mercoledì 27 ottobre 2010

195 - CANNIBALI

Gli avventurieri proseguono con ancora maggior circospezione, fino a giungere in un punto in cui il corridoio si biforca con un incrocio a "T".
Hearst si pianta in mezzo alla biforcazione guardando a destra e sinistra: "Bene, e ora? Da che par..."
Gilead gli fa cenno di tacere. I suoi sensi hanno percepito qualcosa.
Dal corridoio di sinistra fanno capolino una dozzina di individui, vestiti di stracci o completamente nudi, con barbe e capelli sudici, pallidi e dagli occhi spiritati. I corpi magri sono avvolti in una debole luce azzurrina, emessa da piccole pietre che alcuni di questi uomini portano al collo.
"E questi...?" commenta Hearst, prima di rivolgersi a loro. "Ehi voi! Chi siete?"
Con un incedere quasi animalesco gli strani figuri avanzano, con le bocche aperte che perdono bava, sempre più rapidi. Dalle loro labbra si distingue solo una parola, ripetuta ossessivamente: "Carne! Carne!"
"Non sembrano inclini al dialogo" constata Rune esortando i compagni a fuggire nella direzione opposta, "e soprattutto sembrano affamati!"
Gli avventurieri si lanciano lungo il corridoio buio, con Hearst in testa, e i misteriosi cannibali alle calcagna. Gimble e Grolac faticano a tenere il passo dei compagni, ma fortunatamente anche gli inseguitori non si rivelano agilissimi, e spesso nella foga s'intralciano l'un l'altro.
Hearst guida i compagni attraverso svolte e incroci, passaggi larghi e cunicoli stretti, incapace di orientarsi nell'impeto della fuga.
Presto la debolezza dovuta alla prigionia si fa sentire; un sudore malsano inzuppa le vesti, subito freddo nell'atmosfera umida, il fiato si fa corto. Lo stesso non si può dire degli inseguitori, che guadagnano metri.
All'improvviso, dopo un angolo a sinistra, una rampa di scale scende bruscamente nelle tenebre, resa scivolosa dall'umidità e dai muschi. Condizioni che tradiscono la corsa sicura di Juan, nonostante la sua proverbiale destrezza. Il giovane coloviano incespica prendendo una brutta storta, e rotolando su parecchi gradini prima di riprendere il controllo, con il rischio di trascinare alcuni compagni nella caduta.
Quando si rialza, dietro di lui ci sono solo Gimble e i grugniti animaleschi degli inseguitori. Troppo vicini. La caviglia gli pulsa per il dolore.
"Non ce la faccio più..." lamenta lo gnomo.
Juan stringe i denti e riprende a correre.
Hearst, ai piedi della scala appena prima di un'ennesima svolta, osserva per un istante. Vorrebbe fermarsi e combattere quelle belve, ma è troppo rischioso, sono troppi da affrontare senz'armi e indeboliti.
"Psst!"
Cosa...? Qualcuno ha chiamato...
Il guerriero drizza le orecchie, mentre Rune lo affianca. Con la torcia scandaglia il corridoio che oltre l'angolo si perde nell'oscurità.
"Psst! Qui... qui!"
Hearst scorge la figura di un ragazzino, che si affaccia tra le pietre di un passaggio laterale socchiuso: una porta segreta!
Il giovane fa cenno di gettarsi all'interno per salvarsi. Hearst non ha esitazioni, seguito da Rune, che si ferma sull'ingresso per far entrare Gilead, poi Isabel e quindi Grolac.
Passano attimi eterni, Gimble e Juan non hanno ancora girato l'angolo e i grugniti dei cannibali sono ormai vicinissimi. Il ragazzo fa per chiudere il passaggio, ma Rune lo ferma: "Non possiamo abbandonare i nostri compagni!"
Il monaco fa indietreggiare l'adolescente, chiamando a sostegno Hearst: "Appena li faccio entrare, sigilla l'ingresso!"
Rune è un fulmine: Juan e Gimble svoltano l'angolo, seguiti a un paio di metri dai cannibali. Il monaco li afferra per le spalle trascinandoli a forza nel passaggio, cadendo con loro. Gli inseguitori, vedendo l'improvvisa deviazione, cambiano direzione gettandosi verso l'ingresso nascosto, protraendo le braccia per afferrare le loro prede.
Hearst spinge con forza la porta di pietra. Il braccio di un cannibale riesce a farsi strada nell'interstizio che ancora rimane, cercando di bloccare la chiusura, ma il guerriero schianta la parete semovibile con decisione, senza alcuna pietà, spezzando le ossa dell'avambraccio del malcapitato. Quindi ne afferra saldamente la mano, piegando e strattonando avanti e indietro l'arto spaccato, finché ne strappa le carni, amputandolo.
Al di là della porta si odono le strazianti grida di dolore del malcapitato, ma è ciò che segue che fa gelare il sangue nelle vene degli avventurieri: sono gli ululati dei cannibali, che alla vista del sangue si avventano sul loro simile ferito per divorarlo.

