giovedì 30 settembre 2010

190 - RICATTO

"BASTARDO!!!"
Gimble non può trattenere il fiume impetuoso di rabbia e frustrazione, il desiderio di vendetta. Preda del suo istinto, lo gnomo si fionda sulle sbarre della cella del nano.
La sorpresa di Grolac è visibile: il nano urla ribaltandosi all'indietro, gattonando in preda al terrore verso la parete più lontana. L'espressione sul volto segnato dalle ustioni è quella di chi ha appena visto un fantasma.
Gimble, per quanto si sforzi, non può piegare le sbarre, unica salvezza per la vita di Grolac davanti al raptus dello gnomo. La sua furia, nell'impossibilità di stringere le mani attorno al collo del proprio nemico, si sfoga in una scarica di insulti irripetibili.
"Tu... tu..." balbetta Grolac nel panico, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
"Gimble! Calmati!"
La voce di Gilead alle spalle dello gnomo lo fa tornare alla realtà. L'elfo, grazie alla corporatura esile e agli sforzi di Hearst, è riuscito anch'egli a sgusciare fuori dalla cella.
Gli occhi impauriti di Grolac dimostrano che è riuscito a riconoscere uno degli assassini di Zarm e Udok, e che teme un fato analogo per sé stesso.
L'aria si riempie del respiro affannoso di Gimble, mentre cerca di riacquistare lucidità. E con l'affievolirsi dell'ira, le domande sgorgano impetuose dalle labbra dello gnomo..
"Cane di un nano, dov'è mia sorella? Perché siamo qua, imprigionati, perché lo sei anche tu? Cosa diavolo è successo? Cos'hai a che fare con tutta questa storia? Voglio saperlo!"
"Posso... posso spiegarti Gimble, ma... ma... ti prego, vi prego, liberatemi!"
Gimble sente la rabbia scaldargli le budella: "Quando ti libererò sarà per ucciderti, nano! Dimmi dov'è Bleena!"
Grolac capisce di avere in Bleena il suo asso nella manica: "N-no... non te lo dirò, se non mi tirate fuori da questo buco! Se muoio, la verità sulla sorte di tua sorella verrà con me!"
"Bastardo! Figlio di puttana! Osi ricattarmi?!" grida Gimble furente. "Ricorda bene che la tua prigione è la tua salvezza, se no ti avrei già ammazzato!"
"G-Gimble, hai ragione... ho fatto un sacco di cose sbagliate... ma adesso guarda che situazione! Non so nemmeno io dove siamo! Saranno settimane che sono qui dentro, in una cella con solo un acciarino e poche candele! Nessuno viene da giorni, nessuno porta cibo e acqua! Ho mangiato topi per sopravvivere e bevuto l'umidità dei muschi! Qui non c'è nessuno!" dice Grolac, con tono seriamente preoccupato. "Non puoi lasciarmi qua! Io... io ti ho preso con me quando nessuno ti voleva, ti ho nutrito e accudito! Sono stato come un padre per te! Non lasciarmi qui adesso, in nome dei vecchi tempi!"
"Non dire bestialità nano!!!" sbotta Gimble. "Sei sempre stato uno sfruttatore e un ladro! E ora dimmi tutto ciò che sai!"
Grolac, con occhi da cane bastonato, fa no con la testa, suscitando un nuovo accesso d'ira in Gimble.
"Gimble" sussurra Gilead avvicinandosi all'orecchio dello gnomo, "Grolac è l'unico a poterci dare effettivamente qualche informazione, e soprattutto ha ancora due candele. Lascia fare a me, fidati."
L'elfo si rivolge al nano sfregiato: "E va bene, ti tireremo fuori di qua in cambio di ciò che sai, ma dobbiamo trovare un modo per farlo. Dobbiamo esplorare queste prigioni in cerca delle chiavi, o di qualcosa per forzare la porta: ci servono le tue candele."
"No... le candele no..." bisbiglia Grolac con fare infantile. Un atteggiamento che rivela quanto in situazioni come questa, anche separarsi da un semplice oggetto sia come tagliare le funi che ti sorreggono dal cadere nel baratro della follia.
Gilead se ne avvede: "Non hai scelta, nano, ma capisco. Avvicinati, e daccene almeno una."

