giovedì 30 maggio 2013

362 - I CACCIATORI DI MOSTRI

Hearst consuma il suo pasto in silenzio. L'atteggiamento cupo del guerriero sembra impedire l'inizio di qualunque conversazione tra gli avventori al tavolo. Non che questi non suscitino alcuna curiosità, anzi: i due individui seduti con loro sono un mezzorco vestito con abiti Mazar'i e un mezzelfo brizzolato con un anomalo naso aquilino, che hanno tutto fuorché l'aspetto dei mercanti o dei pellegrini.
Solo quando Hearst si congeda in modo burbero, l'atmosfera pare sollevarsi un po'.
"Che cos'ha il vostro amico?" chiede un po' a sorpresa il mezzorco. "Era un pezzo che non vedevo una piva del genere, spero non sia a causa nostra..."
"Non credo" risponde Gimble. "Non sappiamo nemmeno noi perché è così di malumore..."
"Gli capita spesso di essere così poco... socievole?"
"Mah, no... di solito lo è fin troppo..."
"Pssst" Juan richiama l'attenzione di Gimble, quindi gli bisbiglia nell'orecchio. "Non credo sia il caso di attaccare bottone, non ti sembrano un po'... strani?"
"Suvvia Juan, che vuoi che ci sia di male a far quattro chiacchiere! Non essere paranoico, ormai vedi gente strana dappertutto!" ribatte lo gnomo indicando Bovak con un cenno del capo.
Juan scuote la testa, dentro di sé sa di aver ragione. Ultimamente incontrano un sacco di gente strana.

I due si chiamano Alvys (il mezzelfo) e Mustafà (il mezzorco), e dopo i convenevoli di rito, si presentano come esploratori e cacciatori di mostri.
Alvys si sfrega le mani mentre spiega che al momento stanno lavorando per conto di Ekelorn, il quale li paga profumatamente per catturare dei sauridi del deserto da impiegare negli spettacoli dell'Arena di Bakaresh.
Un lavoro remunerativo, continua Mustafà, che potrebbe esserlo ancora di più se potessero contare su un aiuto supplementare.
"Siete avventurieri, noi sappiamo come cacciare e voi potreste darci una mano. In due è complicato, ma con il vostro aiuto potremmo prendere un bel po' di bestie e guadagnare un gruzzolo ragguardevole. Potremmo corrispondervi quattrocento monete per ogni esemplare vivo, duecento per quelli morti."
"Ekelorn vi paga anche per le bestie morte?" chiede ironico Gimble. "Ma lo scopo non era di ammazzarle nell'Arena?"
Alvys scuote le spalle, risponde senza l'ombra di un sorriso: "Non ci importa cosa se ne fa dei sauridi morti, ci importa che paghi."
Gimble è allettato dall'offerta, i due aggiungono che si tratta di raggiungere le rovine di un villaggio abbandonato sulle montagne in direzione nord-est, a mezza giornata di cammino, un'ottima zona di caccia.
Tuttavia, pensandoci meglio e discutendone coi compagni, alla fine decide di rifiutare. Pur trattandosi di una breve deviazione significherebbe allungare i tempi per il ritorno a Bakaresh, da cui nessuno pare voglia star lontano troppo a lungo dopo i ritrovamenti nella torre di Nezabal. Rabiaa potrebbe scoprire qualcosa di utile da un momento all'altro.
"Come volete" commenta impassibile Alvys. "Ci arrangeremo da soli o troveremo altri gregari."