giovedì 21 ottobre 2010

194 - CORRIDOI OSCURI

"Meglio di niente..." commenta Hearst, guardando il contenuto della cassapanca malconcia. Sei torce, otto candele, due acciarini con esca. "Almeno non dovremo muoverci al buio."
Raggiungere la guardiola sfruttando l'ultimo rimasuglio di candela di Grolac è stata una scelta saggia. La porta era corrosa e poco resistente, come le altre; niente di impossibile per i muscoli di Hearst.
Dalla stanza i nostri eroi tentano di rimediare quanto possibile per un minimo equipaggiamento di fortuna. Isabel recupera una sedia marcia: con la seduta, strappando una striscia di tessuto dalla sua tunica, ne ricava uno scudo rudimentale, mentre una gamba risulta utile come randello.
Juan invece trova un vecchio triangolo e la relativa bacchetta d'acciaio, forse un richiamo utilizzato dalle guardie che stazionavano qui per darsi dei segnali. Il giovane coloviano rigira tra le dita l'asticella metallica: non è un granché, ma potrebbe aiutarlo ad aprire qualche serratura semplice.
Dopo una breve discussione, gli avventurieri decidono di avviarsi in quella che sembra essere l'unica uscita possibile, la sala con i topi vista da Gilead nella precedente esplorazione. L'elfo vorrebbe poter aiutare quell'uomo eroso dalla follia incontrato poco prima, ma è consapevole che la sua presenza sarebbe un peso non indifferente in questo momento.
"Lasciate che vada avanti io" dice Gilead, "e tenete accese le torce: quelle bestie temono il fuoco. Inoltre cercate di muovervi come me, i movimenti sono importanti quando si deve evitare di infastidire gli animali."
I grossi ratti soffiano rabbiosi al passaggio degli avventurieri, ma come previsto dall'elfo nessuno di essi azzarda un'aggressione, e il gruppo imbocca indenne il corridoio che si apre sulla parete opposta.
Dopo una decina di metri una scala scende perdendosi nell'oscurità.
"Ancora più in basso..." commenta sconsolato Grolac, dando per scontata l'eventualità di trovarsi sottoterra, grazie alla capacità innata dei nani di determinare la profondità.
Non avendo altre scelte, i nostri eroi proseguono, percorrendo prima la scalinata e poi lunghi corridoi deserti, intervallati solo da poche secche svolte ad angolo retto, fino a raggiungere un'arcata dove una grata abbassata blocca il passaggio. Fortunatamente l'argano per aprirla si trova da questo lato.
"Strano però" commenta Juan, mentre Rune si adopera per sollevare la grata "perché mettere il meccanismo di apertura da *questo* lato? Vogliono forse impedire di *entrare* in prigione?"
Il gruppo prosegue nel corridoio, che poco più avanti svolta a destra: appena girato l'angolo, Gilead sente il pavimento muoversi leggermente sotto la pressione del suo piede. Il rumore della grata che precipita richiudendosi dietro di loro non lascia dubbi sull'effetto della mattonella mobile.
Senza perdersi d'animo, gli avventurieri continuano l'esplorazione; il buio del cunicolo dietro e davanti a loro è inquietante. Corridoio intervallato solo da rozze arcate di pietra, ogni decina di passi. Per risparmiare risorse solo Gilead, in testa al gruppo, e Rune mantengono accese le rispettive fiaccole.
All'improvviso nel silenzio teso di questa marcia nel buio, il monaco sente qualcosa dietro di lui. Un secondo rantolo strozzato lo obbliga a girarsi di scatto.
Gimble, che chiudeva il gruppo, agita le gambe sollevato da terra in prossimità dell'arcata appena superata. Una sorta di tentacolo aritigliato pende dal soffitto, trattiene lo gnomo per la gola impedendogli di urlare nel tentativo di strangolarlo.
"Gimble!" Rune abbandona la torcia per correre in soccorso del compagno, strappandolo dalla mortale presa, gettandolo a terra lontano dal misterioso tentacolo.
Nelle ombre del soffitto, mentre si volta per rialzarsi, il monaco scorge una piccola creatura grigiastra, dalla pelle viscida e dai lunghi arti snodati. In men che non si dica, il mostro scaglia i suoi artigli come fruste all'attacco di Rune.
Il monaco si rotola di lato giusto in tempo per evitare l'affondo, e con un successivo colpo di reni si alza in posizione di difesa.
La creatura si muove rapida lungo i muri, per nulla intenzionata a rinunciare alle sue prede, mentre Gimble cerca di riprendere fiato tra i continui accessi di tosse.
Il successivo tentativo del mostro di afferrare Rune ha successo, ma quando l'artiglio si stringe attorno al collo del monaco, un sorriso beffardo si dipinge sul volto di quest'ultimo. Rune afferra con tutte le sue forze il lungo braccio snodato e lo tira violentemente. Il mostriciattolo non può far nulla per contrastare lo strattone, che lo obbliga a balzare al livello del terreno.
E questa è la sua fine. Circondato da Hearst e compagni, il mostro viene sopraffatto a mani nude e bastonate.
"Che diavolo era?" chiede Gilead, osservando l'icore giallastro che esce da un'orrenda ferita sul cranio dello strano umanoide.
"Non lo so" risponde Gimble massaggiandosi la gola. "Ma credo che fosse una sorta di benvenuto..."