giovedì 23 settembre 2010

189 - GIMBLE SCHEPPEN

Appiattito alla parete, Gimble chiude gli occhi, trattenendo l'impeto di emozioni che lo attraversa. Rabbia, odio, la voglia di saltargli al collo e strangolarlo, per tutto il male che quel dannato nano gli ha procurato. Ma anche paura, incredulità, la sensazione di qualcosa di sbagliato in tutto ciò che sta accadendo, la sorpresa di trovare il suo peggior nemico, inseguito con tutte le sue forze per tanti anni, nell'ultimo luogo dove avrebbe immaginato di trovarlo, nel momento meno opportuno per poterlo affrontare.
I ricordi affiorano impetuosi, mentre Gimble si sforza di calmare il suo cuore impazzito. Ricorda i giorni felici della sua infanzia trascorsa a Wec, il minuscolo borgo ai piedi catena montuosa dell’Ulgoland dov'era nato, ultimo di ben dieci fratelli. Sua sorella maggiore Bleena era sempre con lui, affezionata compagna di giochi in quei tempi felici.
Wec era un crocevia obbligato per le carovane che trasportavano pietre preziose, marmi ed armi pregiate, provenienti dalle fucine naturali delle profondità vulcaniche del Regno dei Nani. Il villaggio viveva del loro passaggio.
Gimble non ricorda il lavoro di suo padre, ma ricorda bene come le cose cambiarono quando il commercio su strada venne progressivamente abbandonato a seguito dello sviluppo di una nuova rete di trasporto fluviale, più veloce e sicura. Wec veniva tagliato fuori dalla nuova rotta mercantile, e così veniva meno la sua prima fonte di sussistenza.
Gimble ricorda quanto amaramente suo padre parlava dei suoi debiti, ricorda i pianti di sua madre, ricorda il suo stomaco vuoto e la fame di troppe bocche in quella casa.
Poi un giorno arrivò quel nano con la faccia di ferro, con la sua sgangherata compagnia di artisti di strada. Furono i mezzorchi, Zarm e Udok, a prendere lui e Bleena e portarli sul carrozzone mentre il nano li stordiva di rassicurazioni. Suo padre li vendette per poche monete. Gimble non sa fino a che punto fargliene una colpa, col senno di poi. Erano in troppi da sfamare, e suo padre non sapeva più che pesci pigliare.
I primi tempi nella compagnia furono i più difficili. Gimble e Bleena non prendevano parte agli spettacoli, servivano solo come schiavi per quel nano malefico. Rammendare, pulire, cucinare, spazzare. Durante quei momenti orribili, Bleena si prese cura di Gimble come una madre. Era tanto dolce con tutti, povera Bleena, anche con chi la maltrattava. Dio solo sa quali soprusi ha dovuto subire e non ha mai confidato.
Grolac e i due mezzorchi erano persone terribili. Il nano, a parte l'aspetto inquietante dovuto alle ustioni su volto e braccio sinistro, procurate a suo dire dai pirati che lo catturarono da giovane quando faceva il mozzo a bordo di una nave, aveva un pessimo carattere.
Zarm e Udok non erano da meno, e addirittura durante gli spettacoli venivano travestiti da pagliacci per non spaventare gli spettatori. Grolac invece usava vestirsi da uomo di latta, proprio per camuffare le sue fattezze deformate.
Gli anni passavano, e Gimble cresceva. Nello strano progetto di Grolac, lo gnomo non era destinato a essere un servo per sempre. Il nano pian piano gli insegnò la recitazione, mentre la sorella continuava ad occuparsi della cucina, dei rammendi degli abiti di scena e di accudire le bestie.
Ma questa era solo l'attività diurna della compagnia, una misera copertura...
Durante la notte il furto, la rapina e il brigantaggio erano il vero affare redditizio della banda di Grolac: commesso il reato, il giorno seguente la compagnia era sparita, portando con sé la refurtiva.
Sempre più consapevole della vera natura di quegli individui crudeli e disonesti, Gimble maturò con Bleena il desiderio di scappare, anche se non sapevano dove andare e di cosa vivere. Non ci misero molto ad attuare il loro piano, ma purtroppo qualcosa andò storto.
Durante la fuga Zarm riuscì a riacciuffare Bleena. Gimble non dimenticherà mai quella corsa a perdifiato, con le lacrime che gli rigavano il volto, col desiderio impossibile di salvare la sorella. Bleena gli urlava di scappare, di non voltarsi, di non pensare a lei. Mentre fuggiva, mentre piangeva, Gimble giurò che un giorno l'avrebbe ritrovata, e che quel giorno sarebbe stato amaro per Grolac e i suoi scagnozzi.
Dopo la fuga, Gimble cominciò ad esibirsi da solo di paese in paese per mettere qualcosa sotto i denti, rubando come gli era stato insegnato solo quando la fame era troppa e i soldi troppo pochi.
Il destino volle che ad una di queste sue esibizioni assistesse per caso Sir Gion Laric, il primo attore di una nota compagnia teatrale itinerante chiamata “La Compagnia del Ciambellano”, che lo assunse inizialmente come comparsa. Grazie a questa nuova occasione, Gimble poté affinare notevolmente le sue doti di artista, e guadagnadosi in modo onesto la pagnotta.
Da lì a poco la Compagnia fu scritturata per esibirsi in maniera stanziale al palazzo del Barone di Zelidar, e Gimble riuscì poco alla volta ad accumulare un bel gruzzolo.
Gimble non era più uno straccione, avrebbe potuto vivere dignitosamente a lungo alla corte del Barone. Ma il suo giuramento, il sapere sua sorella nelle mani di quel nano maledetto, non gli dava pace.
Gimble chiedeva di quella strampalata compagnia di strada a tutti i viaggiatori di passaggio, sia a palazzo che nelle taverne, finché un giorno la sua perseveranza venne premiata. Un mercante gli assicurò che Grolac si era diretto verso le Isole Coloviane. Gimble non esitò ad imbarcarsi, portando con sé tutti i suoi risparmi per assoldare dei mercenari e farla pagare al nano. Era sicuro che presto avrebbe riabbracciato sua sorella Bleena...

