giovedì 15 settembre 2011

256 - NON DEVONO FUGGIRE

Quando Gimble riapre gli occhi ha la vista offuscata. E' a terra, scuote la testa per riprendersi. Attorno a lui sente i compagni lamentarsi, mentre cercano di riaversi.
Nella stanza c'è un forte odore di carne bruciata. Con la mente ancora confusa, capisce di trovarsi nella sala del trono del Duca. Ci sono quadri alle pareti che raffigurano situazioni familiari e una misteriosa figura ammantata di nero riversa in un angolo, percorsa da brevi convulsioni elettriche.
Ma soprattutto, a poca distanza da lui, c'è Carnegie. Il Duca, riverso prono, si sta riavendo dalla strana deflagrazione magica che si è verificata quando si sono gettati nel fuoco della lente. Con la mano cerca a tastoni lo scettro rotolato a pochi passi da lui. Lo gnomo non ha esitazioni, scatta in piedi con un movimento brusco che gli provoca una sensazione di svenimento: deve impedire a Carnegie di prenderlo!
Gimble si butta di peso sulla schiena del Duca, bloccandogli le braccia con le gambe e afferrandogli la barba, quindi tira forte verso di sé. Carnegie sbava grugnendo per il dolore e la sorpresa, allungandosi il più possibile per raggiungere la sua arma, ma lo gnomo non molla la presa.
"Svegliatevi maledizione! Qualcuno prenda lo scettro!" urla Gimble, mentre i compagni si guardano attorno ancora confusi.
Juan, il primo a reagire, si tuffa sullo scettro, recuperandolo con una capriola. Il coloviano lo punta contro Carnegie: "Come diavolo funziona? Isabel! Isabel!"
Juan lancia lo scettro alla sacerdotessa, che tuttavia non sa a sua volta come attivarne i poteri.
"La smettete di giocare come degli idioti!" urla nervosamente Gimble. All'improvviso il Duca muove bruscamente il braccio provando ad afferrare un coltello nascosto legato cintola. Lo gnomo se ne avvede e reagisce prontamente, precedendo il suo avversario e scagliando d'istinto il pugnale lontano.
Il Duca approfitta comunque della distrazione dello gnomo, e nell'istante in cui la sua presa sotto il mento si fa più debole urla, chiamando le guardie con tuto il fiato che ha in corpo.
Hearst, che nel frattempo si è rialzato, incita Rune, Gilead e Grolac a dargli man forte per affrontare gli armigeri in arrivo, ma quando cerca la sua ascia non può far a meno di farsi sfuggire una sonora imprecazione. L'arma, come anche il resto degli oggetti trovati nel mondo dei dipinti illusori, è svanita nel nulla.
In pochi istanti una delle porte che danno sulla sala, a pochi passi dal corpo esanime percorso dall'elettricità, si spalanca, facendo entrare mezza dozzina di guardie armate fino ai denti. Il primo della fila, un soldato dal naso a patata schiacciato sotto l'elmo, punta la spada in direzione degli avventurieri ordinando di uccidere gli intrusi.
"Gimble! Lascialo perdere! Scappiamo! Di qua!" esclama Gilead, affrettandosi ad aprire l'altra grande porta a due ante che dà sulla stanza.
Lo gnomo non se lo fa ripetere due volte, e dopo aver mollato uno sganassone sulla nobile testa di Carnegie se la dà a gambe levate.
Il Duca si rialza fuori di sé, isterico, appena in tempo per veder sparire i fuggiaschi con il suo scettro oltre una svolta del corridoio fuori dalla sala.
"Non state lì impalati! Date l'allarme! Prendeteli! Prendeteli! Hanno il mio scettro! NON DEVONO FUGGIRE!"

domenica 11 settembre 2011

255 - QUINTO INTERLUDIO

Il dolore la paralizza, l'elettricità percorre il suo corpo dilatando il tempo.
Il suo atto di ribellione al Duca le sta costando caro. No. Forse costerà molto più caro al suo carceriere.
Il suo sguardo corre sulle tele, sui quadri appesi alla parete che raffigurano le illusioni in cui Carnegie teneva imprigionati coloro che attivavano il Cubo. Sono la sua arte, creazioni di cui lei è stata l'artefice, schiava e carnefice allo stesso tempo. La sala dei banchetti, quella dei gargoyle, il pozzo degli uncini, la notte del faro. Illusioni da lei dipinte su ordine del mostro che la sta uccidendo, nate per il suo divertimento. Immagini estratte tessendo i colori dei cristalli, dei semplici quadri per l'osservatore, dei veri e propri mondi per chi ne era imprigionato. Ogni quadro era un'invalicabile finestra tra le due realtà, usata dal Duca per osservare le sue vittime, per godere delle loro sofferenza, per piegarne gli animi con le sue meschine apparizioni.
Curvare le due realtà, intersecarle anche per un solo istante era l'unico modo per aprire un varco, una via di fuga. Ecco perché aveva creato la lente. Carnegie non sospettava l'utilizzo che ne poteva essere fatto, per sovrapporre la realtà e l'illusione.
La pelle brucia, l'elettricità la sta divorando. Lei, la Pittrice dei Cristalli, sta morendo, imprigionata nel cerchio magico che la vincola da troppo tempo al servizio del Duca.
Lo odia, l'ha sempre odiato. Ma non lo ammira più, ha visto il suo terrore. Sa di aver agito nel giusto aiutando i prigionieri, aiutandoli a ritrovare la libertà.
In un certo senso, anche lei ora è libera.

giovedì 8 settembre 2011

254 - RIFLESSI DI ILLUSIONE E REALTA'

