giovedì 31 dicembre 2009

145 - IL PASSO SUL VULCANO

Gli zoccoli dei cavalli corrono veloci sulla strada scura, che si inerpica tra la roccia lavica degli scoscesi pendii del vulcano Soufriere.
Il passo dista meno di un'ora a cavallo dalla città. Per quanto Ruben sia partito già da diverse ore, non può aver fatto molta strada.
Il sole è ormai scomparso oltre l'orizzonte delle montagne, e nel crepuscolo le bocche laviche dei crateri, invisibili di giorno, risplendono infuocate, immerse nel panorama spoglio della montagna.
Gilead, che guida la compagnia, fa rallentare la propria cavalcatura, facendo cenno agli altri di fare lo stesso. La salita è stata rapida, e le bestie sono stanche. Il caldo e lo zolfo ormai schiacciano i polmoni, e respirare è faticoso.
Oltre una curva brusca lungo la parete di una colata, la strada si allarga leggermente. Sopra le teste dei nostri eroi, le vette sono poco distanti. Il cratere principale sbuffa, mentre sui pendii attorno ad esso appaiono e scompaiono bagliori incandescenti, come di bocche stanche che si aprono lente per vomitare lava rossa. Lo spettacolo è tanto suggestivo quanto terribile nel tramonto morente.
Al sicuro sulla strada, gli avventurieri si avvicinano al passo, accompagnati dalle prime stelle della sera. Poco più avanti, un bastione abbandonato si appoggia alle pareti basaltiche della montagna. Come preannunciato da Inocencia, non ci sono tracce delle guardie di Puerto o di Castellòn che lo custodivano.
Gilead smonta da cavallo con un balzo: "Juan, andiamo a dare un'occhiata..."
"Scordatelo elfo, è buio e sporco!" risponde stizzito Juan. Gilead lo guarda torvo: è davvero la sua fobia, o una ripicca per l'aver accettato di aiutare Inocencia?
"Lascia stare, Gilead, vengo io" dice Rune. Il monaco scende da cavallo e ne consegna le redini al suo secondo passeggero, Gimble. Lo gnomo è l'unico a non avere un destriero tutto suo.
"Ehi! Non vorrai lasciarmi da solo a bordo di questo bestione!" protesta il bardo, seriamente preoccupato.
Juan sbuffa: "E va bene, va bene... andiamo orecchie a punta."
Dopo una breve esplorazione i due tornano. All'interno non hanno rinvenuto nulla di interessante, il posto è stato abbandonato, e le guardie si sono portate via praticamente tutto ad eccezione delle armi rotte e delle cianfrusaglie.
Ripreso il galoppo e superato il passo, la strada inizia una leggera discesa attraversando una gola dalle pareti ripide e scure, che si apre alla fine su uno spiazzo pianeggiante circondato dalle vette del massiccio, in cui fanno capolino dei vecchi tronchi e arbusti rinsecchiti, fossilizzati, pietrificati dai fenomeni vulcanici.
Improvvisamente Isabel rallenta la sua marcia, deviando verso il versante sinistro.
"Che c'è Isabel?" chiede Rune.
"C'è... qualcosa... laggiù"
Avvicinatasi col cavallo, dopo aver acceso una torcia, Isabel scruta il terreno. Una scarpa... un randello... e la conferma più temuta, il bagliore di un pezzo d'argento.
Rune raggiunge la chierica: "Ci sono macchie di sangue qua attorno. Dannazione, che diavolo è succ...!"
La frase di Rune è interrotta da un improvviso e pesante battito d'ali, proveniente dai picchi bui.
Ciò che ha preso Ruben sta arrivando anche per loro!

