsi dei segnali. Il giovane coloviano rigira tra le dita l'asticella metallica: non è un granché, ma potrebbe aiutarlo ad aprire qualche serratura semplice.
Dopo una breve discussione, gli avventurieri decidono di avviarsi in quella che sembra essere l'unica uscita possibile, la sala con i topi vista da Gilead nella precedente esplorazione. L'elfo vorrebbe poter aiutare quell'uomo eroso dalla follia incontrato poco prima, ma è consapevole che la sua presenza sarebbe un peso non indifferente in questo momento.
"Lasciate che vada avanti io" dice Gilead, "e tenete accese le torce: quelle bestie temono il fuoco. Inoltre cercate di muovervi come me, i movimenti sono importanti quando si deve evitare di infastidire gli animali."
I grossi ratti soffiano rabbiosi al passaggio degli avventurieri, ma come previsto dall'elfo nessuno di essi azzarda un'aggressione, e il gruppo imbocca indenne il corridoio che si apre sulla parete opposta.
Dopo una decina di metri una scala scende perdendosi nell'oscurità.
"Ancora più in basso..." commenta sconsolato Grolac, dando per scontata l'eventualità di trovarsi sottoterra, grazie alla capacità innata dei nani di determinare la profondità.
Non avendo altre scelte, i nostri eroi proseguono, percorrendo prima la scalinata e poi lunghi corridoi deserti, intervallati solo da poche secche svolte ad angolo retto, fino a raggiungere un'arcata dove una grata abbassata blocca il passaggio. Fortunatamente l'argano per aprirla si trova da questo lato.
"Strano però" commenta Juan, mentre Rune si adopera per sollevare la grata "perché mettere il meccanismo di apertura da *questo* lato? Vogliono forse impedire di *entrare* in prigione?"
Il gruppo prosegue nel corridoio, che poco più avanti svolta a destra: appena girato l'angolo, Gilead sente il pavimento muoversi leggermente sotto la pressione del suo piede. Il rumore della grata che precipita richiudendosi dietro di loro non lascia dubbi sull'effetto della mattonella mobile.
Senza perdersi d'animo, gli avventurieri continuano l'esplorazione; il buio del cunicolo dietro e davanti a loro è inquietante. Corridoio intervallato solo da rozze arcate di pietra, ogni decina di passi. Per risparmiare risorse solo Gilead, in testa al gruppo, e Rune mantengono accese le rispettive fiaccole.
All'improvviso nel silenzio teso di questa marcia nel buio, il monaco sente qualcosa dietro di lui. Un secondo rantolo strozzato lo obbliga a girarsi di scatto.
Gimble, che chiudeva il gruppo, agita le gambe sollevato da terra in prossimità dell'arcata appena superata. Una sorta di tentacolo aritigliato pende dal soffitto, trattiene lo gnomo per la gola impedendogli di urlare nel tentativo di strangolarlo.
"Gimble!" Rune abbandona la torcia per correre in soccorso del compagno, strappandolo dalla mortale presa, gettandolo a terra lontano dal misterioso tentacolo.
Nelle ombre del soffitto, mentre si volta per rialzarsi, il monaco scorge una piccola creatura grigiastra, dalla pelle viscida e dai lunghi arti snodati. In men che non si dica, il mostro scaglia i suoi artigli come fruste all'attacco di Rune.
Il monaco si rotola di lato giusto in tempo per evitare l'affondo, e con un successivo colpo di reni si alza in posizione di difesa.
La creatura si muove rapida lungo i muri, per nulla intenzionata a rinunciare alle sue prede, mentre Gimble cerca di riprendere fiato tra i continui accessi di tosse.
Il successivo tentativo del mostro di afferrare Rune ha successo, ma quando l'artiglio si stringe attorno al collo del monaco, un sorriso beffardo si dipinge sul volto di quest'ultimo. Rune afferra con tutte le sue forze il lungo braccio snodato e lo tira violentemente. Il mostriciattolo non può far nulla per contrastare lo strattone, che lo obbliga a balzare al livello del terreno.
E questa è la sua fine. Circondato da Hearst e compagni, il mostro viene sopraffatto a mani nude e bastonate.
"Che diavolo era?" chiede Gilead, osservando l'icore giallastro che esce da un'orrenda ferita sul cranio dello strano umanoide.
"Non lo so" risponde Gimble massaggiandosi la gola. "Ma credo che fosse una sorta di benvenuto..."

