mercoledì 26 ottobre 2011

261 - SCRUPOLI DIMENTICATI

Rune evita di un soffio una delle lame del mezzelfo che gli sibila un'unghia sopra i capelli, rispondendo con una spazzata rapida. Tuttavia, anche il suo avversario fa dell'agilità la sua forza, e con un balzo indietreggia evitando il colpo alle gambe del monaco.
Rune non demorde, usa l'inerzia della spazzata per ruotare su sé stesso e sferrare una primo calcio a media altezza, quindi un secondo al volto. Il mezzelfo arretra verso il grifone roteando le lame, Rune risponde con gioco di gambe, innescando un fulmineo balletto di morte. Ad un tratto però, la bestia metà aquila metà leone stride infastidita, sbattendo le ali per scacciare l'intruso. Il monaco balza di lato, toglie per un istante gli occhi dal nemico, si distrae. Una lama luccica dietro le piume dell'ala che si alza, in un attimo sente il metallo scorrergli sulla pelle del braccio levato d'istinto per difendersi.
Due balzi all'indietro, e il sangue che cola caldo fino alle dita. Non ci voleva un'altra ferita, sia lui che i compagni sono allo stremo.
Già, i compagni...
Lo scudo di una guardia colpisce violentemente Gilead. Il contraccolpo della carica costringe l'elfo a indietreggiare cercando di mantenere l'equilibrio, ma il baratro è proprio alle sue spalle. Ruota le braccia, con un colpo di reni evita di precipitare, ma l'avversario sghignazza pregustando una facile vittoria, mentre si prepara a una seconda, decisiva spinta.
Juan, in aiuto a Hearst nell'impedire alle guardie provenienti da sotto di salire sul pianerottolo, se ne avvede. Nonostante la stanchezza e le ferite, il coloviano balza come un gatto alle spalle del soldato del Duca, infilzandogli un coltellaccio da cucina nella nuca, sotto l'elmo. Non si accorge nemmeno di morire, con il ghigno di vittoria stampato sul volto mentre cade a terra senza vita.
Juan fa una smorfia, Gilead lo guarda senza dire una parola: "Mi devi la pelle, elfo. Ricordalo."
Dall'altro lato, Isabel tiene a bada il secondo uomo di Carnegie, difendendosi alla meglio con l'unica arma a sua disposizione, lo scettro del Duca. Lo sgherro mena fendenti ed elargisce epiteti poco gentili nei confronti della sacerdotessa con il medesimo impegno, sbavando come un cane rabbioso. Un paio di colpi vanno a segno, provocando ferite lievi. Le urla compiaciute del marrano coprono le rime bisbigliate di Gimble.
"Ahahah!!! Dannata puttana! Tra poco ti farò---"
Il volto rabbioso dell'uomo assume per un istante un'espressione frastornata. Pochi secondi in cui abbassa la guardia, in cui Gimble osserva soddisfatto l'effetto del suo incantesimo, in cui Isabel solleva il pesante scettro metallico e lo cala senza pietà sulla sua fronte, stampando per sempre quell'espressione beota sul suo viso, mentre cade a terra senza vita.
"Insolitamente efficace per essere solamente uno scettro" commenta soddisfatta Isabel.

Nonostante le continue imprecazioni di Hearst di fare in fretta, Rune aspetta. Con il supporto delle incursioni di Juan e Gilead, ormai liberatisi dei propri avversari, il mezzelfo guardiano ha i minuti contati. Il grifone è imbizzarrito, risponde a fatica persino ai comandi del suo addestratore. Presto dovrà allontanarsi dalla bestia se non riesce a calmarla, lo sbattere d'ali diventerà troppo pericoloso anche per lui, e allora non basterà la sua spada a due lame.
Il mezzelfo sibila comandi secchi e nervosi, che non ottengono nessun effetto. Suda, paonazzo in viso per la rabbia, gli occhi corrono come schegge, pieni di paura, in cerca di una via d'uscita che non c'è.
Alla fine, come previsto, il custode tenta un attacco disperato su Rune. Il monaco incassa, ma in un batter d'occhio Gilead e Juan gli sono addosso coi coltelli, lo colpiscono alle braccia, alla gola, in faccia, con la forza della disperazione, ignorando le sue grida strazianti per una fine orribile, senza scrupoli. Scrupoli dimenticati molti metri sottoterra.