lunedì 28 dicembre 2009

144 - PREOCCUPAZIONI DI UNA MADRE

"Pe-pe-pe-per vitto e alloggio s-s-s-sono nove mo-monete d'argento a testa, ogni g-g-gio-giorno."
Juan rotea scocciato gli occhi al cielo, mal sopportando la lentezza dell'oste balbuziente. Ignacio, il proprietario dello "Scoglio Cinereo", sembra non notare l'impazienza del suo cliente.
"E' un prezzo da delinquente, ma va bene" taglia corto il giovane, principalmente per evitare un'estenuante trattativa a ritmo rallentato. Con un minimo, ulteriore sforzo, Juan riesce anche a strappare all'oste di comprendere nel prezzo la stalla per i cavalli degli avventurieri, stalloni donati da Correia prima della loro partenza, e ancora a bordo della nave in attesa di essere sbarcati.
Nel frattempo Gimble, impegnato a camminare avanti e indietro nella grande sala vuota per ammazzare il tempo, si sofferma dinanzi ad un foglio di pergamena appeso al muro.
Il suo sguardo scorre lo scritto, un editto del Sindaco e del Consiglio che obbliga alla denuncia delle morti dovute al contagio, per ragioni di sicurezza. Come gli era stato riferito poco prima, sulla scena del delitto del vecchio, l'editto impartisce l'istruzione, a seguito della denuncia, di lasciare la salma sul ciglio della strada, dove i monatti la raccoglieranno per darne degna sepoltura nel cimitero.
La sua lettura viene interrotta dalla voce di Rune che si rivolge al gruppo: "Andiamo a prendere i cavalli, poi suggerisco di dare un'occhiata di perlustrazione in città prima che faccia buio..."

Le vie centrali di Puerto del Principe sono disseminate di botteghe di artigiani, orefici, gioiellieri, tutte tristemente chiuse, o con poche merci esposte.
Nella memoria di Juan, spicca il contrasto con le strade che conosceva, brulicanti di mercanti con i borselli rigonfi. Il tramonto, e le poche luci nelle strade, assieme alla foschia sulfurea e calda, non fanno altro che acuire la sensazione di passeggiare in una città destinata a morire.
Ad un tratto, sulla via che conduce alla Locanda del Principe, una donna si fa avanti chiamando gli avventurieri a gran voce, mentre tiene in braccio un bambino qualche mese e per mano un altro figlio di otto o nove anni.
"Che Felm sia lodato! Siete mercenari? Avventurieri?" chiede la donna, mentre il suo sguardo corre rapido alle armi dei nostri eroi. Il suo sguardo è sinceramente preoccupato, ma colmo di speranza. Nonostante l'aspetto poco curato che la invecchia notevolmente, la donna non deve avere più di trentacinque anni.
"Sì, siamo avventurieri" conferma Isabel "ma ora calmatevi, e spiegateci perché cercate gente d'armi..."
La donna tira un lungo respiro. Si presenta come Inocencia, ed è molto preoccupata per la sorte del suo primo figlio, Ruben.
Recentemente, suo marito Fernando è purtroppo deceduto, infettato dalla malattia che sta colpendo Puerto. Fernando lavorava nelle fucine, ed era il principale salario di sostegno alla famiglia, assieme a quello di Ruben, anch’egli impiegato assieme al padre.
Inocencia confessa che dopo la morte del marito, con due figli piccoli ed il solo salario di un giovane garzone, sono stati tempi molto duri, ma Ruben ce l'ha sempre messa tutta per non far mancare nulla ai fratelli.
Il colpo di grazia è stato però inferto dall'ennesimo calo di produzione e vendita di armi e oggetti metallici a causa della quarantena di fatto che Castellòn de la Plana sta applicando, limitando al minimo gli arrivi di navi mercantili a Puerto. La paga di Ruben, ultimo arrivato, è stata ulteriormente decurtata.
"Ruben è un ragazzone giovane, impulsivo e incapace di affrontare con pacatezza le situazioni di difficoltà. Per aiutare la nostra famiglia, visto che i soldi non bastavano più, ha compiuto un atto gravissimo, di cui mi vergogno e mi vergognerò sempre: Ruben mi ha confessato di aver rubato alle fucine diversi pezzi di argento, che voleva rivendere a Castellon dove sono ben pagati."
"Ma ci hai appena detto che non ci sono navi per Castellòn de la Plana..." puntualizza Juan.
"Infatti" ribatte Inocencia. "Quello zuccone si è avventurato da solo sul vulcano attraverso il passo che conduce dall'altro lato dell'isola. Nonostante l'avessi scongiurato di non farlo per la pericolosità delle strade, ma non c’è stato verso… e quest'oggi a mezzodì non è tornato per pranzo!"
Le lacrime rigano il volto di Inocencia: "Vi prego, vi supplico, le guardie di Puerto e di Castellòn hanno da tempo abbandonato il passo... troppi rischi di contagio per le milizie del Governatore, troppo pochi gli uomini del Sindaco, decimati dalla malattia. Temo che ora quei luoghi di nessuno siano rifugio di briganti o peggio... vi prego, siete la mia unica speranza di riabbracciare Ruben."
"Sì, ma noi cosa ci guad... ahi!!!" Juan viene zittito da una gomitata di Rune.
"Inocencia, faremo come chiedi, andremo a cercare tuo figlio. Presto, andiamo a prendere i cavalli, non c'è tempo da perdere!"
La donna piange di gioia, le lacrime le rigano il volto: "Grazie, grazie davvero... siete degli angeli mandati dal cielo..."