giovedì 14 ottobre 2010

193 - MONETE DI RAME

Hearst lascia cadere con noncuranza la porta della cella di Grolac, sradicata dai cardini senza particolare fatica. Nella luce dell'ultima candela rimasta, il nano si getta ai piedi del guerriero, abbracciandogli il polpaccio, ringraziandolo animatamente con l'atteggiamento di chi ormai ha perso ogni briciola di dignità.
Hearst scuote la gamba per liberarsi dalla presa, come se dovesse ricacciare un cane fastidioso.
"Non illuderti nano" dice Gimble, rifilando uno spintone al suo antico aguzzino "ti liberiamo solo perché per il momento ci servi, e perché voglio sapere cosa ne è di mia sorella. Noi ti tireremo fuori di qua, e tu farai la tua parte."
"Toglimi una curiosità" continua Juan. "Cos'hai fatto di così sbagliato per farti rinchiudere dalle Lacrime Rosse? Cosa c'entri tu con tutta la faccenda di Kade, di Henox, di Zaran..."
"Credo sia meglio che ci racconti quello che sai" conclude minaccioso Hearst, scrocchiando le dita.
Grolac arretra, tremante: "Sì, sì, vi dirò tutto, vi dirò tutto, ma non fatemi del male... del resto si sono sbarazzati di me perché sapevo troppo!"
Grolac parla veloce incalzato dallo sguardo interrogativo degli avventurieri. Approdato a Salamanca dopo essere sfuggito all'imboscata di Gimble alla Cueva del Gitano, il nano, indifeso senza le sue guardie del corpo, è stato presto oggetto delle attenzioni indesiderate della malavita.
Catturato dagli uomini di Kade, Grolac racconta di essersi pagato la vita e la libertà con le ultime monete rimaste.
Gimble ricorda le missive trovate nel covo del mefitico halfling, e le monete di Berenzan... ecco da dove venivano!
Ma non era finita: Kade gli offriva protezione, in cambio di un lavoretto per Zaran e Henox a Puerto del Principe. Quale occasione migliore per allontanarsi dall'isola di Salamanca?
"Cosa voleva da te il negromante?" gli chiede Gilead, senza riuscire a reprimere una smorfia di disgusto.
"Dovevo avvicinare Fomorio" risponde Grolac. "Zaran sapeva che quel piccoletto era un concentrato di risentimento. Deriso dalle donne, denigrato dai pescatori, ridicolizzato per le sue deformità. Io dovevo solo convincerlo a vendicarsi dei soprusi che subiva, moltiplicare il suo odio verso i concittadini, prepararlo a ciò che Zaran e Henox avevano in progetto. Io dovevo diventare per lui un punto di riferimento, un modello."
"Cosa intendi? Non capisco, cosa c'entra Fomorio?" chiede confusa Isabel, non intuendo la complessa trama ordita dal negromante e dalle Lacrime Rosse.
"La nostra comune deformità era la leva su cui agivo per conto di Zaran, per spingere Fomorio alla vendetta. La malattia... non era una vera malattia..."
Grolac abbassa lo sguardo, come se egli stesso si vergognasse di quello che aveva fatto.
"Zaran mi aveva fatto dare dei preparati a Fomorio, un contagiante, da spargere sulle monete di basso conio. Monete di rame, che avrebbe dato come resto alle donne che compravano il pesce, o ai pescatori che glielo fornivano."