I nostri eroi si scambiano sguardi avviliti, lasciandosi cadere esausti sul pavimento, le spalle appoggiate al parapetto. L'incessante farfugliare di sotto segna l'inarrestabile avanzata dei gibberling, che nella loro scalata rendono la parete del faro una massa scura informe, come un'escrecenza carnosa che ributta dalla pietra.
Il silenzio, gli occhi bassi: parole inespresse di un pensiero comune, della consapevolezza che non c'è più nulla da fare. E la scelta offerta dal Duca, se morire dilaniati dagli artigli delle bestie o nell'abbraccio delle acque scure del mare, scegliendo il proprio destino anche alla fine.
Il pensiero percorre tutti. C'è dignità nello scegliere la morte? Ma che dignità è quella di un suicidio? Perché... perché è così difficile morire, lasciarsi andare, anche quando ormai tutto è segnato?
L'olio va lentamente esaurendosi e dalla botola provengono rumori sempre più vicini e preoccupanti, mentre gli avventurieri attendono silenziosi, accucciati, incapaci di trovare una soluzione. Sebbene tutti siano scossi dal desiderio di farla finita nessuno parla, forse per orgoglio, forse per paura. Solo Grolac accenna a un lamento, ma lo sguardo truce di Gimble è un avvertimento: il suicidio non è il solo modo per finire in mare.
"Non è possibile..." Juan rigira distrattamente la pergamena con il messaggio tra le mani, quel piccolo frammento il cui contenuto sembrava dar loro una speranza, un aiuto, una via di fuga.
La realtà è il riflesso dell'illusione.
Juan alza gli occhi, incrociando lo sguardo di Gimble, la lente, il quadro del Duca. E se...
Lo gnomo corre a sedere vicino al coloviano, in fibrillazione, come se lo stesso pensiero li avesse folgorati allo stesso istante.
Gli bisbiglia nell'orecchio eccitato, attirando l'attenzione dei compagni.
Juan non capisce esattamente cosa intenda lo gnomo, ma probabilmente è ciò che immagina anche lui. Il quadro è la porta, la lente la loro chiave.
Il passaparola è rapido e in un batter d'occhio Hearst si fionda sulla grossa lente del faro. Resistendo al calore che gli scotta le mani, la divelge e la rimuove dai perni su cui è montata.
Il quadro di Carnegie si anima, il Duca li osserva con sguardo interrogativo.
Gli artigli grattano frenetici sulla botola.
Con l'aiuto dei compagni e grugnendo per lo sforzo, il guerriero posiziona la lente di fronte al quadro.
Accade tutto in pochi attimi.
Nel punto focale della superficie concava, il quadro si riflette prendendo profondità, come un ologramma sbiadito. Il volto del Duca passa dalla sorpresa, all'orrore, alla rabbia, si volta di scatto verso la figura fuori campo alle sue spalle.
Urla parole di fuoco coperte dagli strilli animaleschi della notte del faro, dal graffiare sul legno della botola: "Cancellalo! Distruggilo! Distruggilo immediatamente!!!"
Ma il suo comando rimane inascoltato mentre gli avventurieri scattano verso la proiezione, quel riflesso d'illusione che li condurrà alla realtà.
Il Duca impreca, punta il suo scettro verso la figura dietro di lui facendone scaturire un fulmine che elettrizza l'aria riempiendola del caratteristico odore agliaceo dell'ozono. Ma è troppo tardi.
Un bagliore fortissimo. Lo spazio si comprime, si dilata, tuona, esplode, spacca i timpani. Cadere, volare, sbattere.

domenica 4 settembre 2011

253 - LA FORZA DI MOLTI

Gli avventurieri si affrettano lungo le passerelle. Juan precede tutti, seguito da Rune, e via via tutti gli altri, con Gilead e Isabel che cercano di aiutare alla meglio i compagni più lenti, Gimble e Grolac.
L'uscio del faro scricchiola pericolosamente sotto il continuo picchiare e graffiare di decine di artigli. Tutti sanno che non resisterà, non a lungo.
Lo schianto metallico del chiavistello che cede, tuttavia, giunge prima di quanto si aspettassero, seguito dallo strisciare del tavolo sul pavimento, spostato dalla spinta dei gibberling. Gimble si ferma per un istante, fissando inorridito la massa di creature che si riversa nell'atrio della torre come in preda a una frenesia inarrestabile. I primi ad entrare vengono calpestati, schiacciati dalla calca.
Lo gnomo sa di doverli rallentare, di dover guadagnare quel poco di tempo per raggiungere la botola e sigillarsi sulla sommità del faro. Facendo ricorso alle sue capacità magiche, Gimble evoca un grosso ragno, che compare dal nulla con il solito sbuffo di vapori verdi.
Isabel richiama Gimble, sale le scale, continua la sua corsa, mentre l'aracnide sputa ragnatele vischiose lungo le passerelle. Diverse creature vi rimangono intrappolate, rallentando l'avanzata di colore che le seguono, ostruendo i passaggi verso le scale che conducono ai livelli successivi.
Gilead approfitta ulteriormente della situazione, scagliando la torcia accesa sui gibberling invischiati, trasformando il tutto in una trappola di fuoco in cui parecchi mostriciattoli vengono arsi vivi. Le fiamme si spengono soffocate dalla calca stessa, vanificando la speranza dell'elfo che attecchissero sul legno delle passerelle.
"Non perdete tempo! Salite!" urla Juan, che già sulla sommità incita i compagni sporgendo la testa dalla botola aperta.
E' una corsa contro il tempo, ma gli ostacoli piazzati da Gimble hanno garantito un buon vantaggio. Quando anche lo gnomo sta per raggiungere la botola, i gibberling sono all'incirca a tre quarti della risalita.
Hearst studia in silenzio la situazione, poi improvvisamente sorprende tutti riscendendo sull'ultima passerella, in direzione opposta a quella di Gimble.
"Che diavolo fai? Dobbiamo chiudere!" grida lo gnomo incredulo.
"Sali, ci penso io a fermarli" ribatte deciso il guerriero.
Hearst, raggiunti i pali portanti delle passerelle, delle scale, assesta con l'ascia dei poderosi colpi che ne spezzano le corde e ne indeboliscono la struttura. Il guerriero temporeggia il più possibile prima di raggiungere i compagni al sicuro.
Al passaggio dei gibberling, sotto il peso della moltitudine inferocita, le strutture sabotate cedono con uno schianto, trascinandosi dietro quasi tutta l'impalcatura di legno delle passerelle sottostanti. Schegge e polvere si levano dappertutto, in un frastuono di legno che si spezza e urla animalesche disperate.
Quando la polvere sta per raggiungere la sommità del faro, Hearst chiude la botola.