mercoledì 22 settembre 2010

188 - UNA VOCE NEL BUIO

Hearst stringe i denti. I muscoli si contraggono, gonfiandosi nello sforzo di piegare il metallo delle sbarre. Il guerriero si sorprende debole e stanco. In normali condizioni non avrebbe faticato così tanto, con barre tanto malconce. Tuttavia, dopo alcuni tentativi, Hearst riesce a creare una divaricazione sufficiente a far uscire Gimble.
Lo gnomo varca l'uscita: "Troverò un modo per tirarvi fuori di qui..."
Senza avere alcuna ragione particolare, Gimble imbocca il corridoio verso destra, tenendosi rasente al muro, tastando ad ogni passo la parete con la mano. Se ci sono altre celle, o passaggi, se ne accorgerà.
Dopo alcuni metri nell'oscurità, Gimble urta qualcosa con la punta dello stivale. Il rumore di una pietra che rotola si diffonde nel silenzio.
"Chi c'è?"
Gimble rimane paralizzato dalla sorpresa. Ha sentito bene o ha le traveggole? Una voce? Allora c'è qualcun altro! Quel dannato sasso ha tradito la sua presenza. D'istinto lo gnomo si appiattisce ancora di più alla parete.
"C'è... c'è qualcuno?" chiede timorosa la misteriosa voce. "Vi prego... c'è qualcuno?"
Gimble fissa il vuoto, appoggiato con la schiena al muro. Dalla cella più avanti si sente il rumore di una pietra che sfrega sulla superficie ruvida di un acciarino. Il cuore dello gnomo batte all'impazzata, le emozioni lo assalgono.
"Vi prego... chi c'è? Io... io non ho fatto nulla..."
La fiamma di una candela s'accende, illuminando con la sua luce debole una cella, qualche metro più avanti.
Ma Gimble non ha bisogno di vedere. Conosce quella voce.
Grolac.