In un lampo, tutto diventa chiaro. Isabel ricorda perfettamente il giorno in cui comprò il pesce da Fomorio. I guanti scuri... non per coprire le piaghe, ma per toccare senza pericoli il denaro.
E ancora, quella sua inconsapevole generosità verso il mercante, nel rifiutare il resto del suo pezzo d'argento. Un atto che la salvò dal contagio, ma allo stesso tempo fece inevitabilmente escludere la pista del pescivendolo.
"Sei un bastardo... meriteresti una morte atroce per quello che hai fatto!" sentenzia Gimble.
"Ma non avevo scelta! Le Lacrime Rosse mi avevano in pugno! Cosa avrebbero fatto di me se non obbedivo alle istruzioni di Zaran?" protesta Grolac.
"Cos'hanno fatto di te *comunque*..." sibila pungente Juan. "Perché la malattia? Perché uccidere tutta quella gente?"
"La malattia non uccideva, ma simulava la morte per molti giorni" risponde Grolac. "Non so quali fossero gli scopi di quei due pazzi, ma anche io sono stato contagiato, come anche voi, lo vedo dalle cicatrici delle vostre piaghe. Eppure sono qui, mi sono risvegliato, non sono morto. Come voi, del resto..."
"Schiavi!" esclama Rune, folgorato dall'intuizione. "Ecco come alimentavano la tratta. Nessuno reclama la sparizione di chi si crede essere morto! Ecco perché quel trasporto di cadaveri verso il porto, verso la Verconnes!"
"Ma è impossibile! Ho sondato i corpi nella cripta del cimitero con l'incantesimo di Visione della Morte, ed il responso era certo! Morti, erano morti!" ribatte incredula Isabel.
"Non prendertela, Contemplatrice" Grolac fa spallucce. "Dio solo sa di cosa è capace quel diavolo di un negromante!"
Isabel è sconvolta... tutta quella gente, una città in ginocchio. Zaran e le Lacrime Rosse hanno saputo sfruttare le debolezze, gli egoismi, la sete di potere, le frustrazioni di alcune persone nei punti cardine per attuare il loro piano perverso.
Fomorio... Grolac... Ramiro... Juanito...
Pian piano il mosaico si ricompone, pezzo dopo pezzo.
Quel barbone, morto per mano di Nataniel perché affermava di essere risorto... un altro indizio finito nel dimenticatoio! Altro che resurrezione! Lui, mendicante, abbandonatosi morente per la pestilenza in chissà quale recesso, era solo sfuggito alla capillare raccolta dei monatti...
Juan colpito dalla malattia per aver scassinato il magazzino di Callermont *dopo* la loro prima intrusione attraverso il cunicolo: è ovvio che qualcuno avesse cosparso di veleno il lucchetto...
E poi il contagio, che colpiva con quelle vistose piaghe sulle mani prima le donne e i pescatori... i primi che ricevevano i pezzi di rame di quell'ometto deforme...
"Perché la malattia non colpiva tutti? Perché una volta unte le monete, alcuni in una stessa famiglia sopravvivevano?" chiede confuso Rune.
"Perché probabilmente il veleno perdeva di efficacia ad ogni passaggio di mano, o con il tempo" risponde Grolac. "Questo è tutto ciò che so. Non so nulla degli schiavi di cui parlate, non sapevo cosa facessero dei corpi dei malati. So solo che dopo aver convinto Fomorio, non servivo più. Quindi mi hanno contagiato, e mi hanno sbattuto qui."
Juan rompe lunghi attimi di silenzio: "Sì, ma dov'è *qui*?"