I nostri eroi riprendono fiato appoggiati al parapetto sulla cima. Al centro del piccolo spazio c'è un ampio braciere ricolmo d'olio, dal quale si sprigiona la fiamma che illumina la notte di questo posto dimenticato da Dio, e al suo fianco una grossa lente regolabile per mezzo di un argano. Quattro grandi arcate si intervallano lungo la circonferenza del faro, e su una delle pareti che le separano, il consueto quadro del Duca fa capolino. Sul suo volto è dipinta un'espressione beffarda mentre si anima, ma ancora una volta gli avventurieri hanno la sensazione di qualcosa di appena percepibile nella profondità di campo del quadro, alle spalle del loro aguzzino.
"Questa volta non avete scampo!" declama il Duca, la cui voce freme dall'emozione di una vittoria che sente certa.
"Ah sì? Questo è quello che credi, bastardo!" risponde rabbioso Juan. Aiutato da Rune e Hearst il coloviano regola la lente verso il basso, in modo che il fascio di luce colpisca nella pianura sottostante. Laddove la luce viene proiettata, i gibberling fuggono impazziti.
"Ahahahah!!! E' tutto ciò che avete pensato per contrastarmi?" Carnegie ride di gusto, interrompendosi bruscamente e riprendendo la sua espressione crudele. "L'olio del faro non durerà per sempre, a differenza della notte che vi attende. E se anche fosse, non sarebbe comunque sufficiente."
Gli occhi del Duca diventano due fessure sottili: "Osservate bene ciò che c'è sotto di voi..."
Isabel si sporge dal parapetto, seguita dai compagni. Una fiumana di mostriciattoli si accalca per entrare nel faro, altri si aggrappano alle pareti nel tentativo di scalare, usati a loro volta come supporto per la risalita di altri gibberling.
Rune getta un'occhiata anche dalla botola. Lo spettacolo è il medesimo: senza scale, i mostri usano i loro stessi compagni come appigli per arrampicarsi, guadagnando pochi piedi alla volta, ma rendendo la risalita inarrestabile.
"Siete finiti! E' solo questione di tempo!" esulta Carnegie, leggendo il pallore sul volto di Rune. "Avete ancora una possibilità per accorciare la vostra sofferenza, solo una. Accettate la resa, toglietevi voi stessi la vita. Gettatevi di sotto, nel mare, sugli scogli appuntiti! Lasciate che le rocce spezzino le vostre ossa e lacerino le vostre carni! Lasciate che le onde lavino il vostro sangue! Lasciate che il mare sia la tomba dei vostri corpi..."

domenica 28 agosto 2011

252 - AL RIPARO

Le luci danzanti di Gimble svaniscono proprio quando i nostri eroi raggiungono la base del faro, mentre Juan si fionda sulla porta strattonandola. Il rumore metallico della serratura non lascia dubbi.
"E' chiusa! Copritemi, proverò a scassinarla!"
In un batter d'occhio il coloviano inizia ad armeggiare aiutandosi con la bacchetta metallica trovata nelle segrete. Juan suda per la tensione nonostante la brezza marina.
I compagni si dispongono a semicerchio per proteggerlo, mentre i mostriciattoli si accalcano a centinaia. Tengono la posizione alla meglio, affidandosi soprattutto alla furia omicida di Hearst. Il guerriero rotea senza pietà l'ascia sui nemici, lasciandosi dietro una scia sanguigna, mentre l'arma affilata mutila orrendamente le creature farfuglianti.
Tuttavia la marea di quelle bestie è inarrestabile. Per tanti che ne muoiono, il doppio scavalcano i loro cadaveri.
"Juan! Non resisteremo per sempre!" urla Rune, mentre spezza il collo di una delle scimmie.
"Sto facendo del mio meglio... ma questa porta di mer... porca puttana!" Juan impreca sonoramente mentre dalle mani sudate gli scivola l'attrezzo metallico. Il coloviano s'affretta a recuperarlo per rimettersi all'opera.
"Juan! sbrigati... argh!" Hearst grida di dolore. Il guerriero, impegnato ad estrarre la lama da un cadavere aiutandosi col piede, non si era accorto di uno di quegli esseri alla sua destra, ora aggrappato al suo braccio con i denti affondati nel bicipite.
"Maledetto idiota!!!" sbraita Hearst, sebbene non si capisca se ce l'ha con l'avversario o con il coloviano. Il guerriero scuote il braccio contro la parete del faro, usandola per vedere il contenuto della testa del suo aggressore, mentre a calci tiene indietro le altre bestie che sopraggiungono.
Con un clangore secco, la serratura cede, strappando un grido d'esultanza a Juan. Il coloviano non perde un secondo per fiondarsi nel faro, seguito dai compagni che indietreggiano lentamente mantenendo l'orda a distanza.
L'ultimo ad entrare è Gilead, che dopo aver allontanato i nemici agitando una torcia accesa davanti a sé, si getta all'interno lasciando che Hearst chiuda la porta. Il guerriero vi si appoggia con tutto il suo peso, mentre i muscoli si gonfiano nell'immane sforzo di contrastare la spinta.
Grolac attira l'attenzione di Rune su un tavolo dall'aspetto solido in mezzo al pianterreno. I due si affrettano a portarlo fino all'entrata, incastrandolo sotto il chiavistello.
L'interno del faro non presenta piani intermedi, e dopo una prima rampa di scali in pietra, la risalita lungo le pareti interne è un'alternanza di passerelle di legno e scale a pioli che le collegano, fino alla botola che conduce alla sommità.
"Che diavolo sono quelle bestie?" chiede Hearst col fiatone, rosso di sangue dalla testa ai piedi.
"Credo che si chiamino gibberling... ne ho sentito parlare qualche volta..." risponde Gimble. "Quanto meno non sono non-morti, altrimenti Juan se la sarebbe già fatta sotto... ma... dov'è Juan?"
I compagni cercano il coloviano con lo sguardo, vedendolo già alla terza passerella, impegnato nella risalita del faro. Non-morti o no, meglio portarsi avanti.