venerdì 17 settembre 2010

187 - ANCORA VIVI

Buio. Qualcosa di umido si appoggia alla guancia.
Dove sono? Che giorno è?
Gimble si sforza di ricordare; le ultime memorie si fermano allo scontro nel magazzino, poi il vuoto.
Però è ancora vivo. E questo è ancora più strano. Perché? Cosa impediva alle Lacrime Rosse di ucciderlo? Forse i suoi compagni ce l'hanno fatta...
La visione crepuscolare di Gimble si adatta man mano all'oscurità, sfruttando l'impercettibile fosforescenza emessa da alcuni muschi, cresciuti negli interstizi tra le pietre del muro e del soffitto di questo luogo. Già, un muro, qualcosa di artificiale.
Uno squittire vicino all'orecchio lo strappa dalle sue congetture. Un topo! Con istintiva repulsione Gimble si sforza di tirarsi su, seduto. Ogni movimento fa dolorare i muscoli intorpiditi, ma ancora di più alcune piaghe, sebbene in via di guarigione. Gimble le sente e le tasta, inorridendo mentre realizza che sono i segni della malattia. Eppure... è ancora vivo, e non si sente male.
Cosa mi sta accadendo?
Gimble sente un lamento vicino. Si volta, procurandosi un fastidioso dolore al collo. Cerca con le mani, a tastoni finché non riconosce la sagoma vicino a lui.
"Isabel! Per Dio, sei viva!" bisbiglia. "Riprenditi, ti prego!"
Lentamente anche la sacerdotessa ritorna in sé, sebbene ancora confusa: "Gimble, dove... dove siamo?" sussurra sottovoce.
"Non lo so. Non so nemmeno perché non ci abbiano ucciso" risponde lo gnomo. "Mi hanno portato via tutto, a parte i vestiti" continua, constatando peraltro il cattivo stato in cui versano, logori e sporchi, intrisi delle secrezioni delle piaghe.
"Il mio simbolo sacro! Mi hanno sottratto anche quello!" conferma preoccupata la chierica.
Gimble si alza, muovendosi a tentoni nel buio. Ma in quella che si rivela essere una minuscola cella, non fatica a trovare anche gli altri quattro compagni. Li sveglia, uno a uno. Ed ognuno ha le stesse domande, le stesse perplessità.
Zaran e Henox avrebbero potuto ucciderli, ma non l'hanno fatto. Perché? Quale terribile vendetta stanno architettando?
Tutti i nostri eroi sono stati contagiati dalla malattia, tutti ne portano i segni. Eppure nessuno è morto. Anche Juan, il primo ad essere infettato, ora sta bene. Anzi, le sue piaghe sono ormai quelle in condizioni migliori.
Nessuno ha idea di quanto tempo sia passato, da quanto tempo siano rinchiusi lì dentro. Tuttavia i morsi della fame e della sete indicano che sono *giorni*. Nessuno ha portato acqua o cibo in questa prigione. Sono forse stati sepolti vivi? E' questo il destino loro riservato?
Gilead suggerisce di placare la sete leccando l'umidità condensata sui muschi. Non ha il coraggio, invece, di proporre ciò che tutti pensano per contrastare la fame, anche se l'incessante squittire dei topi è un continuo invito a farlo. L'elfo stringe il monile regalatogli da Melira, fortunatamente ancora al suo collo. In situazioni simili, sono oggetti come questo ad impedirti di superare l'orlo della follia.
Lo stomaco di Hearst brontola senza ritegno. Il guerriero si alza e incede a tastoni, fino a quando non incontra le sbarre della cella. Non c'è luce fuori, da nessuna parte. Non un bagliore di torcia, non una finestra.
"Non possiamo stare qui ad aspettare che ci portino il rancio." Hearst afferra le sbarre tra le mani, e si appresta a far forza. "E' ora di uscire per cena!"