venerdì 8 ottobre 2010

192 - NELLE MANI DEL NEMICO

Tornati nel corridoio delle celle, Gimble e Gilead proseguono fino ad una nuova svolta a destra. La candela è ormai agli sgoccioli, la fiamma va lentamente esaurendosi, finché solo l'oscurità circonda i nostri eroi.
"E' la terza svolta a destra, quasi certamente il corridoio si chiude su sé stesso, tornando alla cella dei nostri compagni" dice Gilead, facendo affidamento sulle proprie abilità di esploratore. "Non sono bravo quanto un nano nell'orientarmi sotto terra... ma se andiamo avanti a tastoni dovremmo riuscire a ricongiungerci agli altri."
Le previsioni di Gilead non sono errate. Grazie alla visione crepuscolare e alla debole luminescenza dei muschi, dopo una quarta svolta a destra, l'elfo e lo gnomo si riuniscono al resto del gruppo.
I vari tentativi di Hearst di scardinare la porta hanno nel frattempo dato i loro frutti: troppo malconcia per resistere a lungo alla forza bruta del guerriero.
Liberi dalla prigionia della minuscola cella, gli avventurieri discutono sul da farsi. Il ritrovamento di Grolac e la furia di Gimble non sono passati inosservati agli altri compagni, mentre Gilead comunica il risultato del loro breve giro di ricognizione.
Il più perplesso sembra Juan: "E' tutto troppo semplice... Hearst ci ha messo poco più di venti minuti a liberarci dalla prigionia. Possibile che Henox e Zaran abbiano commesso un errore così grossolano? Sapevano benissimo di cosa è capace il nostro bestione..."
"Ehi! Non sono un bestione!" ribatte risentito Hearst.
"Non è il momento" taglia corto Rune, "più che altro, cosa facciamo con Grolac?"
"Avrei voglia di ucciderlo..." risponde Gimble "ma quel bastardo è l'unico a sapere dov'è mia sorella, e baratterà quest'informazione con la sua libertà."
"Suggerisco di liberarlo" dice Gilead. "Ciò che afferma Gimble è vero. Inoltre Grolac potrebbe comunque tornarci utile... non sappiamo cosa ci aspetti, ed essere in sette anziché sei potrebbe essere un vantaggio. Inoltre credo che potrà chiarirci un bel po' di cose sull'attività delle Lacrime Rosse a Salamanca e Puerto del Principe. Del resto era citato in una delle lettere che abbiamo ritrovato nel covo di Kade."
"Già, ma potrebbe anche tradirci, consegnarci al nemico..." puntualizza Isabel.
Juan sogghigna, anche se nelle tenebre nessuno può vederlo: "Ma noi siamo *già* nelle mani del nemico..."

mercoledì 6 ottobre 2010

191 - LA FOLLIA DI SOPRAVVIVERE

La luce debole della candela illumina il corridoio di pietra mentre Gilead e Gimble lo percorrono. A intervalli regolari, su entrambi i lati, si aprono anguste celle, la maggior parte chiuse e vuote. Tuttavia alcune riservano invece macabre sorprese: lo scheletro di un uomo, ancora incatenato alle manette inchiodate alla parete più lontana, sicuramente morto di orribili stenti; un branco di topi, intento a pasteggiare con qualcosa di irriconoscibile; ed infine, dopo una prima svolta a destra, una cella aperta, in cui la fiamma tremolante della candela illumina il volto pallido e terrorizzato di un uomo.
"Per Dio!" esclama Gilead.
Seminudo, sudicio, con le carni scavate dalla magrezza, appena la luce e la voce dell'elfo lo avvicinano, questi si ritrae in un angolo, rannicchiato, fissando i due nuovi arrivati con gli occhi di chi guarda la morte.
"Chi siete? Calmatevi, non siamo qui per farvi del male" dice Gilead, cercando di tranquillizzare il prigioniero.
Nessuna risposta. L'uomo, muto e tremante, si limita a fissare terrorizzato dal suo angolo i nostri eroi. Altri tentativi di comunicare dell'elfo non ottengono alcun risultato.
"Gilead andiamo" esorta Gimble, "non possiamo fermarci ora, la candela non durerà all'infinito. Quest'uomo sembra divorato dalla follia. Se ci sarà modo di aiutarlo, lo faremo quando avremo trovato luce e un po' di cibo."
Il corridoio prosegue alternando prigioni su entrambi i lati fino ad una nuova svolta verso destra. Dopo alcuni metri, una porta di sbarre lascia intravedere una stanza più grande, probabilmente una vecchia guardiola. Nell'ambiente restano solo una vecchia sedia marcia e una cassapanca. Null'altro.
Gimble spinge la grata. Chiusa.
"Maledizione..." esclama irritato.
"Questo posto sembra in tutto e per tutto abbandonato. Guardiola sguarnita, da cui hanno portato via praticamente tutto, nessuna traccia di sentinelle..." Gilead si fa pensieroso. "Non capisco, che razza di luogo è mai questo? ...e non riesco a togliermi dalla testa quell'uomo Gimble. L'hai visto? Era consumato dalla pazzia. Attorno a lui c'era un cimitero di ossa di topo, viveva tra i suoi escrementi... e le dita... si era scarnificato le falangi a furia di mangiarsi le unghie! Eppure la sua cella era aperta, poteva uscire, ma non aveva chiaramente alcun luogo dove andare! E' forse questo il nostro unico destino? Perché *sopravvivere* perdendo ogni condizione umana? Io... io preferirei la morte ad un simile annullamento!"
Gimble risponde, dopo un'interminabile istante di riflessivo silenzio: "A volte si sopravvive solo nella speranza di riuscire un giorno a fuggire dall'incubo che si sta vivendo. Dipende se arriva prima quel giorno, o la follia."
Continuando l'esplorazione, i due s'imbattono in un passaggio che si apre sulla destra rispetto al corridoio principale. Gilead decide di vedere dove conduce. Dopo pochi metri, un'ulteriore svolta verso destra conduce in una stanza piuttosto grande che la candela non riesce ad illuminare interamente. Dei grossi topi, grandi quasi come cani, hanno occupato la sala facendone la loro tana, soffiando rabbiosi in direzione dell'invasore.
"Ratti crudeli..." constata Gilead. "Meglio evitarli per ora, fintanto che siamo disarmati..."