giovedì 24 dicembre 2009

143 - NATANIEL

Alcuni cittadini ricompongono il corpo straziato del povero vecchio, adagiandolo sul ciglio della via.
Scuotono la testa, mugugnano. Una donna piange, abbracciata al marito.
La tristezza e la rassegnazione di questa gente sembrano palpabili, aleggiano nell'aria ed entrano nei polmoni, bruciano come lo zolfo che pervade l'atmosfera di Puerto.
Isabel si avvicina ad uno degli uomini che si sono sobbarcati l'ingrato compito di spostare il cadavere.
"Quest'uomo non può essere abbandonato qui, sul ciglio della strada, merita una degna sepoltura."
Il cittadino scruta la chierica, scorgendo il simbolo di Erevos: "Contemplatrice, purtroppo a Puerto del Principe lasciare i defunti al lato della via è ormai una triste consuetudine. L'epidemia che ha colpito la città semina morte ogni giorno, tanto che è il consiglio cittadino ha affidato ai monatti l'infausto compito di raccogliere i corpi senza vita nelle vie cittadine per portarli al cimitero."
"Monatti?" chiede Isabel.
"Sì, sorella. Monatti. Sono coloro che pur essendo stati in contatto con la malattia, non ne vengono colpiti. Con il loro carro percorrono le strade di Puerto, raccogliendo le spoglie di chi ci ha lasciato, per dargli degna sepoltura."
Gimble interviene nella conversazione: "Buon uomo, chi era l'ufficiale che s'è macchiato di questo delitto?"
Il cittadino sembra inizialmente riluttante a parlare. Dopo un breve silenzio, tuttavia, risponde: "Nataniel..."
Nataniel Rodriguez, figlio del Sindaco Juanito Rodriguez, in carica come Capitano della Guardia e del Porto. Nataniel ha preso il posto, in tempi relativamente recenti, del fratello Rodrigo, ucciso dalla malattia.
Da come l'uomo ne parla, Nataniel non gode certo delle simpatie della popolazione, a differenza del compianto fratello. E' una testa calda, che più che contribuire all'ordine pubblico, semina il terrore per scoraggiare disordini, accompagnato da una ristretta cerchia di fedelissimi.
"Perdonatemi, ma ora devo andare, non posso più trattenermi."
Dopo lo sfogo, pare che il cittadino abbia fretta di andarsene. Forse, trasportato dalla rabbia, ha parlato più di quanto volesse con dei perfetti sconosciuti.
Gimble non insiste. Presto ci sarà modo di sapere di più.