giovedì 14 ottobre 2010

193 - MONETE DI RAME

Hearst lascia cadere con noncuranza la porta della cella di Grolac, sradicata dai cardini senza particolare fatica. Nella luce dell'ultima candela rimasta, il nano si getta ai piedi del guerriero, abbracciandogli il polpaccio, ringraziandolo animatamente con l'atteggiamento di chi ormai ha perso ogni briciola di dignità.
Hearst scuote la gamba per liberarsi dalla presa, come se dovesse ricacciare un cane fastidioso.
"Non illuderti nano" dice Gimble, rifilando uno spintone al suo antico aguzzino "ti liberiamo solo perché per il momento ci servi, e perché voglio sapere cosa ne è di mia sorella. Noi ti tireremo fuori di qua, e tu farai la tua parte."
"Toglimi una curiosità" continua Juan. "Cos'hai fatto di così sbagliato per farti rinchiudere dalle Lacrime Rosse? Cosa c'entri tu con tutta la faccenda di Kade, di Henox, di Zaran..."
"Credo sia meglio che ci racconti quello che sai" conclude minaccioso Hearst, scrocchiando le dita.
Grolac arretra, tremante: "Sì, sì, vi dirò tutto, vi dirò tutto, ma non fatemi del male... del resto si sono sbarazzati di me perché sapevo troppo!"
Grolac parla veloce incalzato dallo sguardo interrogativo degli avventurieri. Approdato a Salamanca dopo essere sfuggito all'imboscata di Gimble alla Cueva del Gitano, il nano, indifeso senza le sue guardie del corpo, è stato presto oggetto delle attenzioni indesiderate della malavita.
Catturato dagli uomini di Kade, Grolac racconta di essersi pagato la vita e la libertà con le ultime monete rimaste.
Gimble ricorda le missive trovate nel covo del mefitico halfling, e le monete di Berenzan... ecco da dove venivano!
Ma non era finita: Kade gli offriva protezione, in cambio di un lavoretto per Zaran e Henox a Puerto del Principe. Quale occasione migliore per allontanarsi dall'isola di Salamanca?
"Cosa voleva da te il negromante?" gli chiede Gilead, senza riuscire a reprimere una smorfia di disgusto.
"Dovevo avvicinare Fomorio" risponde Grolac. "Zaran sapeva che quel piccoletto era un concentrato di risentimento. Deriso dalle donne, denigrato dai pescatori, ridicolizzato per le sue deformità. Io dovevo solo convincerlo a vendicarsi dei soprusi che subiva, moltiplicare il suo odio verso i concittadini, prepararlo a ciò che Zaran e Henox avevano in progetto. Io dovevo diventare per lui un punto di riferimento, un modello."
"Cosa intendi? Non capisco, cosa c'entra Fomorio?" chiede confusa Isabel, non intuendo la complessa trama ordita dal negromante e dalle Lacrime Rosse.
"La nostra comune deformità era la leva su cui agivo per conto di Zaran, per spingere Fomorio alla vendetta. La malattia... non era una vera malattia..."
Grolac abbassa lo sguardo, come se egli stesso si vergognasse di quello che aveva fatto.
"Zaran mi aveva fatto dare dei preparati a Fomorio, un contagiante, da spargere sulle monete di basso conio. Monete di rame, che avrebbe dato come resto alle donne che compravano il pesce, o ai pescatori che glielo fornivano."