giovedì 9 settembre 2010

186 - SECONDO INTERLUDIO

Juanito guarda Puerto allontanarsi all'orizzonte, con occhi pieni di lacrime, nel fuoco del tramonto. Appoggiato al parapetto di poppa, accompagnato del beccheggio della nave, guarda la sua città, il vulcano Soufriere, il mare. Avvilito, sconfitto, tradito.
Puerto del Principe è condannata, le uniche speranze su cui aveva riposto la sua fiducia sono svanite assieme agli avventurieri mandati da Correia, spariti nel nulla ormai da due settimane.
Due settimane nelle quali gli eventi sono sfuggiti di mano a tutti: la guardia cittadina disgregatasi definitivamente, le spaccature nel consiglio cittadino, le lotte di potere, le ritorsioni. E la lettera del Governatore di Castellòn de la Plana, Daniel Batista, che imponeva lo stato di quarantena.
La partenza della Verconnes e Callermont, senza che nessuno avesse il tempo, l'intenzione o il coraggio di indagare sul suo carico, sul passaggio dal cimitero ai depositi del porto. Il disinteresse di Bulloza per questo evento era stato disarmante.
Puerto sparisce in lontananza, mentre Juanito continua a chiedersi se il Primo Consigliere sapesse o meno del traffico di schiavi, del ruolo presunto di Callermont e della Verconnes. No, probabilmente no.
Semplicemente, il fallimento degli avventurieri, la loro scomparsa, o fuga, come l'aveva chiamata Bulloza, era stato l'ultimo pretesto per rivoltargli contro il Consiglio, e costringerlo all'esilio. Era stato il suo modo per dimostrare che tutte le accuse e i sospetti nei confronti del suo amico mercante erano fandonie, che non era necessario indagare oltre. Storie di pazzi come suo figlio, ossessionati dalla malattia, che vedevano congiure, organizzazioni criminali e sacerdoti oscuri dappertutto.
Nataniel.
Juanito abbassa lo sguardo, le lacrime gli rigano il volto. Cosa gli accadrà ora? Solo, impaurito, reso folle dalla paura. Prigioniero in una città destinata a morire, dove presto la crudeltà e gli istinti primari dell'uomo si faranno strada erodendo gli ultimi bricioli di civiltà.
Juanito sente un senso di lacerazione nel petto. Ora è solo un uomo a cui hanno strappato la sua terra, i suoi affetti. Un uomo tradito dalla città a cui aveva dato tutto, dalla città che amava sopra ogni cosa. Mentalmente, Juanito interroga Dio sui perché senza risposta, senza trovar conforto.
Il sole tramonta, e il buio accoglie il suo pianto ininterrotto.