sabato 19 dicembre 2009

142 - LA PUNIZIONE

"Sei un bugiardo!"
Con uno schiaffone, l'ufficiale della guardia cittadina getta a terra il pover'uomo già in ginocchio dinanzi a lui. Il guanto dell'armatura taglia il labbro del mendicante, che comincia a sanguinare.
I nostri eroi giungono appena in tempo per notare la scena. Un capannello di cittadini raggruppato attorno ad un cordone di militari guarda allibito ciò che accade, formando una sorta di arena in cui si confrontano in un impari duello l'ufficiale e il barbone.
"Signore, abbiate pietà, sono solo un miserabile! Non ho fatto nulla..." implora il poveraccio.
"E' vero sei un pezzente e uno sporco bugiardo!" sentenzia pieno di rabbia l'ufficiale, sferrando un calcio nello stomaco del mendicante. L'uomo geme, rannicchiandosi su sé stesso, implorante.
"Non mi sembra affatto un combattimento ad armi pari. Sei così codardo da dovertela prendere con un povero vecchio?"
La voce di Gilead sovrasta la scena, attirando un'occhiataccia dell'ufficiale e l'attenzione delle guardie. Con le spade sguainate, gli armigeri si frappongono tra gli avventurieri e il loro capo. Uno di essi punta la lama verso l'elfo, minacciando di fare attenzione a ciò che dice.
"Lascia perdere Gilead..." bisbiglia Gimble "sono in troppi. Non possiamo fare nulla."
Nel frattempo, avuto un po' di respiro dall'intervento dell'elfo, il pezzente si rimette in ginocchio.
"Signore, vi scongiuro, lasciatemi andare, in nome di Dio..."
"Cane rognoso, dovresti lavarti la bocca prima di nominare il Signore. Questa malattia è la Sua punizione per il peccato, per i peccatori di Puerto, quelli come te, come me, come tutti! Lo capisci, stupido vecchio, non c'è scampo, ci ucciderà tutti! Perché viaggia nell'aria sulfurea di questa città maledetta, e nessuno ti può salvare! Nessuno!"
Gli occhi dell'ufficiale sembrano pronti a schizzare fuori dalle orbite, tanta è la foga che mette nelle sue parole. Il barbone, spaventato, in preda al panico e alla disperazione, continua ad implorare l'ufficiale, con le lacrime agli occhi
"Signore, vi prego, per Dio... io non ho fatto nulla... "
"Verme cencioso, non bestemmiare!"
"...sono sempre stato povero, ma sincero, Iddio mi sia testimone..."
"La tua bocca non deve scomodare il Padre!"
"...ed ho sempre avuto fede, e mi sono sempre affidato a Lui. Signore, è per questo che credo che Dio..."
"BASTA!"

Con un gesto fulmineo, l'ufficiale sfodera un coltello e si getta sul pezzente. Lo colpisce con rabbia, violentemente, ripetutamente. Il vecchio si lamenta rannicchiato, mentre il suo sangue si spande sul ciottolato. La gente si allontana inorridita, alcuni scappano gridando terrorizzati.
Col fiatone, l'ufficiale si leva in piedi, poi getta il coltello vicino al corpo martoriato della sua vittima.
"Bene, vediamo se ora la tua fede ti porterà indietro..."
Lo sguardo dell'ufficiale si posa ancora una volta su Gilead e sui compagni. Poi fa un cenno ai suoi scagnozzi, e se ne va scortato dal luogo dell'omicidio.