sabato 25 maggio 2013

361 - IL PASSO DI SARIR

La strada si apre su un'ampio spiazzo alla sommità del passo, circondato da alte pareti di roccia rossastra e arida. Venendo da Bakaresh la grande locanda "Confine del Deserto" è il primo edificio che si incontra. C'è molto movimento, lo spiazzo è affollato di viandanti che vanno sistemando le bestie nelle stalle, aiutati da un giovanotto robusto, mentre si scambiano saluti o si discute di affari. Dal retro dello stabile si leva un fumo intenso carico di aromi invitanti di spezie e carne grigliata.
Avvicinandosi alla locanda tuttavia lo sguardo viene rapito dalla meraviglia che si scopre man mano che le pareti rocciose lasciano intravedere il passo nella sua interezza.
Con un'architettura dal sapore mistico che sembra avvolgere tutto il passo, un magnifico santuario incastonato nella roccia arida si erge davanti agli occhi dei nostri eroi. A poca distanza sorge un piccolo monastero a ridosso delle pareti scoscese della montagna, circondato da alte mura che lo rendono simile ad un fortino, ma che in questo contesto non fanno che aumentare il senso di pace e preghiera che caratterizza il luogo. Persino la confusione della locanda sembra ridimensionata, attutita, avvolta da questa atmosfera di raccoglimento.
"Il passo di Sarir è un luogo di importanza storica per Kal Mahda" spiega Bovak, ripetendo quel che ha imparato da Octalius durante la sua permanenza presso la bottega del cartografo. "Si dice che qui Arash Naxxar, durante la campagna di liberazione di Kal Mahda dal dominio di Yar-Mazar, tenne testa alle truppe degli infedeli resistendo per cinque giorni con i suoi pochi e mal equipaggiati uomini, i guerrieri Ashfar, aprendo un varco alle truppe imperiali verso la riconquista di Bakaresh."
Un'improvvisa ventata fredda segna l'arrivo del crepuscolo, le lanterne del monastero ondeggiano metalliche.
"Ma adesso muoviamoci, o dovremo dormire nella stalla. Anticipatemi in taverna, io vado a sistemare Batuffolo lontano dalla civiltà, non vorrei trovarmi troppe reazioni come quella di Juan..."
"Sì, sì... fai lo spiritoso!" ribatte stizzito il coloviano. "Guarda che andare in giro con una pantera non è normale, ecco! Già consideravo strano quello di prima con il corvo..."

La taverna è gestita da un uomo baffuto di nome Isam, tanto melenso con i clienti quanto perentorio negli ordini impartiti alla figlia dodicenne incaricata di servire ai tavoli. L'altro figlio del locandiere, Saleh, un ragazzone un po' tardo, si occupa invece della stalla e delle bestie.
La sala del ristoro è molto pittoresca, fatta di tavoli bassi e spazi arredati con grandi cuscini, piena del fumo aromatico delle shisha dei molti mercanti e pellegrini che affollano la locanda. Isam sistema gli avventurieri ad uno dei pochi tavoli liberi, dove già siedono due estranei. Hearst mugugna infastidito, a nessuno dei compagni passa inosservato l'insolito malumore del guerriero, particolarmente taciturno e chiuso nei suoi pensieri. Per alcune monete d'argento prendono delle stanze, quindi aspettano Bovak per ordinare la cena.
Nell'attesa Isam, su esplicita richiesta di Isabel e Rune, spiega che il tempio incastonato nella roccia è un Santuario di Mujon di origini antichissime. Nessuno sa quando fu costruito, ma di certo ha rappresentato uno dei punti cardine della fede prima della costruzione del Tempio del Drago d’Oro di Bakaresh negli anni successivi alla cacciata degli infedeli di Yar-Mazar.
"Il santuario del passo fu una delle mete del leggendario pellegrinaggio del Santo Felm, che si fermò in questi luoghi ospite dei sacerdoti del Drago Martire per trovare ristoro dopo aver attraversato il deserto. Mentre era qui, Felm salì sulla sommità del monte Zaghra di notte, dove si dice meditò fino all'alba perché Dio gli concedesse chiarezza sulla successiva meta del suo viaggio."
"Infatti" continua Isam mostrando esperienza di cicerone "sul monte Zaghra si trova uno dei dodici altari di Felm che costituiscono la Strada del Pellegrino, ora divenuto meta dei molti fedeli che la percorrono ed onorano il Santo aspettando sulla vetta il sorgere del sole. Per la risalita ci vogliono un paio d'ore, ed il sentiero parte proprio da qua, dal passo."
"Immagino quindi che il monastero ospiti i sacerdoti dei due culti" deduce Isabel.
"Esatto. Una piccola rappresentanza dedita alla preghiera. I sacerdoti di Mujon sono guidati da Zer’i Koztan, un mezzelfo di origini Ashfar, mentre quelli di Felm dal Padre Pellegrino Tarek."
Il ritorno di Bovak coincide con l'arrivo di alcuni antipasti, mentre Isam propone il piatto principale per la cena, congedandosi quindi dagli avventurieri.