domenica 5 settembre 2010

185 - HENOX

Le Lacrime Rosse circondano gli avventurieri, a debita distanza. Qualcuno serra il portone del magazzino. Ma l'attenzione è tutta per i due che sono sbucati dal passaggio sotterraneo.
"Zaran..." sibila Rune, fissando con odio la figura del negromante.
"Sono loro, Henox" dichiara con tono monotono il malvagio incantatore, rivolgendosi al secondo individuo.
Gli occhi dei nostri eroi si spostano sul giovane dai lunghi capelli neri e dallo sguardo di ghiaccio, avvolto in un mantello nero dai riflessi sanguigni. Un giovane dai lineamenti delicati, in un certo senso familiari. Se non fosse per la determinazione che traspare dai sui occhi, nessuno si sognerebbe di pensarlo a capo di una delle più terribile organizzazioni criminali delle Isole Coloviane.
Lo sguardo di Henox si fa se possibile ancora più accigliato, mentre il suo sguardo corre sugli avventurieri. Vi si legge collera, desiderio di vendetta.
"E così siete voi..." sussurra lentamente "...gli assassini di mia sorella!"
"Mara!" esclama Hearst, rammentando all'improvviso dove aveva già visto quei tratti del viso.
"Siete voi ad aver ucciso Kade, ad aver interferito più volte con i nostri piani" continua Henox, come stesse leggendo una lista di capi d'accusa.
"E continueremo a farlo Henox. Non permetteremo che tu continui la tratta degli schiavi!" ribatte Gilead.
"E' vero, abbiamo sgominato le Lacrime Rosse a Salamanca, e lo faremo anche qui" incalza Hearst. "Quanto a Mara, ricordo perfettamente di averla vista senza vita, col collo spezzato... eppure è qui a Puerto, l'ho vista con i miei occhi!"
"Siete degli stolti, non sapete nemmeno di cosa parlate!" sbotta Henox. "Mara, Dalila ed io siamo gemelli! Dalila... ha sofferto molto per la perdita di Mara. Ed io detesto soffrire, e veder soffrire le mie sorelle. Questo non ve lo perdonerò mai! Non avete idea del destino che vi riserverò!!!"
"Lo vedremo!" urla Gilead, scoccando di sorpresa una freccia verso il negromante.
Il dardo dell'elfo subisce un'improvviso arresto a pochi centimetri da Zaran, come se si fosse impigliato in un'invisibile barriera collosa, in cui s'increspano onde nerastre dopo l'impatto.
Zaran osserva la freccia cadere a terra: "Sciocco."
La risposta del negromante non si fa attendere. Mentre le Lacrime Rosse si gettano sui nostri eroi, Zaran recita parole arcane, mentre fa scivolare davanti ai suoi piedi un pizzico di sabbia.
Gimble, Rune e Hearst sentono le palpebre diventare insostenibili, mentre le tenebre s'impadroniscono delle loro coscienze.
Henox tira dalla distanza con il suo arco corto, mentre i nostri eroi difendono strenuamente la posizione, nonostante l'inferiorità numerica.
Un secondo incantesimo di Zaran addormenta Juan. Isabel prova a raggiungere un compagno, per prestare aiuto, ma le Lacrime Rosse la circondano, sente le loro lame traffigerle le carni. Ne colpisce con violenza uno, ma gli altri... sono troppi... barcolla, tutto si fa confuso, le energie vengono meno, la morning star pesa sempre di più. Esausta Isabel cade nel suo stesso sangue.
Gilead continua a scagliare frecce, ormai solo. Si era defilato, ma ormai i nemici gli saranno addosso in pochi istanti. Il suo corpo è ridotto a un puntaspilli dai dardi di Henox, non resisterà ad una nuova carica.
"Arrenditi elfo!" intima Henox. La sua voce suona lontana, ovattata.
Gilead stringe i denti. Nessun Guardiano di Frontiera si arrende mai. Ma... qui... è l'unica possibilità, seppur flebile. L'unica possibilità di prendere tempo, di evitare di essere uccisi tutti, sul campo di battaglia.
L'arco di Gilead cade terra, vibrando il caratteristico rumore legnoso.
Le Lacrime Rosse circondano Gilead. Qualcuno gli dà una botta violenta, sulla nuca.
Poi più niente, solo silenzio e oscurità.

giovedì 2 settembre 2010

184 - NOTTE DI SANGUE

L'atmosfera nel magazzino 5 è di rinnovato fervore. L'inatteso scivolone di Bulloza e il via libera di Juanito hanno riacceso gli animi. I nostri eroi discutono animatamente sulle prossime mosse nonostante l'ora tarda, cercando di prevedere azioni e reazioni del nemico.
Hearst li osserva, seduto su una vecchia cassa. Non gli sono mai piaciute queste infinite discussioni, l'eterno fare e disfare i piani, rimuginare, decidere e tornare sui propri passi. Ha sempre preferito l'azione diretta. Il guerriero sbuffa, si alza, si allontana. Meglio prendere un po' d'aria. Del resto, i compagni sono così presi nei loro ragionamenti che non baderanno alla sua assenza.