martedì 15 dicembre 2009

141 - PUERTO DEL PRINCIPE

Puerto del Principe sorge arroccata sugli scoscesi pendii del vulcano Soufriere, costantemente attivo con i suoi sbuffi di ceneri, e dà quasi l’impressione di volersi tuffare in mare.
La città, con la sua atmosfera carica di zolfo e l'imponente massiccio a sovrastarla, si rivela un posto tutt'altro che allegro. Le imponenti costruzioni delle fucine, con i loro camini sbuffanti, le miniere sopra di esse, le coltivazioni rade e la perenne coltre di cenere che sovrasta il golfo danno la sensazione di un luogo tetro, il cui paesaggio mal si concilia con la brillantezza tipica dei paradisi tropicali. Il caldo opprimente rende l'aria pesante e appiccicosa, irrespirabile.
Gli avventurieri scendono dalla nave che li ha portati da Tavistock a Puerto dopo un giorno in mare. Il Sindaco, Juanito Rodriguez, dovrebbe già essere a conoscenza del loro arrivo, o meglio di una parte di loro, grazie ad un messaggio inviato da Correia in persona. Il Governatore di Salamanca non poteva certo sottrarsi dall'avvertire il reggente di Puerto del presunto deprecabile traffico di schiavi in corso nella sua città per mano delle Lacrime Rosse. La stessa missiva reca i nomi dei fidati avventurieri che hanno contribuito a sconfiggere l'organizzazione criminale a Salamanca, tutti ad eccezione di Juan e Hearst.
Juan percorre la banchina, guardandosi attorno, mentre affiorano i ricordi dei viaggi sulla nave di suo padre: "Puerto del Principe... tanto ricca quanto brutta..." bisbiglia tra sè e sè.
Le barche nel porto sono pochissime, si contano sulle dita di una mano, segno che una quarantena di fatto è già cominciata, e che l'economia della città sta già risentendo degli effetti dell'epidemia.
"Per prima cosa direi di trovare un alloggio" suggerisce Gilead.
Gimble intercetta immediatamente uno dei pochi passanti: "Perdonate, buon uomo, sono un mercante da poco arrivato in città: potreste indicarmi dove posso trovare ristoro a Puerto?"
L'uomo, che confessa di notare con piacere che qualche mercante arriva ancora, rivela che in città ci sono quattro taverne.
"La Cambusa", frequentata dai marinai, si trova al porto, ed è piuttosto economica. Nessuno ci va a dormire intenzionalmente, anche se in molti ci rimangono dopo una sbronza colossale a base di rum o caonabo.
Lo "Scoglio Cinereo", vicino alla piazza del mercato del porto, è in genere prediletta dai mercanti di passaggio, ed offre stanze ad ottimi prezzi.
Poi c'è la "Locanda del Principe", un posto raffinato, in centro, vicino al municipio e alle botteghe degli orafi, frequentata dai più facoltosi.
Infine la "Brocca d'Acciaio", dove i minatori e i fabbri si ritrovano dopo il lavoro; questa taverna, dislocata sulla strada che porta alle fucine, non ha letti da offrire, e chiude dopo l'ora della cena.
Dopo un rapido consulto, i nostri eroi decidono di optare per lo Scoglio Cinereo.
Le strade che conducono alla piazza del mercato del porto sono pressochè deserte, spettrali. Sembra una città fantasma.
"L'ultima volta che sono stato qui, queste vie brulicavano di persone e...." con un cenno Gilead zittisce Juan. L'udito dell'elfo ha per primo captato qualcosa di strano, un rumore nascosto nella risacca del mare.
Nei brevi intervalli silenziosi tra un'onda e l'altra, anche i compagni odono quelle che sembrano delle grida.
"Sembrano urla. Pare che provengano da una qualche strada poco più a monte..." precisa Gilead.
Gli avventurieri si scambiano sguardi d'intesa, ognuno fa un cenno d'approvazione col capo.
Decisi, i nostri eroi s'incamminano lungo il ciottolato in salita.