giovedì 30 settembre 2010

190 - RICATTO

"BASTARDO!!!"
Gimble non può trattenere il fiume impetuoso di rabbia e frustrazione, il desiderio di vendetta. Preda del suo istinto, lo gnomo si fionda sulle sbarre della cella del nano.
La sorpresa di Grolac è visibile: il nano urla ribaltandosi all'indietro, gattonando in preda al terrore verso la parete più lontana. L'espressione sul volto segnato dalle ustioni è quella di chi ha appena visto un fantasma.
Gimble, per quanto si sforzi, non può piegare le sbarre, unica salvezza per la vita di Grolac davanti al raptus dello gnomo. La sua furia, nell'impossibilità di stringere le mani attorno al collo del proprio nemico, si sfoga in una scarica di insulti irripetibili.
"Tu... tu..." balbetta Grolac nel panico, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
"Gimble! Calmati!"
La voce di Gilead alle spalle dello gnomo lo fa tornare alla realtà. L'elfo, grazie alla corporatura esile e agli sforzi di Hearst, è riuscito anch'egli a sgusciare fuori dalla cella.
Gli occhi impauriti di Grolac dimostrano che è riuscito a riconoscere uno degli assassini di Zarm e Udok, e che teme un fato analogo per sé stesso.
L'aria si riempie del respiro affannoso di Gimble, mentre cerca di riacquistare lucidità. E con l'affievolirsi dell'ira, le domande sgorgano impetuose dalle labbra dello gnomo..
"Cane di un nano, dov'è mia sorella? Perché siamo qua, imprigionati, perché lo sei anche tu? Cosa diavolo è successo? Cos'hai a che fare con tutta questa storia? Voglio saperlo!"
"Posso... posso spiegarti Gimble, ma... ma... ti prego, vi prego, liberatemi!"
Gimble sente la rabbia scaldargli le budella: "Quando ti libererò sarà per ucciderti, nano! Dimmi dov'è Bleena!"
Grolac capisce di avere in Bleena il suo asso nella manica: "N-no... non te lo dirò, se non mi tirate fuori da questo buco! Se muoio, la verità sulla sorte di tua sorella verrà con me!"
"Bastardo! Figlio di puttana! Osi ricattarmi?!" grida Gimble furente. "Ricorda bene che la tua prigione è la tua salvezza, se no ti avrei già ammazzato!"
"G-Gimble, hai ragione... ho fatto un sacco di cose sbagliate... ma adesso guarda che situazione! Non so nemmeno io dove siamo! Saranno settimane che sono qui dentro, in una cella con solo un acciarino e poche candele! Nessuno viene da giorni, nessuno porta cibo e acqua! Ho mangiato topi per sopravvivere e bevuto l'umidità dei muschi! Qui non c'è nessuno!" dice Grolac, con tono seriamente preoccupato. "Non puoi lasciarmi qua! Io... io ti ho preso con me quando nessuno ti voleva, ti ho nutrito e accudito! Sono stato come un padre per te! Non lasciarmi qui adesso, in nome dei vecchi tempi!"
"Non dire bestialità nano!!!" sbotta Gimble. "Sei sempre stato uno sfruttatore e un ladro! E ora dimmi tutto ciò che sai!"
Grolac, con occhi da cane bastonato, fa no con la testa, suscitando un nuovo accesso d'ira in Gimble.
"Gimble" sussurra Gilead avvicinandosi all'orecchio dello gnomo, "Grolac è l'unico a poterci dare effettivamente qualche informazione, e soprattutto ha ancora due candele. Lascia fare a me, fidati."
L'elfo si rivolge al nano sfregiato: "E va bene, ti tireremo fuori di qua in cambio di ciò che sai, ma dobbiamo trovare un modo per farlo. Dobbiamo esplorare queste prigioni in cerca delle chiavi, o di qualcosa per forzare la porta: ci servono le tue candele."
"No... le candele no..." bisbiglia Grolac con fare infantile. Un atteggiamento che rivela quanto in situazioni come questa, anche separarsi da un semplice oggetto sia come tagliare le funi che ti sorreggono dal cadere nel baratro della follia.
Gilead se ne avvede: "Non hai scelta, nano, ma capisco. Avvicinati, e daccene almeno una."