giovedì 16 maggio 2013

360 - BOVAK GIMRON

I genitori di Bovak appartenevano ad una stimata famiglia di gioiellieri del Regno dei Nani, i Gimron. Vivevano nel complesso di Khalad-Dûl, un importante agglomerato nella parte occidentale della catena dell’Ulgoland.
La famiglia di Bovak era famosa per essere particolarmente aperta e intraprendente rispetto alla tipica chiusura della propria razza, tanto da aver sviluppato una fitta rete commerciale anche al di fuori dei confini di Khalad-Dûl e dell’Ulgoland.
L’intraprendenza dei Gimron aveva loro permesso di cogliere certe opportunità di guadagno impossibili per altri commercianti nanici, garantendo alla famiglia una discreto patrimonio, un buon tenore di vita e una certa distinzione sociale. La stima che i Gimron si erano guadagnati tra i nani di Khalad-Dûl aveva fatto in modo che il loro stemma fosse riconosciuto come simbolo di qualità.
Purtroppo fu la loro stessa intraprendenza a cacciarli in grossi guai. Settant'anni or sono, quando Bovak era solo un ragazzino, la sua famiglia venne a sapere della recente colonizzazione da parte dell’Impero di un nuovo arcipelago di isole nelle lontani mari del sud. Nuove terre che dovevano ancora essere esplorate, che promettevano immense ricchezze, con giacimenti ancora intatti di metalli e pietre preziose. La storica avversità dei nani per gli ambienti marittimi e tropicali offriva loro l’opportunità di guadagni senza precedenti e senza concorrenza.
I Gimron decisero quindi di imbarcarsi nel viaggio verso quelle terre lontane, navigando lungo le coste occidentali del continente, dal Middlecoast, ad Aardelven, ad Astaril.
Il viaggio fu tutt’altro che breve, e men che meno semplice, e la famiglia di nani dovette cambiare diverse volte la nave per cercare di arrivare a destinazione. Purtroppo l'epilogo fu il peggiore possibile. Il mercantile su cui viaggiava la famiglia Gimron venne assaltato nel Mar delle Colovie dai feroci pirati de la Tortue. Oltre a saccheggiare ciò che di valore veniva trasportato, i pirati fecero prigionieri quelli che non massacrarono per farli lavorare come schiavi. Bovak era ancora molto giovane, e non era nemmeno robusto per essere un nano, ma i pirati non gli fecero sconti: o lavorava, o veniva passato a fil di lama.
Tutti i prigionieri furono portati su un’isola sconosciuta e tenuti per mesi in gabbia, nutriti quel tanto che bastava per non farli morire di fame, sopportando turni di lavoro massacranti. Poi una parte di loro venne portata via, e Bovak era tra quelli. Condotto su un'isola diversa e identica allo stesso tempo, si ritrovò all'improvviso e per la prima volta solo, senza la sua famiglia.
Il nuovo covo era vicino alla costa, poco distante dall’estuario di un fiume dalle acque torbide e da un’estesa e lussureggiante foresta, che s’arrampicava in lontananza lungo le pendici di una montagna che svettava la centro dell’isola.
Bovak viveva rinchiuso in una sorta di prigione naturale senza finestre ricavata in una grotta, le cui uniche aperture erano la robusta porta in legno rinforzato con un piccolo sportello - utilizzato per passargli il rancio giornaliero, una pagnotta rinsecchita e una brocca d’acqua - e una piccola apertura posta al centro del soffitto a circa quattro metri di altezza, che forniva un minimo ricambio d’aria a quella cella angusta. Quando veniva costretto a uscire dalla sua prigione, doveva lavorare duro, controllato a vista e frustato ad ogni esitazione. Passarono cosi le settimane, i mesi, gli anni.