giovedì 10 dicembre 2009

140 - PRIMO INTERLUDIO

"Governatore..." Jeros avanza timidamente nel salone.
"Ditemi, Jeros."
Correia risponde senza distogliere lo sguardo dalle ampie vetrate. Uno sguardo perso in pensieri lontani, forse cupi. Da qui si osserva tutta Salamanca, in tutta la sua bellezza.
"Sono partiti, hanno lasciato la città. S'imbarcheranno a Tavistock, con la nave che trasporta anche il nostro messaggero."
Correia continua a fissare il tramonto, perso nelle sue riflessioni.
"Signore...?" accenna Jeros perplesso. L'ufficiale pare dubitare che il Governatore abbia udito le sue parole.
"Spero di aver ben riposto la mia fiducia. Spero che il sindaco Rodriguez riesca a fronteggiare anche questa nuova minaccia. Non invidio la sua posizione. La questione della tratta di schiavi si aggiunge alla minaccia più volte paventata dal Governatorato di Castellòn de la Plana di mettere Puerto in quarantena a causa dell'epidemia malarica. L'economia della città è in ginocchio... non so se Rodriguez avrà le forze..."
"Deve farcela!" esclama Jeros, con un entusiasmo di cui si pente immediatamente. "Volevo dire... mio signore... che non dovreste preoccuparvi per il sind..."
"Lasciate perdere, Jeros" Correia sorride bonario. "Vedete, Juanito Rodriguez è, oltre che un bravo amministratore, un caro amico. Benché possa comprendere i dubbi di quell'avventuriero, Juan, riguardo un suo possibile coinvolgimento nella tratta di schiavi, io conosco Juanito. E se c'è una cosa di cui sono certo è che mai e poi mai compirebbe una cosa così spregevole. Rodriguez ama la sua città. Più della sua stessa vita."
Correia rimane in silenzio alcuni istanti. Il tramonto riempie di fuoco la stanza, mentre il Governatore si volta di nuovo verso la finestra, con lo sguardo perso lontano ad ovest, nel sole, nel mare, verso Puerto.
"Sapete Jeros, che Puerto fu fondata da un avo di Juanito?"
"N..no... signore" balbetta Jeros, imbarazzato da quest'anomala confidenza del Governatore.
"Juan Maria Rodriguez. Lo chiamavano 'il Principe', per i suoi modi raffinati e la sua galanteria sopraffina. E la piccola colonia che aveva fondato, è man mano diventata una cittadina dai commerci fiorenti. La presenza del vulcano che poteva sembrare una maledizione, si rivelò invece la sua fortuna. La miniera, i fabbri, una posizione invidiabile nelle Isole, e l'alleanza con Castellòn de la Plana."
Correia si fa serio, il suo sguardo ancora più cupo.
"Juanito è un buon alleato anche di Salamanca. Da Puerto arrivano buona parte delle armi per i nostri soldati. Inoltre è sempre stato in prima linea nel contrastare la pirateria, la vera piaga dei nostri mari. Se venisse rimosso dal Governatore Batista, o gli accadesse qualcosa, gli equilibri delle Isole potrebbero subire un duro contraccolpo."
Jeros ascolta. Non aveva pensato alla questione sotto il punto di vista esposto da Correia. D'istinto, senza che ce ne sia necessità, l'ufficiale si giustifica: "Signore, perdonatemi, ma non sono avvezzo alle questioni di politica..."
Correia sorride: "Siete un bravo soldato, Jeros. Avete reso un grande servigio a Salamanca, in un momento buio per la nostra città."
"Non è solo merito mio, signore, ma della Guardia e degli eroi di Pinàr del Rio. Senza il loro attacco al cuore dell'organizzazione, difficilmente saremmo riusciti a sconfiggere le Lacrime Rosse e uccidere il lupo mannaro..."
Jeros tradisce una leggera emozione. L'unica menzogna. Il licantropo.
I documenti trovati nel quartier generale di Kade non lasciavano dubbi. C'erano due lupi. Uno creato grazie a chissà quale artificio dal fantomatico Zaranzargûl, inoculando la licantropia su un poveretto, magari proprio uno schiavo. Creato in risposta al primo lupo, fuori dal controllo delle Lacrime Rosse, un giustiziere notturno che non lasciava scampo ai criminali. Jeros non ne ha certezza, ma l'idea che quel giustiziere non fosse altri che il Capitano, continua a far breccia tra i suoi pensieri. Ecco perché ha tenuto per sé questo dettaglio. Perché è solo un sospetto malevolo. Una stupido sospetto che non ha il diritto di infangare la meritata gloria che accompagna il nome di Vincent Meis.
"Già, ma a che prezzo... Salamanca ha perso molti uomini, e il suo Capitano" ribatte Correia. Jeros lo guarda, chiedendosi se quest'uomo ha forse il potere di leggere nella mente.
"Ho una brutta e strana sensazione, caro Jeros. Ci aspettano tempi bui..."