La luna compare e scompare dietro le nuvole sulfuree che veloci solcano la notte di Puerto. Hearst si aggira silenzioso tra i depositi del porto, quando la sua attenzione viene attirata dal magazzino 7. Un leggero alone luminoso, di fiamma tremolante, si affaccia dalle aperture di aerazione situate appena sotto il tetto, delle specie di bocche di lupo pensate per far entrare aria e luce.
Insospettito il guerriero si guarda attorno. Una pila di casse lungo la parete del magazzino in un vicolo laterale sembra proprio fare al caso suo. Senza perdere tempo vi sale, elevandosi quanto basta per potersi aggrappare alla finestrella con un piccolo balzo. Con la forza delle braccia, Hearst si solleva, fino a quando il suo sguardo è in grado di scrutare all'interno.
Davanti ai suoi occhi, nella flebile luce di alcune candele, diversi uomini spostano le casse viste alcune notti prima. Nel magazzino c'è attività. Hearst si lascia scivolare, pronto ad accorrere ad avvisare i compagni. Putroppo però, non pare che la sorte sia dalla sua parte: le assi marce della cassa sotto i suoi piedi cedono con uno schiocco, rischiando di farlo rovinare malamente a terra.
Hearst impreca mentalmente; il rumore secco non è certamente passato inossorvato agli occupati del magazzino. Circospetto, il guerriero si acquatta nelle ombre. Sente il portone aprirsi, qualcun altro che si muove nella notte buia.
Hearst mantiene il sangue freddo: non deve affrontarli ora. Attento ad ogni mossa, l'avventuriero si dilegua nei vicoli scuri del porto.

Gilead, ritrae la testa da oltre l'angolo che dà verso il magazzino 7. I nostri eroi, nascosti dietro la massiccia struttura del deposito limitrofo, sanno di avere la situazione in pugno dopo che Hearst è corso ad avvertirli.
"Hanno messo due uomini di guardia" bisbiglia l'elfo.
"Ci penso io!" dice Gimble.
Lo gnomo si affaccia per studiare la situazione. Le sue dita si muovono, le sue labbra richiamano parole d'illusione. Il rumore di una cassa che cade rotolando si leva dal vicolo dove Hearst aveva spezzato le assi.
"Ancora!" esclama una delle due sentinelle, allertata. "Andiamo, questa volta non la voglio far passar liscia a quel dannato gattaccio!"
Mentre le guardie si allontanano dall'ingresso Gimble sogghigna, soddisfatto dell'effetto del suo suono fantasma. I due furfanti non hanno il tempo di girare l'angolo che un secondo incantesimo dello gnomo, questa volta di sonno, li mette fuori gioco.
"Via libera!" comunica ai compagni. "Entrate scivolando lungo le pareti!"
In pochi secondi i nostri eroi scivolano il più silenziosamente possibile nel magazzino. Svariati uomini delle Lacrime Rosse sono intenti nel trasporto di cadaveri dal passaggio che collega il cimitero, per riporli nelle casse di legno.
Nella debole luce delle candele, qualcuno dei malviventi nota qualcosa, ma è comunque troppo tardi. In men che non si dica, balenano i coltelli. La lama di Juan squarcia la gola di un criminale preso alle spalle, mentre il suo grido strozzato dal sangue si mischia al rumore delle costole fracassate dalla morning star di Isabel. Hearst si accentra, mentre altre Lacrime Rosse accorrono dal passaggio sotterraneo a dar man forte. Il guerriero spezza le vite dei malviventi in un'estasi di determinazione: ogni uccisione gli dà la forza per un nuovo, letale colpo al nemico che sopraggiunge, ed i corpi straziati dalla lama dello spadone si accumulano attorno a lui.
Il sonno di Gimble, le frecce di Gilead, il pugno di Rune che schianta il setto nasale di un malcapitato: la risolutezza dei nostri eroi si tramuta in un inferno di morte per le Lacrime Rosse, i cui cadaveri ormai si contano in numero triplo rispetto agli avventurieri.
Ormai spalla a spalla, nel mezzo del magazzino, i compagni osservano gli avversari tentennare timorosi attorno a loro, finché una voce vicino alla botola per il cimitero richiama la loro attenzione...