domenica 21 agosto 2011

251 - L'ORDA

Gilead scalcia per far perdere la presa al piccolo umanoide. La creatura, una specie di scimmia dalla pelle grigiastra e pelosa e dalle orecchie appuntite, emette un grugnito stridulo cadendo a pochi passi di distanza. Il suo tentativo di rialzarsi viene stroncato da una freccia dell'elfo in mezzo agli occhi, scoccata con la grazia tipica dei Guardiani di Frontiera.
"Che diavolo...?" Grolac impreca sonoramente, indietreggiando spalla a spalla con gli avventurieri.
Il fruscio nel grano aumenta d'intensità, nell'oscurità si scorgono le spighe ondeggiare, spinte dai movimenti di centinaia di creature striscianti. Un farfugliare sommesso fatto di grugniti bassi si mischia al rumore della risacca.
"Quanti... quanti sono?" esclama Rune, nello stesso istante in cui uno di questi esseri balza nella sua direzione, emettendo il suo stridulo urlo di battaglia. Il monaco lo respinge assestandogli un pugno tra le fauci che non gli lascia scampo. Il corpo grigio senza vita del mostriciattolo ricade nel grano subito calpestato da nuovi assalitori. Per niente intimorite per la perdita di due dei loro, le bestie avanzano con le zanne sbavanti esposte e occhi famelici.
Sono dappertutto, sbucano da ogni dove, attaccano senza timore. Gli avventurieri respingono i loro attacchi, accerchiati, spalla a spalla. Juan colpisce rapido in supporto a Rune e Gilead, Isabel contiene gli assalti supportata da Grolac, mentre Gimble usa il sonno per addormentare avversari e ridurre l'impatto delle cariche. Hearst falcia nemici a decine senza pietà. Sebbene singolarmente queste creature non siano una minaccia per i nostri eroi, il loro numero è soverchiante.
"Non possiamo resistere! Sono troppi! Sono ovunque!" urla Gilead, mentre con il tacco dello stivale fracassa il volto di una scimmia ai suoi piedi.
Hearst bestemmia incessantemente mentre spicca del teste dei pelosi primati, lordo di sangue dalla testa ai piedi. Il guerriero con un urlo bestiale carica la moltitudine davanti a sé, calpestandola, spingendola via.
"Rune!!! Non stare lì impalato come un imbecille! Dammi una mano!"
Nonostante i modi rudi di Hearst, il monaco ne capisce le intenzioni: "State pronti a correre, tenteremo di aprire la via! Cercate di contenere gli attacchi da dietro!"
Rune si alterna al guerriero caricando gli avversari in modo da aprirne le fila senza che abbiano il tempo di riorganizzarsi. L'oscurità, la paura, la tensione, le ferite, rendono tutto più difficile. Almeno per il buio però arriva provvidenziale l'aiuto di Gimble. Il bardo evoca le luci danzanti, che sortiscono anche un effetto inatteso: la luce sembra infastidire non poco i mostriciattoli, li confonde, ne rende goffi e incerti i movimenti.
"Ora!" urla lo gnomo, incitando i compagni. "Il mio incantesimo non durerà per sempre!"
La successiva carica di Hearst è devastante. La lama affilata dell'ascia del boia falcia le carni che si oppongono con la facilità di un coltello caldo nel burro. Rune segue il guerriero impedendo alle fila di richiudersi, facendo cenno ai compagni di seguirlo.
Superate le prime file dell'accerchiamento, la concentrazione di nemici si fa più rada, composta semmai di bestie ancora in movimento alla ricerca della preda.
I nostri eroi corrono, corrono verso il faro. La luce è la loro unica salvezza.