lunedì 7 dicembre 2009

139 - VIA DI FUGA

La torcia di Rune illumina lo stretto passaggio laterale. Un cunicolo, scavato nella roccia, che lascia la spirale di scalini del Pozzo per inoltrarsi nelle profondità della collina.
"Dove porterà?" chiede Isabel, sapendo che nessuno ha la risposta alla sua domanda.
"Non ne ho idea, ma è sicuramente il passaggio che ha preso Zaran" risponde Rune, che nel frattempo si è sporto da un'arcata, guardando nelle profondità del pozzo. Gli occhi del monaco intravedono la superficie scura dell'acqua alcuni metri sotto, indice che la discesa termina poco oltre.
I nostri eroi non indugiano oltre, ed entrano nel cunicolo.
Il tunnel è lungo e stretto, e permette di procedere solo in fila indiana. Sembra interminabile, sempre uguale, con la sua costante leggera pendenza in discesa. Ogni metro è identico al precedente, nessun segno, nessun dettaglio che permetta di distinguere, di capire la propria posizione. Un contesto che alimenta una opprimente sensazione di soffocamento.
Ad un tratto Rune, che guida la fila, si ferma.
"E'... chiuso!" sentenzia voltandosi verso i compagni. Il cunicolo si blocca effettivamente pochi metri più avanti.
"Non è possibile!" dice Gilead. "Fammi controllare."
L'elfo si avvicina alla parete, e cerca con occhio esperto. Dopo pochi istanti, esercita una leggera pressione sulla roccia. Una porta nascosta si apre verso l'esterno, e la luce invade accecante il tunnel.
Il passaggio sbuca in una piccola grotta, illuminata dalla luce del sole pomeridiano. Gli avventurieri escono mentre i loro occhi si abituano. Nell'antro c'è un vecchio bivacco.
I nostri eroi si guardano attorno incuriositi. Gilead esce all'esterno della caverna: appena fuori nota una mangiatoia, e delle corde. Un minuscolo gruppetto di alberi nasconde la radura antistante la grotta.
L'elfo si guarda attorno: il sole non si vede, le ombre sono proiettate nella direzione del suo sguardo. Sono sbucati ad est. Gilead cammina veloce, addentrandosi tra gli alberi... impronte di zoccoli... c'era almeno un cavallo qua fuori, ecco perché la mangiatoia e le corde. Superate le piante, il ranger si volta, per constatare ciò che sospettava: sopra di lui si innalza il lato orientale e ripido della collina di Salamanca, sulla cui sommità torreggiano le mura cittadine. Sono usciti, questa era la via di fuga delle Lacrime Rosse... e anche di Zaran a quanto pare.
Gilead fa ritorno dai compagni, comunicando ciò che ha trovato. Ormai il negromante sarà lontano, e non sanno che direzione abbia preso. Inoltre, a differenza del nemico, i nostri eroi sono appiedati.
"Non credo sia saggio gettarci ora in un inseguimento" afferma Isabel, raccogliendo l'approvazione dei compagni. "Torniamo su, penso sia il caso di pianificare le nostre prossime mosse con l'aiuto di Jeros. Visto quello che abbiamo scoperto, è probabile che ci attenda anche un colloquio con il Governatore..."

giovedì 3 dicembre 2009

138 - VARGOUILLE!