In un lampo, tutto diventa chiaro. Isabel ricorda perfettamente il giorno in cui comprò il pesce da Fomorio. I guanti scuri... non per coprire le piaghe, ma per toccare senza pericoli il denaro.
E ancora, quella sua inconsapevole generosità verso il mercante, nel rifiutare il resto del suo pezzo d'argento. Un atto che la salvò dal contagio, ma allo stesso tempo fece inevitabilmente escludere la pista del pescivendolo.
"Sei un bastardo... meriteresti una morte atroce per quello che hai fatto!" sentenzia Gimble.
"Ma non avevo scelta! Le Lacrime Rosse mi avevano in pugno! Cosa avrebbero fatto di me se non obbedivo alle istruzioni di Zaran?" protesta Grolac.
"Cos'hanno fatto di te *comunque*..." sibila pungente Juan. "Perché la malattia? Perché uccidere tutta quella gente?"
"La malattia non uccideva, ma simulava la morte per molti giorni" risponde Grolac. "Non so quali fossero gli scopi di quei due pazzi, ma anche io sono stato contagiato, come anche voi, lo vedo dalle cicatrici delle vostre piaghe. Eppure sono qui, mi sono risvegliato, non sono morto. Come voi, del resto..."
"Schiavi!" esclama Rune, folgorato dall'intuizione. "Ecco come alimentavano la tratta. Nessuno reclama la sparizione di chi si crede essere morto! Ecco perché quel trasporto di cadaveri verso il porto, verso la Verconnes!"
"Ma è impossibile! Ho sondato i corpi nella cripta del cimitero con l'incantesimo di Visione della Morte, ed il responso era certo! Morti, erano morti!" ribatte incredula Isabel.
"Non prendertela, Contemplatrice" Grolac fa spallucce. "Dio solo sa di cosa è capace quel diavolo di un negromante!"
Isabel è sconvolta... tutta quella gente, una città in ginocchio. Zaran e le Lacrime Rosse hanno saputo sfruttare le debolezze, gli egoismi, la sete di potere, le frustrazioni di alcune persone nei punti cardine per attuare il loro piano perverso.
Fomorio... Grolac... Ramiro... Juanito...
Pian piano il mosaico si ricompone, pezzo dopo pezzo.
Quel barbone, morto per mano di Nataniel perché affermava di essere risorto... un altro indizio finito nel dimenticatoio! Altro che resurrezione! Lui, mendicante, abbandonatosi morente per la pestilenza in chissà quale recesso, era solo sfuggito alla capillare raccolta dei monatti...
Juan colpito dalla malattia per aver scassinato il magazzino di Callermont *dopo* la loro prima intrusione attraverso il cunicolo: è ovvio che qualcuno avesse cosparso di veleno il lucchetto...
E poi il contagio, che colpiva con quelle vistose piaghe sulle mani prima le donne e i pescatori... i primi che ricevevano i pezzi di rame di quell'ometto deforme...
"Perché la malattia non colpiva tutti? Perché una volta unte le monete, alcuni in una stessa famiglia sopravvivevano?" chiede confuso Rune.
"Perché probabilmente il veleno perdeva di efficacia ad ogni passaggio di mano, o con il tempo" risponde Grolac. "Questo è tutto ciò che so. Non so nulla degli schiavi di cui parlate, non sapevo cosa facessero dei corpi dei malati. So solo che dopo aver convinto Fomorio, non servivo più. Quindi mi hanno contagiato, e mi hanno sbattuto qui."
Juan rompe lunghi attimi di silenzio: "Sì, ma dov'è *qui*?"