Bovak non sapeva quanto tempo era passato da che era lì quando arrivò la stagione delle piogge, la più piovosa che egli ricordasse. Dopo settimane di pioggia intensa, una mattina il fiume esondò, allagando tutto il covo, inclusa la sua cella. La furia delle acque distrusse le palafitte in legno, le baracche, portando con sé uomini e animali, ma non la piccola prigione del nano, scavata nella roccia, inamovibile per il fiume.
L’acqua che saliva avrebbe significato morte certa per un nano qualsiasi, ma non per lui; per lui era la salvezza. Dopo anni sulle navi e tra le isole, Bovak era diventato un abile nuotatore, e il livello dell’acqua gli permise di raggiungere il condotto di aereazione sul soffitto. Grazie alla sua corporatura esile – di costituzione e per gli stenti - riuscì a sfruttarlo come via di fuga. Bovak scappò via, verso l’interno dell’isola, attraversando sotto la pioggia battente l’area dell’estuario ormai ridotta a palude. Era libero, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse. L'istinto lo spinse a seguire il corso del fiume verso monte, lontano dai suoi carcerieri. Camminò per giorni nella foresta, esausto e affamato.

I suoi movimenti lungo il grande fiume non passarono inosservati al popolo nativo che viveva lungo le sue rive, e una notte Bovak si ritrovò accerchiato da numerosi indigeni dalla pelle scura e dall’aspetto minaccioso. Il giovane nano era terrorizzato, in balia di quei selvaggi che parlavano una lingua sconosciuta. Tuttavia, non era destino che Bovak diventasse la loro cena. Anzi, una volta certi che il nano non costituiva un pericolo, lo soccorsero e lo portarono al loro villaggio.
"Fu un vero colpo di fortuna, ancora una volta l'acqua mi aveva salvato. I nativi mi curarono e feci presto amicizia con il figlio del capotribù che mi aveva preso in simpatia. Nessuno di noi capiva un accidente della lingua dell'altro, ma fu un modo per imparare vicendevolmente. Diventammo inseparabili, anche quando alla morte del padre divenne capotribù, io e Wakaru..."
La compagnia si ferma di colpo, sbigottita. Gimble scuote la testa: "Non ci posso credere... il mondo è veramente piccolo! A quanto pare Octalius e Saabi Abbar non sono gli unici amici comuni che abbiamo!"
Bovak è altrettanto sorpreso di come gli avventurieri siano entrati in contatto con il Popolo del Fiume. Gimble riassume brevemente le loro imprese sull'isola di Alznar, senza tuttavia entrare nei particolari più del dovuto.
"Sorprendente" ammette Bovak. "Davvero sorprendente! Sono parecchi anni che non vedo Wakaru, sono felice di sapere che gode ancora di buona salute nonostante l'età. Per gli umani il tempo passa così veloce..."
Il crepuscolo porta con sé un vento freddo, la roccia rossa perde presto il suo calore all'imbrunire.
Bovak resta in silenzio, mentre la mente si riempie di ricordi e un briciolo di nostalgia: "Devo molto a Wakaru. Mi ha insegnato a capire e rispettare la natura, ha condiviso con me i suoi segreti."
Il passo di Sarir è ormai a poche decine di metri. E' tempo di pensare alla notte, e mettere da parte il passato.