Rune guida la fila, tenendo ben stretta la torcia che illumina la discesa. Gli scalini sono scivolosi a causa dell'umidità e dei muschi che ne hanno riempito le crepe.
Il Pozzo è molto profondo, e i nostri eroi hanno ormai perso il conto delle volte che hanno girato in tondo percorrendo la lunga spirale di gradini.
Ad un tratto un rumore, inatteso nel cadenzato gocciolare dell'acqua, allarma gli avventurieri.
"Avete sentito?" chiede Hearst, che chiude la fila.
"Sembrava... un battito d'ali..." precisa Gilead. "E' probabile che ci siano delle tane di pipistrelli tra le pietre di questi muri. Non credo ci sia da preoccuparsi, comunque facciamo attenzione."
L'elfo fa appena in tempo a finire la frase, che lo sbattere di ali si ripresenta. Molto più tesi, i nostri eroi guardano attraverso le arcate, nel vuoto illuminato dalla torcia di Rune.
E ciò che intravedono nella penombra è orrore puro.
Tre creature d'incubo si librano nel vuoto dalle feritoie del pozzo: sono teste umane dai lineamenti contorti, con gli occhi che risplendono di un'inquietante luce verde, sospese da ali membranose che spuntano dietro le orecchie. Le bocche aperte, bramose delle carni degli avventurieri, mostrano pericolosi denti seghettati.
"Vargouille!" esclama terrorizzata Isabel, mentre i ricordi di libri terribili sulle creature del terrore affiorano nella sua mente. La sacerdotessa sa di cosa sono capaci.
In men che non si dica i mostri fronteggiano gli avventurieri.
Gilead prepara una freccia: venderà cara la sua pelle, queste mostruosità non riusciranno nemmeno ad avvicinarsi. Tuttavia, prima che l'elfo riesca a scoccare il suo dardo, uno dei Vargouille spalanca la bocca. Le sue fauci si aprono in modo innaturale, fino allo spasimo, la bocca diviene una cavità nera, poi emette un terribile stridio.
Lo stridio è paura che vibra nell'etere. Un suono che racconta di orrori sconosciuti, alieni.
Gilead, Gimble, Rune non resistono, e la pazzia di quel grido paralizza le loro membra.
Gli altri due mostri si precipitano sugli avventurieri immobili.
"Hearst, Juan! Aiutatemi! Non fateli avvicinare! Tenteranno di baciarli! Il loro bacio è una condanna a trasformarsi in uno di loro!" urla disperata Isabel.
Hearst si precipita lungo la scala stretta assieme ad Isabel, veloce, col rischio di scivolare.
Con lo spadone e con la morning star, il guerriero e la chierica si dannano per proteggere i compagni paralizzati.
Juan, nascosto dietro una colonna, afferra il suo arco corto, quindi si sporge e tira sul mostro urlante al centro del pozzo. La freccia va a segno perforando una delle ali membranose della creatura. Il Vargouille in tutta risposta si getta in picchiata verso Juan, seppur con qualche difficoltà.
"Non mi avrai..."
Il giovane coloviano prepara un secondo dardo e tira, questa volta centrando in piena fronte il mostro, che precipita nell'oscurità. Dopo alcuni secondi il tonfo finale nell'acqua invisibile in fondo al pozzo ne garantisce la morte.
Nel frattempo, Hearst e Isabel faticano a tenere a bada i loro avversari. Il passaggio è stretto e i gradini scivolosi. L'arma di Hearst è poco efficace qui. Il guerriero non ha sufficiente spazio per caricare i colpi e si limita a infilzare di punta con scarsi risultati.
Ad un tratto, il Vargouille che ingaggia Isabel, le azzanna una spalla. Il dolore è lancinante. I denti seghettati strappano e lacerano, aprendo una ferita profonda. Isabel trattiene un gemito, con la mano afferra la testa per i capelli che sembrano viticci contorti. Poi con violenza la strappa dalla spalla, dilaniando ancora di più le proprie carni. Senza mollare la presa, la chierica spinge il mostro contro la parete, quindi lo schiaccia ad essa con la morning star: i chiodi della mazza perforano le guance e gli occhi del mostro, che, emettendo un suono gorgogliante, muore.
Nel frattempo Hearst ha avuto la meglio anche sul suo avversario. Con la morte dei nemici anche il terrore dei compagni svanisce, ed insieme ad esso la paralisi.
"Ce la siamo vista brutta..." dice Rune.
Isabel annuisce: "Sì, ma siamo salvi. Non è normale la presenza di creature come queste in un pozzo... ad ogni modo proseguiamo, quest'altro intoppo ci ha allontanato ancora di più da Zaran."
Isabel mostra sicurezza, ma è evidente che la ferita le dolora parecchio.
"Isabel, stai bene?" si accerta Gilead.
"Sì, è tutto a posto, andiamo."
Non è il momento di cedere, né di fermarsi. Isabel guarda preoccupata la ferita aperta dal morso del Vargouille. Il morso *velenoso* del Vargouille.