giovedì 23 settembre 2010

189 - GIMBLE SCHEPPEN

Appiattito alla parete, Gimble chiude gli occhi, trattenendo l'impeto di emozioni che lo attraversa. Rabbia, odio, la voglia di saltargli al collo e strangolarlo, per tutto il male che quel dannato nano gli ha procurato. Ma anche paura, incredulità, la sensazione di qualcosa di sbagliato in tutto ciò che sta accadendo, la sorpresa di trovare il suo peggior nemico, inseguito con tutte le sue forze per tanti anni, nell'ultimo luogo dove avrebbe immaginato di trovarlo, nel momento meno opportuno per poterlo affrontare.
I ricordi affiorano impetuosi, mentre Gimble si sforza di calmare il suo cuore impazzito. Ricorda i giorni felici della sua infanzia trascorsa a Wec, il minuscolo borgo ai piedi catena montuosa dell’Ulgoland dov'era nato, ultimo di ben dieci fratelli. Sua sorella maggiore Bleena era sempre con lui, affezionata compagna di giochi in quei tempi felici.
Wec era un crocevia obbligato per le carovane che trasportavano pietre preziose, marmi ed armi pregiate, provenienti dalle fucine naturali delle profondità vulcaniche del Regno dei Nani. Il villaggio viveva del loro passaggio.
Gimble non ricorda il lavoro di suo padre, ma ricorda bene come le cose cambiarono quando il commercio su strada venne progressivamente abbandonato a seguito dello sviluppo di una nuova rete di trasporto fluviale, più veloce e sicura. Wec veniva tagliato fuori dalla nuova rotta mercantile, e così veniva meno la sua prima fonte di sussistenza.
Gimble ricorda quanto amaramente suo padre parlava dei suoi debiti, ricorda i pianti di sua madre, ricorda il suo stomaco vuoto e la fame di troppe bocche in quella casa.
Poi un giorno arrivò quel nano con la faccia di ferro, con la sua sgangherata compagnia di artisti di strada. Furono i mezzorchi, Zarm e Udok, a prendere lui e Bleena e portarli sul carrozzone mentre il nano li stordiva di rassicurazioni. Suo padre li vendette per poche monete. Gimble non sa fino a che punto fargliene una colpa, col senno di poi. Erano in troppi da sfamare, e suo padre non sapeva più che pesci pigliare.
I primi tempi nella compagnia furono i più difficili. Gimble e Bleena non prendevano parte agli spettacoli, servivano solo come schiavi per quel nano malefico. Rammendare, pulire, cucinare, spazzare. Durante quei momenti orribili, Bleena si prese cura di Gimble come una madre. Era tanto dolce con tutti, povera Bleena, anche con chi la maltrattava. Dio solo sa quali soprusi ha dovuto subire e non ha mai confidato.
Grolac e i due mezzorchi erano persone terribili. Il nano, a parte l'aspetto inquietante dovuto alle ustioni su volto e braccio sinistro, procurate a suo dire dai pirati che lo catturarono da giovane quando faceva il mozzo a bordo di una nave, aveva un pessimo carattere.
Zarm e Udok non erano da meno, e addirittura durante gli spettacoli venivano travestiti da pagliacci per non spaventare gli spettatori. Grolac invece usava vestirsi da uomo di latta, proprio per camuffare le sue fattezze deformate.
Gli anni passavano, e Gimble cresceva. Nello strano progetto di Grolac, lo gnomo non era destinato a essere un servo per sempre. Il nano pian piano gli insegnò la recitazione, mentre la sorella continuava ad occuparsi della cucina, dei rammendi degli abiti di scena e di accudire le bestie.
Ma questa era solo l'attività diurna della compagnia, una misera copertura...
Durante la notte il furto, la rapina e il brigantaggio erano il vero affare redditizio della banda di Grolac: commesso il reato, il giorno seguente la compagnia era sparita, portando con sé la refurtiva.
Sempre più consapevole della vera natura di quegli individui crudeli e disonesti, Gimble maturò con Bleena il desiderio di scappare, anche se non sapevano dove andare e di cosa vivere. Non ci misero molto ad attuare il loro piano, ma purtroppo qualcosa andò storto.
Durante la fuga Zarm riuscì a riacciuffare Bleena. Gimble non dimenticherà mai quella corsa a perdifiato, con le lacrime che gli rigavano il volto, col desiderio impossibile di salvare la sorella. Bleena gli urlava di scappare, di non voltarsi, di non pensare a lei. Mentre fuggiva, mentre piangeva, Gimble giurò che un giorno l'avrebbe ritrovata, e che quel giorno sarebbe stato amaro per Grolac e i suoi scagnozzi.
Dopo la fuga, Gimble cominciò ad esibirsi da solo di paese in paese per mettere qualcosa sotto i denti, rubando come gli era stato insegnato solo quando la fame era troppa e i soldi troppo pochi.
Il destino volle che ad una di queste sue esibizioni assistesse per caso Sir Gion Laric, il primo attore di una nota compagnia teatrale itinerante chiamata “La Compagnia del Ciambellano”, che lo assunse inizialmente come comparsa. Grazie a questa nuova occasione, Gimble poté affinare notevolmente le sue doti di artista, e guadagnadosi in modo onesto la pagnotta.
Da lì a poco la Compagnia fu scritturata per esibirsi in maniera stanziale al palazzo del Barone di Zelidar, e Gimble riuscì poco alla volta ad accumulare un bel gruzzolo.
Gimble non era più uno straccione, avrebbe potuto vivere dignitosamente a lungo alla corte del Barone. Ma il suo giuramento, il sapere sua sorella nelle mani di quel nano maledetto, non gli dava pace.
Gimble chiedeva di quella strampalata compagnia di strada a tutti i viaggiatori di passaggio, sia a palazzo che nelle taverne, finché un giorno la sua perseveranza venne premiata. Un mercante gli assicurò che Grolac si era diretto verso le Isole Coloviane. Gimble non esitò ad imbarcarsi, portando con sé tutti i suoi risparmi per assoldare dei mercenari e farla pagare al nano. Era sicuro che presto avrebbe riabbracciato sua sorella Bleena...