venerdì 21 ottobre 2011

260 - IL GRIFONE

Lo slancio con cui Hearst arriva nel torrione fa fischiare il cuoio degli stivali mentre frena la sua corsa. Si sentono i passi di due guardie che salgono rapide le scale che provengono dai piani inferiori.
Quando la prima fa capolino nella stanza non ha nemmeno il tempo di accorgersi del suo destino: la mannaia del guerriero trapassa l'elmo schiantandosi sul viso del malcapitato, tra mandibola e mascella, facendo schizzare sul pavimento denti e lingua. Il secondo avversario tenta un goffo affondo con la spada, ma evitato il colpo Hearst lo afferra per il bavero dell'armatura e lo trascina su approfittando del suo slancio, per finirlo poi con un colpo da macellaio alla nuca. Il tutto mentre i compagni, entrati a loro volta al riparo nella torre, impegnano le scale che conducono di sopra, al sottotetto.
Hearst slaccia rapido i lacci e le fibbie dell'armatura di scaglie di una delle sue vittime, se la infila alla meglio.
Urla e sferragliare di passi sulle scale indicano che altri scherani del Duca stanno arrivando dal cortile.
"Lascia perdere!" urla Juan al guerriero. "Ne arrivano altri!"
Hearst raccoglie una spada e scatta sugli scalini, risalendoli due alla volta.

Rune e Gilead sono i primi a raggiungere la sommità. Il tetto della torre è sorretto da quattro grandi volte, una per lato; le ampie arcate senza parapetto si aprono sul vuoto, spazzate dal vento.
Il monaco non sa trattenere un ammirato stupore alla vista della maestosa bestia che si para loro davanti: un possente grifone, metà leone e metà aquila, si erge fiero al centro del pianerottolo, con la testa alta puntata verso un orizzonte lontano, sebbene vispi occhi da rapace sotto i pregiati finimenti esaminino attenti ogni movimento dell'ambiente circostante.
Tuttavia, due guardie e un mezzelfo vestito con un elaborato corpetto di cuoio abbellito da stoffe verde smeraldo e armato di spada a due lame si frappongono tra gli avventurieri e la loro potenziale salvezza.
Senza dire una parola il mezzelfo, presumibilmente custode e addestratore della creatura, comincia a roteare minaccioso e abile la sua arma. Rune lo studia muovendo qualche passo di lato, assumendo d'istinto la postura di combattimento della sua scuola.
Grolac bestemmia e sputa per terra, rivolgendosi a Gimble: "E secondo te quella bestiaccia ci porterà fuori di qui?!? Non ce la farà mai a portarci tutti quanti!"
Il grifone emette un lamento stridulo.
"Deve farcela!" risponde lo gnomo, in dubbio se credere alle sue stesse parole. "Ma prima dobbiamo sistemare questi bastardi!"

mercoledì 12 ottobre 2011

259 - I BASTIONI DEL PENITENZIARIO

L'ennesimo corridoio, le ennesime guardie che sbucano da ogni dove all'inseguimento, gli ennesimi dardi che sibilano prima che gli avventurieri trovino riparo dietro una svolta. Una grande arcata conduce nell'atrio di un torrione in cui una scala a chiocciola sale arrampicandosi lungo le pareti interne. Il cuoco non mentiva.
Mentre i compagni si affrettano verso l'unica via di fuga possibile, Rune si ferma di scatto. Nonostante la concitazione nota un grosso argano oltre l'entrata, le cui spesse funi sollevano attraverso un sistema di carrucole una pesante grata di ferro battuto.
Il monaco non esita un secondo, e incitando i compagni a proseguire, comincia a ruotare il meccanismo.
"Dannazione, è lento come la fame!"
Rune maledice il marchingegno di contrappesi che permette una discesa lenta della grata, mentre la prima delle guardie svolta l'angolo.
D'impeto Hearst torna indietro e sferra un poderoso colpo di mannaia su uno dei tiranti. La corda si svolge in un batter d'occhio, e un istante dopo le sbarre separano i nostri eroi dagli inseguitori.
Juan guarda ironico Hearst mentre salgono i gradini: "La solita delicatezza..."
"Funziona."