lunedì 15 agosto 2011

250 - UN FARO NELLA NOTTE

Gimble si gratta pensieroso la barba, mentre segue i compagni attraverso le immense distese di grano che li separano dal faro. Non riesce a togliersi dalla testa il messaggio che Juan ha mostrato. Che sia un nuovo inganno di Carnegie? O davvero qualcuno sta cercando di aiutarli? Ma chi?
"Elfo, questi campi sembrano non finire mai!" barbotta Grolac dalle retrovie, punzecchiando Gilead che fa strada. Il ranger non lo degna di risposta.
Gimble torna ai suoi pensieri e alle congetture che già da diverso tempo lo assillano. Il messaggio ne è una conferma. Diversi elementi sembrano confermare che attorno a loro sia tutto irreale, sebbene il paesaggio sia visivamente ineccepibile: non ci sono animali, tranne gli insetti, la brezza soffia sempre lontano, il grano è insapore - o almeno così il bardo interpreta le colorite affermazioni di Hearst a riguardo. Eppure c'è qualcosa di più, non si tratta di una semplice illusione. Benché Gimble si sforzi, non c'è modo di far breccia nel velo di finzione, anche avendo scoperto le sue incongruenze. Questo è il cardine della questione: se le incongruenze esistono nella realtà in cui si trovano e pur individuandole non è possibile miscredere il falso, è evidente che ciò che vivono è sì artefatto, ma pur sempre reale!
Le lamentele di Grolac distolgono nuovamente lo gnomo dalle sue elucubrazioni. Il nano comunque ha ragione. Camminano da diverso tempo, il sole s'è spostato dallo zenit, e il faro è ancora lontano a occidente. E' come se le distanze fossero dilatate.
Gilead incita i compagni a non perdersi d'animo e riprende la marcia nel grano.

L'ultimo spicchio infuocato di sole sparisce nell'orizzonte marino, lasciando nel cielo i riflessi rossi del tramonto. La brezza lontana aumenta d'intensità, portando con sé il freddo della sera. Ancora pochi minuti e l'oscurità divorerà tutto.
"Non manca molto ormai, forza!" esclama Gilead, esortando i compagni ad accelerare il passo. Il faro disterà pressappoco un miglio.
I nostri eroi marciano rapidi verso la meta, facendo frusciare le spighe di grano al loro passaggio. Lentamente il tramonto si spegne, lasciando che i contorni infuocati del faro, degli alberi, del grano si affievoliscano e si confondano nel crepuscolo.
Ma prima che il buio inghiotta tutto quanto, il faro s'illumina. Una fiamma s'accende misteriosamente sulla sua sommità, guida e riferimento di invisibili marinai e sperduti viandanti.
"Avete visto?" chiede inutilmente Rune, fermatosi come i compagni ad osservare sorpreso l'evento.
"Sssshhht!" lo zittisce Gilead. L'elfo tende le orecchie. "Sentite anche voi?"
Sotto la risacca, tra le pieghe del vento... si sente un fruscio nel grano... si sente qualcosa farfugliare...
Un brivido corre lungo la schiena degli avventurieri in ascolto. Il buio ha trasformato questo luogo dall'atmosfera calda e spensierata del giorno in un posto a dir poco lugubre.
"Andiamo!" dice deciso Gilead. "Dobbiamo raggiungere il faro il prima possibile, qui siamo troppo scoperti!"
L'elfo muove alcuni passi rapidi ma quasi subito urta qualcosa con la gamba. Si sente una specie di grugnito. Gilead balza all'indietro, mentre un piccolo essere peloso dai denti aguzzi salta fuori dal grano emettendo un urlo animalesco. La creatura si aggrappa alla gamba del ranger, affondando le sue fauci nelle carni.

mercoledì 10 agosto 2011

249 - IL MESSAGGIO

Juan si immerge nel calore del giorno, il suo sguardo si perde nella distesa di campi di grano che si estende a perdita d'occhio dinanzi a lui, intervallata solo qua e là da rocce affioranti dal terreno e alcuni alberi.
I compagni lo affiancano, uscendo assieme a lui dalla piccola costruzione rurale in cui erano sbucati, guardandosi attorno.
In lontananza si scorgono montagne lontane, tranne ad occidente, dove grazie al cielo terso si scorge all'orizzonte una scogliera, sovrastata da un faro.
Il sole al suo zenit riempie di placida tranquillità il paesaggio, una brezza isolata culla il grano a poca distanza, al ritmo della risacca del mare, in lontananza.
Hearst si lascia cadere seduto, Rune inspira profondamente, lasciando che i raggi gli scaldino la pelle. Tuttavia Gilead è inquieto.
"Elfo, cosa c'è che non va?"
Il ranger sa il fatto suo quando si tratta di spazi aperti: "E' strano... la risacca del mare giunge fin qua, ma la scogliera è molto lontana... e il vento... guardate, soffia sempre *poco più in là* rispetto a noi."
I compagni guardano perplessi Gilead, ma non possono far altro che constatare che ha ragione.
"E c'è dell'altro: non notate questo strano silenzio? Non si sentono ne rumori, né odori oltre alla brezza marina. Niente cinguettii di uccelli, frinire di cicale, squittii di roditori. Niente vita."
Nel silenzio che segue le affermazioni dell'elfo, Juan afferra Isabel per un braccio, richiamandola in disparte. La sacerdotessa è sorpresa mentre il coloviano svolge davanti a lei il brandello di pergamena trovato nel pane, rivelandone il contenuto.
*La realtà è il riflesso dell'illusione*
Isabel osserva Juan con aria interrogativa, mentre il giovane si affretta a spiegare la provenienza del messaggio dal significato criptico.
"Perché non ce ne hai parlato prima?" chiede la chierica.
"Eravamo sotto gli occhi del quadro... di Carnegie..." Juan fa una pausa.
"Perché ne parli solo con me? Dovremmo condividerlo con gli altri..."
"No... cioè, non saprei... ne ho parlato con te perché il tuo credo è la conoscenza e potevi capirci qualcosa più di me. Quanto agli altri, preferirei dirlo solo a Gimble..."
"Perché solo lo gnomo? Non capisco..."
"Non so più di chi fidarmi... Hearst non è certo affidabile..."
Isabel fa una smorfia: "Chi meglio di me potrebbe dirlo. Tuttavia se non collaboriamo rischiamo di non uscirne vivi, è il caso di mettere da parte rancori e incomprensioni. E poi capisco Hearst, ma Rune e Gilead..."
"Il fatto è che loro sono così... così..."
Rigidi!
pensa Juan. Rigidi nel giudizio su Hearst, ancora più di quanto lo sia la stessa Isabel. Hanno una visione così lontana dalla sua, una visione del mondo dove è tutto bianco o nero, il bene è bene e il male è male. Juan si morde la lingua: "Lascia perdere Isabel, hai ragione. Facciamo come dici tu."