mercoledì 22 settembre 2010

188 - UNA VOCE NEL BUIO

Hearst stringe i denti. I muscoli si contraggono, gonfiandosi nello sforzo di piegare il metallo delle sbarre. Il guerriero si sorprende debole e stanco. In normali condizioni non avrebbe faticato così tanto, con barre tanto malconce. Tuttavia, dopo alcuni tentativi, Hearst riesce a creare una divaricazione sufficiente a far uscire Gimble.
Lo gnomo varca l'uscita: "Troverò un modo per tirarvi fuori di qui..."
Senza avere alcuna ragione particolare, Gimble imbocca il corridoio verso destra, tenendosi rasente al muro, tastando ad ogni passo la parete con la mano. Se ci sono altre celle, o passaggi, se ne accorgerà.
Dopo alcuni metri nell'oscurità, Gimble urta qualcosa con la punta dello stivale. Il rumore di una pietra che rotola si diffonde nel silenzio.
"Chi c'è?"
Gimble rimane paralizzato dalla sorpresa. Ha sentito bene o ha le traveggole? Una voce? Allora c'è qualcun altro! Quel dannato sasso ha tradito la sua presenza. D'istinto lo gnomo si appiattisce ancora di più alla parete.
"C'è... c'è qualcuno?" chiede timorosa la misteriosa voce. "Vi prego... c'è qualcuno?"
Gimble fissa il vuoto, appoggiato con la schiena al muro. Dalla cella più avanti si sente il rumore di una pietra che sfrega sulla superficie ruvida di un acciarino. Il cuore dello gnomo batte all'impazzata, le emozioni lo assalgono.
"Vi prego... chi c'è? Io... io non ho fatto nulla..."
La fiamma di una candela s'accende, illuminando con la sua luce debole una cella, qualche metro più avanti.
Ma Gimble non ha bisogno di vedere. Conosce quella voce.
Grolac.