La scala termina nel sottotetto della torre, che si apre sui ballatoi delle mura merlate con due grandi arcate dotate di grata a saracinesca, tra loro perpendicolari . Il subbuglio, le urla degli uomini del Duca, sono per un attimo lontani. La luce del giorno filtra intensa, il cielo tropicale percorso da rare nuvole è di un azzurro abbagliate. La brezza marina riempie i polmoni, mischiandosi ai profumi della vegetazione.
"Finalmente fuori..." esulta Juan.
"No, non ancora. Dobbiamo trovare il bastione che conduce alle porte della fortezza" afferma Grolac, guardandosi attorno per orientarsi. "Se il cuoco diceva che per raggiungere l'uscita bisognava tornare alla sala da pranzo... di qua!"
Il nano si getta verso l'argano a ruota che comanda la grata, sollevandola. Davanti ai nostri eroi cinquanta metri di passerella lungo le mura portano ad una torre molto più grande dell'attuale, di diversi piani più alta. Vista l'assenza di soldati del Duca, il gruppo impegna senza esitazione l'attraversamento.
Dal lato sinistro i bastioni danno verso la foresta esterna, elevandosi almeno trenta piedi: un salto troppo rischioso. Da qui si vede tutta l'isola fino al mare, con le sue torrette e le palizzate perimetrali.
Dall'altro lato invece c'è il cortile della fortezza, in cui si stanno radunando arcieri, balestrieri e maghi. Il Duca sembra non voler risparmiare alcun mezzo per riprendere i fuggiaschi.
I nostri eroi sono circa a metà passerella quando alcune guardie sbucano dalla torre da cui provenivano: non c'è voluto molto perché sollevassero la grata. Le urla degli inseguitori attirano l'attenzione delle truppe nello spiazzo sottostante.
"Veloci! Veloci!"
Frecce, dardi, incantesimi saettano dappertutto. Raggi roventi e gelidi provocano dolorose ustioni, gli avventurieri stringono i denti, gli ultimi metri sembrano non finire mai. Di sotto pare di sentir tuonare la voce furibonda di Carnegie, ma non importa, l'unico obiettivo è raggiungere la torre maestra per ripararsi... o per restare nuovamente intrappolati... salire non porterà da nessuna parte, scendere vorrà dire affrontare l'esercito del Duca.
Gimble solleva istintivamente lo sguardo verso la sommità della torre, per scacciare i pensieri nefasti, come a implorare un aiuto divino. E' là che scorge la speranza. Non tutto è perduto.