mercoledì 20 luglio 2011

248 - FINALMENTE IL SOLE

Uno ad uno, i nostri eroi raggiungono l'apertura più alta del pozzo, così strenuamente difesa dal Diavolo delle Catene. Davanti a loro un lungo corridoio si perde nell'oscurità.
Prima di procedere, mentre Isabel dispensa freddamente cure su Hearst, Rune decide di tornare nell'alcova dove Juan aveva lasciato armi preziose sfruttando la sua residua capacità di volare. L'arco e le poche frecce recuperate dal monaco sono per Gilead una vera benedizione.
Il passaggio buio conduce gli avventurieri ad porta, che si apre tra la sorpresa e lo sconforto sulla sala del banchetto già visitata in precedenza. La tavola è imbandita, ricolma di cibo dall'aspetto invitante, ma i nostri eroi sanno già cos'aspettarsi da quelle pietanze insipide.
"I miei complimenti, davvero!"
Il solito ritratto di Carnegie che sovrasta la tavola si anima all'improvviso.
"Finalmente uno spettacolo degno di questo nome. Aaahh... mi sto davvero divertendo con voi, ma non voglio disturbarvi oltre. Vi prego, riposate e rifocillatevi, perché---"
"Bastardo figlio di puttana!!!"
il tono del Duca fa perdere completamente le staffe a Juan. "Dove ce li hai i coglioni? Giochi con noi come il gatto col topo, fai il gradasso, ci parli con aria di superiorità, perché Dio solo sa da quanto ci tieni rinchiusi senza vedere la luce del sole! Facci uscire! Affrontaci faccia a faccia, fammi vedere se hai le palle! Se non le trovi vengo io a cercartele, e giuro che te le strappo con le mie mani!"
Il volto di Carnegie s'irrigidisce per l'onta subita, colto di sorpresa dallo sfogo di Juan, incapace di controbattere. Ma lo smarrimento dura poco, e i suoi lineamenti ripropongono il consueto sorriso beffardo poco prima che il quadro torni statico: "Vuoi il sole? Ti accontenterò ragazzo, ma ricorda che il giorno non dura per sempre."

"...qualunque sortilegio stia usando, nulla di tutto ciò può essere reale, lo capisci nano?"
"Come fa a non essere reale. Le nostre ferite sono reali, il pozzo era reale, l'acqua era reale, anche questo cibo di merda è reale!"
"Il fatto che siano illusioni non significa che tu non le percepisca come reali!"
"E allora perché anche se mi convinco che sono illusioni, continuano ad esistere?!?"
"E allora perché corridoi uguali portano in luoghi diversi e corridoi diversi portano in luoghi uguali?!?"
Juan mastica svogliatamente una pagnotta, mentre in sottofondo Gimble e Grolac battibeccano sull'effettiva esistenza di ciò che stanno vivendo. Discorsi inutili.
Ad un tratto sente qualcosa sotto i denti, nascosto nella mollica. Lancia un'occhiata rapida al quadro del Duca. Non si muove. Si volta per non farsi vedere, porta la mano alla bocca... un pezzo di pergamena, le dita agili di Juan la fanno scivolare nella tasca dei pantaloni. Il coloviano si accuccia: meglio riposare ora.

Dopo alcune ore di sonno i nostri eroi si sentono ristorati. Senza alcuna alternativa, ripartono imboccando la solita porta, aspettandosi il solito corridoio che li porterà nella nuova follia di Carnegie. Questa volta però, il cunicolo s'interrompe bruscamente. C'è solo una piccola botola sul soffitto, raggiungibile con una scala a pioli appoggiata alla parete.
Gli avventurieri si scambiano occhiate interrogative, quindi Rune sale e apre.
"Cosa vedi?" chiede curioso Gimble.
"Sembra... una rimessa, una stalla... non saprei... il pavimento è di terriccio, le pareti di sasso. C'è una porta... filtra della luce..."
A quelle parole Juan si precipita sulla scala scavalcando il monaco, e fiondandosi all'uscio lo spalanca. La luce del giorno lo investe, il coloviano si crogiola nei suoi raggi.
Finalmente il sole.

lunedì 18 luglio 2011

247 - QUARTO INTERLUDIO

Per un istante fuggente, un attimo che dura un battere di ciglia, il volto di Carnegie si contrae in una smorfia di sorpresa ed ira repressa.
"Nessuno... nessuno era mai sopravvissuto alla Sala degli Uncini..."
A chiunque sarebbe sfuggita quella sfumatura sul viso del Duca, ma a lei no. Conosce tristemente bene il suo carceriere.
Questi ultimi prigionieri gli stanno dando filo da torcere come nessun altro prima. Ma non è solo questo che lo spaventa, del resto sono ancora nelle sue mani, ne può fare ciò che vuole.
Ciò che è nuovo rispetto a chi li ha preceduti è la perseveranza. Anche quando la situazione è disperata non rinunciano a lottare, contro ogni logica probabilità di riuscita.
La rassegnazione, la rassegnazione ad un destino ineluttabile è sempre stata la vera forza di Carnegie, la forza con cui ha piegato una ad una le sue vittime traendone il piacere della vittoria, della superiorità.
Ma costoro no, non si arrendono. Potrebbe chiederle di spazzarli via senza pietà, e tutto sarebbe finito. Eppure sarebbe una sconfitta bruciante per il Duca: loro, come tutti gli altri, devono anelare la morte.
Un brivido la percorre.
Non si arrendono... non si rassegnano... anelare la morte...