venerdì 17 settembre 2010

187 - ANCORA VIVI

Buio. Qualcosa di umido si appoggia alla guancia.
Dove sono? Che giorno è?
Gimble si sforza di ricordare; le ultime memorie si fermano allo scontro nel magazzino, poi il vuoto.
Però è ancora vivo. E questo è ancora più strano. Perché? Cosa impediva alle Lacrime Rosse di ucciderlo? Forse i suoi compagni ce l'hanno fatta...
La visione crepuscolare di Gimble si adatta man mano all'oscurità, sfruttando l'impercettibile fosforescenza emessa da alcuni muschi, cresciuti negli interstizi tra le pietre del muro e del soffitto di questo luogo. Già, un muro, qualcosa di artificiale.
Uno squittire vicino all'orecchio lo strappa dalle sue congetture. Un topo! Con istintiva repulsione Gimble si sforza di tirarsi su, seduto. Ogni movimento fa dolorare i muscoli intorpiditi, ma ancora di più alcune piaghe, sebbene in via di guarigione. Gimble le sente e le tasta, inorridendo mentre realizza che sono i segni della malattia. Eppure... è ancora vivo, e non si sente male.
Cosa mi sta accadendo?
Gimble sente un lamento vicino. Si volta, procurandosi un fastidioso dolore al collo. Cerca con le mani, a tastoni finché non riconosce la sagoma vicino a lui.
"Isabel! Per Dio, sei viva!" bisbiglia. "Riprenditi, ti prego!"
Lentamente anche la sacerdotessa ritorna in sé, sebbene ancora confusa: "Gimble, dove... dove siamo?" sussurra sottovoce.
"Non lo so. Non so nemmeno perché non ci abbiano ucciso" risponde lo gnomo. "Mi hanno portato via tutto, a parte i vestiti" continua, constatando peraltro il cattivo stato in cui versano, logori e sporchi, intrisi delle secrezioni delle piaghe.
"Il mio simbolo sacro! Mi hanno sottratto anche quello!" conferma preoccupata la chierica.
Gimble si alza, muovendosi a tentoni nel buio. Ma in quella che si rivela essere una minuscola cella, non fatica a trovare anche gli altri quattro compagni. Li sveglia, uno a uno. Ed ognuno ha le stesse domande, le stesse perplessità.
Zaran e Henox avrebbero potuto ucciderli, ma non l'hanno fatto. Perché? Quale terribile vendetta stanno architettando?
Tutti i nostri eroi sono stati contagiati dalla malattia, tutti ne portano i segni. Eppure nessuno è morto. Anche Juan, il primo ad essere infettato, ora sta bene. Anzi, le sue piaghe sono ormai quelle in condizioni migliori.
Nessuno ha idea di quanto tempo sia passato, da quanto tempo siano rinchiusi lì dentro. Tuttavia i morsi della fame e della sete indicano che sono *giorni*. Nessuno ha portato acqua o cibo in questa prigione. Sono forse stati sepolti vivi? E' questo il destino loro riservato?
Gilead suggerisce di placare la sete leccando l'umidità condensata sui muschi. Non ha il coraggio, invece, di proporre ciò che tutti pensano per contrastare la fame, anche se l'incessante squittire dei topi è un continuo invito a farlo. L'elfo stringe il monile regalatogli da Melira, fortunatamente ancora al suo collo. In situazioni simili, sono oggetti come questo ad impedirti di superare l'orlo della follia.
Lo stomaco di Hearst brontola senza ritegno. Il guerriero si alza e incede a tastoni, fino a quando non incontra le sbarre della cella. Non c'è luce fuori, da nessuna parte. Non un bagliore di torcia, non una finestra.
"Non possiamo stare qui ad aspettare che ci portino il rancio." Hearst afferra le sbarre tra le mani, e si appresta a far forza. "E' ora di uscire per cena!"