domenica 9 ottobre 2011

258 - NEI MEANDRI DELLA FORTEZZA

Il lungo corridoio ornato da drappi porpora che s'intervallano alle fiaccole alle pareti termina bruscamente con un'arcata che si apre su uno stretto pianerottolo, il cui parapetto in stile coloniale contrasta nettamente con l'austerità degli interni della fortezza. Da entrambi i lati due distinte rampe di scale scendono nell'immensa sala da pranzo sottostante, lunga almeno quaranta cubiti. Un maestoso tavolo di legno massello - apparecchiato con stoviglie d'argento e imbellettato con fiori tropicali - e le sedie per i commensali riempiono gran parte dell'ambiente, illuminato da due grandi lampadari a candelabro in ferro battuto che pendono dal soffitto.
Diverse porte si affacciano alla sala, mentre dall'altro lato un pianerottolo simmetrico a quello di provenienza conduce chissà dove.
"Ci sono alle calcagna!" esclama Grolac, voltandosi per verificare la distanza dei loro inseguitori.
"Ne arrivano anche dalle porte di sotto!" afferma Gilead: il suo udito non lo inganna. L'elfo decide di perdere il meno tempo possibile. "Fate come me!"
Detto fatto balza dalla balaustra verso il primo dei lampadari, sufficientemente basso da essere raggiunto in salto. Tuttavia, la fretta è cattiva consigliera, l'elfo scivola e manca la presa, precipitando sulla tavola imbandita, riuscendo ad evitare una dolorosa caduta grazie ad un'agile capriola, ma non mancando di distruggere le stoviglie e di creare un gran trambusto.
"Idiota..." commenta Juan. "Come se non avessimo già abbastanza problemi... Hearst, Rune, Isabel! Datemi una mano, blocchiamo tutte le entrate laterali con sedie e credenze. Ormai mezza fortezza sa che siamo qui, dobbiamo rallentarli il più possibile!"
Gli avventurieri scendono nella sala da pranzo, seguono il consiglio di Juan bloccando alla meglio le porte laterali, ma dopo pochi secondi le guardie inseguitrici fanno capolino sulla balaustra. Una di loro, probabilmente un ufficiale, ordina ad alcuni dei suoi di avanzare, scomodando diversi Santi nell'atto di impartire il comando.
"Merda! Balestrieri!" urla Gimble. La sua voce si sovrappone allo schioccare dei meccanismi delle balestre. I dardi sibilano nella stanza, schiantandosi sulle sedie, sui vassoi che Gilead usa come riparo, sulle credenze spostate, sul parapetto coloniale dall'altro lato della stanza, mentre gli avventurieri cercano di guadagnare l'uscita opposta. Juan, Isabel e Grolac riportano ferite superficiali, ma stringono i denti, lanciandosi oltre l'arcata del pianerottolo.
Un ennesimo corridoio, dritto e lungo, li rende bersagli facili per i tiratori. Hearst, che guida la fuga, inchioda davanti alla prima porta che si apre sulla parete sinistra del passaggio, e grugnendo scarica tutto il suo peso sull'uscio. La porta si spalanca di schianto, rivelando un'ampia cucina nella quale un cuoco, per lo spavento, lancia sul soffitto le uova che aveva in mano.
Il pover'uomo prova a proferire parola, ma ogni suono gli si strozza in gola per la paura mentre gli avventurieri senza prestare attenzione alla sua presenza, fanno incetta di coltelli e mannaie.
Quando Juan si gli rivolge la parola, il cuoco trema come una foglia: "Dove porta quella? Porta fuori?" chiede minaccioso il coloviano, indicando una seconda uscita dalle cucine.
"N...no... va ad una delle torri... verso la sommità delle mura..." balbetta il malcapitato.
"Parla, razza di idiota! Non farmi perdere tempo! Come si esce da qua?" lo incalza Juan, sul punto di perdere la pazienza.
"Da... da qui bisogna tornare alla sala da pranzo, prendere la porta sulla destr..."
Juan spintona bruscamente il cuoco, che perde l'equilibrio e cade a terra. "Vaffanculo... indietro non si torna, troppe guardie..."
"Juan, stanno arrivando..." fa notare Hearst. Allo stesso tempo, indica il mastodontico pentolone di sbobba che bolle sul focolare al centro della cucina. Juan annuisce. Entrambi afferrano degli stracci.
I due fanno cenno ai compagni di andare avanti. Poi, quando lo sferragliare d'armature è prossimo all'entrata della cucina, servono il pasto caldo direttamente sulla pelle degli scherani di Carnegie. Le prime guardie investite in pieno urlano di dolore per le ustioni, ma la minestra untuosa che invade il corridoio è efficace anche sul resto degli inseguitori. Il susseguirsi di cadute e imprecazioni ne è testimonianza.

lunedì 3 ottobre 2011

257 - ALLARME!