Cosa c'è di diverso tra lei e quei disgraziati di cui è carnefice? Che lei si è *già* arresa, che ha *già* desiderato di morire, che è *già* una vittima del Duca. Lei è la peggiore dei prigionieri, morta nell'animo senza lottare, ridotta a servire il suo carceriere. L'esempio di quegli avventurieri è davanti ai suoi occhi, a ricordarle la sua codardia, la sua miseria. Gli umani di cui non le è mai importato nulla le stanno dando la più dura lezione della sua vita.
Come ha potuto ignorare finora che non c'è via d'uscita da quest'inferno senza opporsi a Carnegie? Deve... deve agire...
Tuttavia la disperazione è dietro l'angolo. I vincoli magici che la tengono imprigionata da quando il Duca l'ha evocata non le permettono di affrontarlo. Carnegie può avere ragione di lei in un batter d'occhio con il suo scettro. Cosa può fare? Come può opporsi?
No, non può farlo apertamente... ma lentamente un'idea si fa breccia nella sua mente. Li può aiutare, ma il Duca non deve capire o sarà tutto finito.
Carnegie si volta verso di lei, sul suo viso è tornato il consueto piglio di sfida. Si sistema il pizzo con la punta delle dita.
"Mia cara, è la prima volta che superano il Pozzo, l'avevo detto che avremmo dovuto ingegnarci di più"
Il Duca raccoglie uno dei cristalli colorati all'interno del cerchio magico che la imprigiona.
"Lasciali riposare, ma poi... voglio che tu crei qualcosa di unico, di meraviglioso. Qualcosa... che desiderino essere la loro tomba..."
Lei afferra il cristallo, accingendosi a tesserne il colore. Lo farà, e li porterà all'estremo, come vuole Carnegie. Ma se davvero la loro tempra è quella che crede, allora...

venerdì 15 luglio 2011

246 - VOLO LIBERATORIO

Il corpo di Rune si fa leggero, l'aria lo sostiene. La sorte gli è stata amica.
Posso... volare!
Con rinnovata speranza il monaco si lancia verso Hearst. Il Diavolo scompare nel buio del soffitto per ricomparire pochi secondi più tardi sulla sua traiettoria, cerca di fermarlo, ma questa volta è Rune a godere di una migliore libertà di movimento. A parti invertite, evita facilmente gli attacchi del mostro e raggiunge il compagno.
Hearst afferra l'ascia con un ghigno malefico, mentre Juan si avvicina armato della spada e del corpetto appena trovati. Le catene sopra di loro risuonano, annunciando l'arrivo del loro nemico.
I tre si scambiano un'occhiata d'intesa: questa sarà la resa dei conti.

Il Diavolo precipita turbinando con una furia se possibile ancor più tremenda. E' la furia della disperazione, di chi vede pian piano venir meno le proprie possibilità di vittoria. Le sue catene, le lame e gli uncini lacerano i tre avversari che lo circondano, ma il loro tributo di sangue è il sacrificio per una vittoria ormai vicina. Hearst vibra colpi d'ascia lasciando scie di luce sanguigna, la lama affilata spezza le catene, incontra le braccia del Diavolo nella sua rotazione recidendole di netto. Rune incalza il nemico con le sue scariche di colpi, Juan balza agile di catena in catena braccandolo alle spalle, infierendo affondi mortali con la daga d'argento.
Il Diavolo circondato si agita tentando la fuga verso il soffitto, mentre il suo icore nero cola nelle profondità dell'abisso. Ma è troppo tardi. Senza alcuna pietà gli avventurieri lo finiscono, finché le catene che lo sorreggono, non più comandate dalla sua volontà, si svolgono dal suo corpo grigio lasciandolo precipitare nel pozzo che fu la sua casa. E sarà la sua tomba.

mercoledì 13 luglio 2011

245 - L'ASCIA DEL BOIA

Hearst tenta di sfuggire alle lame del Diavolo cercando di raggiungere l'apertura, ma il nemico lo bracca, impedendogli in tutti i modi di accedere all'alcova.
La foga con cui il Diavolo difende il passaggio è sospetta: che sia quella la via di fuga?
Sanguinante, il guerriero ripiega cercando di allontanarsi dal mostro e di avvicinarsi ai compagni, che salgono rapidi cercando di sfruttare i meccanismi delle catene rosse.
Ma il nemico non dà tregua, sparisce nel soffitto e ricade implacabile, tatticamente sempre in difesa dell'uscita.
Nel frattempo, dall'altra parte del pozzo, Rune risale le catene arrivando ad un'altra apertura. Il breve corridoio è inquietante, pervaso da un'atmosfera cupa. Al suo interno si staglia imponente la statua di pietra di un boia muscoloso, che impugna tra le mani un grande ascia nera da cui si spandono vapori sanguigni.
Il monaco getta uno sguardo nel pozzo dietro di lui, dove Hearst è impegnato nella sua lotta impari con il Diavolo. Quest'ascia nelle mani del guerriero potrebbe fare la differenza...
Abbandonando ogni cautela, Rune afferra l'arma, i cui vapori rossi si placano alla sua presa. Quindi si affretta al bordo del passaggio, l'abisso profondo sotto di lui gli provoca un senso di vertigine. Hearst è lontano. Anche se Rune è veloce a balzare di catena in catena, raggiungerlo richiede tempo, e di tempo non ce n'è. Il guerriero potrebbe non resistere fino al suo arrivo, o all'arrivo dei compagni.
Rune stappa la pozione trovata poco prima. Non sa a cosa serve, potrebbe essere qualunque cosa, anche un veleno. Potrebbe aiutarlo, essere inutile o addirittura mortale, ma non c'è tempo per i dubbi, deve rischiare. Se non per lui, se non per Hearst, per i suoi compagni. Con l'arma in mano, il guerriero potrebbe davvero tirarli fuori di qua.
Un odore di anice si spande dal liquido trasparente. Rune chiude gli occhi e trangugia.