venerdì 8 ottobre 2010

192 - NELLE MANI DEL NEMICO

Tornati nel corridoio delle celle, Gimble e Gilead proseguono fino ad una nuova svolta a destra. La candela è ormai agli sgoccioli, la fiamma va lentamente esaurendosi, finché solo l'oscurità circonda i nostri eroi.
"E' la terza svolta a destra, quasi certamente il corridoio si chiude su sé stesso, tornando alla cella dei nostri compagni" dice Gilead, facendo affidamento sulle proprie abilità di esploratore. "Non sono bravo quanto un nano nell'orientarmi sotto terra... ma se andiamo avanti a tastoni dovremmo riuscire a ricongiungerci agli altri."
Le previsioni di Gilead non sono errate. Grazie alla visione crepuscolare e alla debole luminescenza dei muschi, dopo una quarta svolta a destra, l'elfo e lo gnomo si riuniscono al resto del gruppo.
I vari tentativi di Hearst di scardinare la porta hanno nel frattempo dato i loro frutti: troppo malconcia per resistere a lungo alla forza bruta del guerriero.
Liberi dalla prigionia della minuscola cella, gli avventurieri discutono sul da farsi. Il ritrovamento di Grolac e la furia di Gimble non sono passati inosservati agli altri compagni, mentre Gilead comunica il risultato del loro breve giro di ricognizione.
Il più perplesso sembra Juan: "E' tutto troppo semplice... Hearst ci ha messo poco più di venti minuti a liberarci dalla prigionia. Possibile che Henox e Zaran abbiano commesso un errore così grossolano? Sapevano benissimo di cosa è capace il nostro bestione..."
"Ehi! Non sono un bestione!" ribatte risentito Hearst.
"Non è il momento" taglia corto Rune, "più che altro, cosa facciamo con Grolac?"
"Avrei voglia di ucciderlo..." risponde Gimble "ma quel bastardo è l'unico a sapere dov'è mia sorella, e baratterà quest'informazione con la sua libertà."
"Suggerisco di liberarlo" dice Gilead. "Ciò che afferma Gimble è vero. Inoltre Grolac potrebbe comunque tornarci utile... non sappiamo cosa ci aspetti, ed essere in sette anziché sei potrebbe essere un vantaggio. Inoltre credo che potrà chiarirci un bel po' di cose sull'attività delle Lacrime Rosse a Salamanca e Puerto del Principe. Del resto era citato in una delle lettere che abbiamo ritrovato nel covo di Kade."
"Già, ma potrebbe anche tradirci, consegnarci al nemico..." puntualizza Isabel.
Juan sogghigna, anche se nelle tenebre nessuno può vederlo: "Ma noi siamo *già* nelle mani del nemico..."