Una svolta a sinistra. Una a destra, poi l'anonimo corridoio di pietra grigia che prosegue dinanzi a loro. Una scala scende attraverso un'arcata sulla destra, pochi metri avanti. Fiaccole alle pareti, che gli avventurieri sfilano dai supporti: saranno utili. Dietro, le urla del Duca si mischiano allo sferragliare delle armature delle guardie.
La luce di torce in avvicinamento illumina il fondo del corridoio. Hearst impreca. Altre guardie, una punta il dito contro di loro. "Eccoli!" la sua voce rimbomba dentro l'elmo metallico che gli copre quasi tutto il volto.
"Le scale!" grida prontamente Gimble, impegnando con i compagni una discesa rocambolesca, saltando due, tre gradini alla volta. La scala si avvolge su sé stessa in angoli retti, percorrendo la parete interna di un maschio a base quadrata senza aperture sull'esterno, gli avventurieri corrono a perdifiato, col fiatone e il battito che gli pulsa nelle orecchie. Poi la discesa s'arresta bruscamente.
All'improvviso da un angolo svoltano quattro armigeri. I loro volti esprimono sorpresa, ancora inconsapevoli dell'allarme, ma immediatamente sfoderano le spade, pronti a fronteggiare i fuggiaschi. Impossibile per gli avventurieri risalire: i passi metallici provenienti da sopra indicano inequivocabilmente che le guardie del Duca presto li coglieranno alle spalle. Hanno solo una manciata di secondi per aprirsi la via.
Gilead, in testa al gruppo si lancia disperatamente sul nemico più vicino, afferrandogli l'elsa della spada appena sfoderata prima che si metta in guardia. Forte della sorpresa, l'elfo piega i polsi dell'avversario, quindi fa una giravolta su sé stesso usando il proprio corpo per obbligare il nemico a mollare la presa sull'arma. Un'imprecisione nella mossa e il contatto con la lama gli aprono una ferita sul fianco, superficiale ma dolorosa. Gilead stringe i denti, e ormai padrone dell'arma completa la giravolta con maggiore slancio, lasciando che la spada affondi sotto l'ascella del suo avversario, che crolla a terra urlando di dolore.
Intanto i compagni, imitando il disperato tentativo dell'elfo si gettano di peso sulle altre guardie, cercando di spingerli giù dalle scale prima che prendano posizione. Le spade guizzano nella luce delle torce, aprendo dolorosi tagli nella pelle degli avventurieri prima che riescano ad avventarsi sui soldati, ma Rune e Hearst non demordono. I gradini scivolosi e le armature metalliche fanno il resto, e pochi attimi dopo i nemici stanno ruzzolando lungo le scale in un groviglio di ferraglia.
Nel frattempo Juan, attento alla retroguardia, sfrutta le zone di penombra per assalire il primo degli inseguitori ad arrivare fin lì - un tizio dai denti scheggiati in armatura leggera - nella speranza di dare ulteriore vantaggio ai compagni, ma la sorte non è dalla sua parte. Quasi fosse una premonizione, il nemico guarda inaspettatamente dalla parte del coloviano proprio mentre questi si appresta a spezzargli l'osso del collo. Con un movimento istintivo lo scagnozzo del Duca evita l'assalto di Juan, rispondendo di spada con un colpo impreciso ma sufficiente ad allontanare la minaccia.
Juan balza verso i compagni, superando le guardie in armatura aggrovigliate tra loro, mentre il soldato dai denti scheggiati si ferma ad aiutare, rinunciando ad una pericolosa rincorsa solitaria e chiamando a gran voce rinforzi.
Scale, scale e scale. Poi un corridoio, da che parte? Non importa. Di corsa, a perdifiato. Si sentono urla trambusto, clangore di armi e armature dappertutto. Tutta la fortezza è in sobbuglio, l'allarme è scattato.
Nessuno scappa da Isla del Quitrin.