sabato 11 maggio 2013

359 - BATUFFOLO

Hearst, Isabel e Rune raggiungono Gimble appena fuori dal suk, dopo aver acquistato acqua e cibo per il viaggio. Lo gnomo li attende seduto su una pila di tappeti, con espressione provata, e prima ancora che aprano bocca indica loro Juan, impegnato in una folle trattativa con un cammelliere vestito di bianco.
"Nu nu nu nu! Tu sei peggio di brigante! Con questo prezzo tu nuu mio amico!" protesta gesticolando l'uomo. La sua parlata mantiene un accento Yar'i talmente marcato da risultare difettosa.
"E' quello che chiedi tu che è un prezzo da strozzino! Ti chiedo il nolo dei cammelli per qualche giorno e pretendi il loro valore!"
"Nu nu nu nu! Nuu il loro valore, una cauzione, una cauzione! Come dico io è grande affare per te e per me!"
Il tira e molla prosegue a lungo. Il cammelliere è un osso duro, mercante d'esperienza e per Juan non è facile spuntare un buon prezzo. Anzi.
Finalmente il coloviano, esausto, torna dai compagni: "Ce l'ho fatta! Tre monete al giorno per cammello, con una cauzione di settantasei monete..."
Gimble lo guarda perplesso, ma trattiene ogni commento per evitare che Juan riparta con la contrattazione. Una rapina. A conti fatti pagheranno come a comprarli i cammelli, ma meglio lasciar correre piuttosto che doversi sorbire un'altra interminabile controtrattativa. Dall'analogo silenzio del resto del gruppo, sembra che tutti condividano l'idea che sia meglio farsi fregare dal cammelliere Yar'i.
Prima di raggiungere Bovak fuori città gli avventurieri si fermano da Rabiaa per riscuotere parte dei loro compensi in equipaggiamento magico. La scelta di utilità ricade su una borsa conservante, una speciale sacca in grado di contenere al suo interno molto più di quanto materialmente possibile in termini di peso e volume, pur pesando sempre allo stesso modo.
Usciti finalmente dalla caotica Bakaresh e imboccata la strada che si dirige a nord verso le montagne, i nostri eroi si dirigono verso il luogo dell'appuntamento con il bizzarro amico di Octalius, dove la carreggiata svolta dietro un costone di roccia rossastra.
Bovak li attende proprio sulla curva, col cappello in testa e il legnetto in bocca. Proprio mentre si avvicinano dietro di lui sbuca la sagoma nera di una grossa pantera. Alla vista dell'animale i cammelli si agitano spaventati, con Juan che fa di tutto per tenerli, Hearst si lascia scappare un'imprecazione mentre porta la mano allo spadone, Rune che urla al nano di scappare, Isabel e Gimble che si preparano al peggio.
Pacifico Bovak sorride: "Tranquilli, tranquilli, non c'è pericolo! Questo è il mio amico Batuffolo, è innocuo!"
"Eccheccazzo, una pantera nera!... *Batuffolo*?!?" urla Juan, per niente tranquillo, sempre alle prese coi cammelli imbizzarriti.
Bovak si avvicina, riuscendo con pochi gesti e qualche pacca a calmare le povere bestie, compito che invece non gli riesce nei confronti del coloviano.
"Ti giuro che è un cucciolone, non ti farà niente!"
"Non se ne parla! Io non ci vengo in giro con uno che ha un gatto gigante mangiauomini, nossignore!"
"Ma guarda, è docile, ti viene vicino, accarezzalo..."
"Tienilo lontano! No! Diamine ha la bocca piena di SANGUE!"
"Per forza, ha appena divorato una pecora che ho comperato al suk... deve pur mangiare..."
"Tu sei strano, io l'ho detto fin da subito! Tu sei strano!"
"Juan calmati!" interviene Gimble. "E tu Bovak, per il momento tieni Batuffolo a debita distanza. Credo che tu ci debba dire qualcosa in più sul tuo conto, per evitare altre sorprese, non credi?"
"Oh! Ma certo! Però intanto incamminiamoci in modo da arrivare al passo di Sarir per sera, vi racconterò di me strada facendo..."