mercoledì 6 ottobre 2010

191 - LA FOLLIA DI SOPRAVVIVERE

La luce debole della candela illumina il corridoio di pietra mentre Gilead e Gimble lo percorrono. A intervalli regolari, su entrambi i lati, si aprono anguste celle, la maggior parte chiuse e vuote. Tuttavia alcune riservano invece macabre sorprese: lo scheletro di un uomo, ancora incatenato alle manette inchiodate alla parete più lontana, sicuramente morto di orribili stenti; un branco di topi, intento a pasteggiare con qualcosa di irriconoscibile; ed infine, dopo una prima svolta a destra, una cella aperta, in cui la fiamma tremolante della candela illumina il volto pallido e terrorizzato di un uomo.
"Per Dio!" esclama Gilead.
Seminudo, sudicio, con le carni scavate dalla magrezza, appena la luce e la voce dell'elfo lo avvicinano, questi si ritrae in un angolo, rannicchiato, fissando i due nuovi arrivati con gli occhi di chi guarda la morte.
"Chi siete? Calmatevi, non siamo qui per farvi del male" dice Gilead, cercando di tranquillizzare il prigioniero.
Nessuna risposta. L'uomo, muto e tremante, si limita a fissare terrorizzato dal suo angolo i nostri eroi. Altri tentativi di comunicare dell'elfo non ottengono alcun risultato.
"Gilead andiamo" esorta Gimble, "non possiamo fermarci ora, la candela non durerà all'infinito. Quest'uomo sembra divorato dalla follia. Se ci sarà modo di aiutarlo, lo faremo quando avremo trovato luce e un po' di cibo."
Il corridoio prosegue alternando prigioni su entrambi i lati fino ad una nuova svolta verso destra. Dopo alcuni metri, una porta di sbarre lascia intravedere una stanza più grande, probabilmente una vecchia guardiola. Nell'ambiente restano solo una vecchia sedia marcia e una cassapanca. Null'altro.
Gimble spinge la grata. Chiusa.
"Maledizione..." esclama irritato.
"Questo posto sembra in tutto e per tutto abbandonato. Guardiola sguarnita, da cui hanno portato via praticamente tutto, nessuna traccia di sentinelle..." Gilead si fa pensieroso. "Non capisco, che razza di luogo è mai questo? ...e non riesco a togliermi dalla testa quell'uomo Gimble. L'hai visto? Era consumato dalla pazzia. Attorno a lui c'era un cimitero di ossa di topo, viveva tra i suoi escrementi... e le dita... si era scarnificato le falangi a furia di mangiarsi le unghie! Eppure la sua cella era aperta, poteva uscire, ma non aveva chiaramente alcun luogo dove andare! E' forse questo il nostro unico destino? Perché *sopravvivere* perdendo ogni condizione umana? Io... io preferirei la morte ad un simile annullamento!"
Gimble risponde, dopo un'interminabile istante di riflessivo silenzio: "A volte si sopravvive solo nella speranza di riuscire un giorno a fuggire dall'incubo che si sta vivendo. Dipende se arriva prima quel giorno, o la follia."
Continuando l'esplorazione, i due s'imbattono in un passaggio che si apre sulla destra rispetto al corridoio principale. Gilead decide di vedere dove conduce. Dopo pochi metri, un'ulteriore svolta verso destra conduce in una stanza piuttosto grande che la candela non riesce ad illuminare interamente. Dei grossi topi, grandi quasi come cani, hanno occupato la sala facendone la loro tana, soffiando rabbiosi in direzione dell'invasore.
"Ratti crudeli..." constata Gilead. "Meglio evitarli per ora, fintanto che siamo disarmati..."