lunedì 11 luglio 2011

244 - CONTRAPPESI

Mentre la battaglia tra il Diavolo e Hearst infuria, Juan termina di esplorare l'apertura in cui si è rifugiato, chiusa come le altre. Al suo interno ci sono armi - arco e frecce, una mazza pesante, una spada corta d'argento - e un'armatura di cuoio borchiato di pregevole fattura. Il coloviano si limita a prendere l'equipaggiamento utile a sé stesso, ovvero il corpetto e la spada. Meglio non appesantirsi troppo...

Scampato il pericolo immediato, Hearst realizza con apprensione che non ci sono ripari vicini da quella parte del pozzo. L'unica apertura su quel lato è quella più in alto di tutte, parecchi metri sopra la sua testa. Il senso di vertigine lo assale, assieme alla sensazione di non avere scampo. Tornare indietro lo lascerebbe in balia degli attacchi del Diavolo. Arrampicarsi anche.
Si guarda attorno: Rune e Juan sono praticamente dall'altro lato, gli altri compagni sono usciti dal loro nascondiglio e hanno cominciato ad muoversi, ma sono tutti molto lontani.
I suoi occhi si posano su una catena rossa poco distante; forse c'è ancora una speranza.
Hearst richiama l'attenzione di Rune, chiedendogli di controllare se vicino a lui ci sono catene rosse. Il compagno risponde affermativamente.
Speriamo solo che siano collegate tra loro...
Hearst urla a Rune di aggrapparvisi, il monaco esegue. Ancora una volta la fortuna arride al guerriero, una catena in lontananza e quella dinanzi a lui cominciano a risalire velocemente. Senza esitare Hearst la afferra, e nonostante la sua massa sia maggiore di quella del contrappeso, viene trasportato rapido verso la parte alta del pozzo, pochi metri sotto l'apertura tanto agognata. E' evidente che il funzionamento non dipende dai pesi aggrappati, come in una bilancia, ma da quale catena viene tirata per prima.
Il guerriero si sposta su una catena nera vicina, Rune attende che le catene rosse tornino in posizione, riportandolo all'altezza originaria.
E così mentre Hearst si sforza di raggiungere il suo riparo, il monaco si arrampica spedito grazie alla sua agilità spostandosi verso una delle aperture nella metà alta del pozzo dal suo lato. Passaggio che una volta raggiunto si rivela un vicolo cieco esattamente come i precedenti, ma come i precedenti contiene qualcosa. Sul fondo, vicino al punto dove le pareti si richiudono, c'è un piccolo piedistallo che regge un cuscino su cui è poggiata una boccetta contenente un liquido trasparente. Una pozione senza dubbio, pensa Rune prendendola con sé, ma con quale effetto?
I suoi pensieri vengono interrotti bruscamente da un forte rumore di catene e dalle urla di Hearst. Il Diavolo è tornato.

martedì 5 luglio 2011

243 - UN NEMICO IMBATTIBILE

Il ritorno del Diavolo vede ancora Juan come suo bersaglio, ma Isabel non si fa trovare impreparata. La sacerdotessa attiva la bacchetta scagliando un secondo raggio di luce incandescente sul mostro, che precipita in fiamme sul coloviano.
Juan si destreggia tra le catene tentando di allontanarsi dal nemico infuocato, ma il Diavolo non molla, lo arpiona con i suoi ganci, lo sferza con le lame aprendo profonde ferite. Il giovane coloviano è in grande difficoltà.
"Isabel! Finiscilo!" incita Gimble.
La sacerdotessa direziona la bacchetta pronta a dare il colpo di grazia al nemico, ma lo splendore della sfera di vetro sulla sua sommità si va via via affievolendo.
"E' scarica!" si dispera.
Gimble cerca di pensare lucidamente, se Juan non riesce a sfuggire sarà la sua fine, Rune e Hearst sono troppo lontani per raggiungerlo in tempo. Lo gnomo pronuncia una filastrocca di evocazione. O la va, o la spacca.
Ancora una volta un grosso ragno si materialiazza da una voluta di vapori magici, e su ordine di Gimble sputa la sua ragnatela appiccicosa verso il Diavolo. I filamenti vischiosi avvolgono il mostro, impedendone i movimenti e garantendo a Juan i preziosi secondi necessari a sfilare gli uncini dalle ferite e allontanarsi prima che il nemico si liberi. Il coloviano si affretta verso una delle alcove attorno alla metà del pozzo, mentre le catene animate che sorreggono il Diavolo lo riportano nel buio sovrastante.
Juan si lascia cadere seduto, appoggiato alla parete del passaggio, esausto e ferito, ma nel pozzo il mostro non sembra dar tregua ai compagni.
Il Diavolo si avventa su Hearst, nonostante i tentativi di quest'ultimo di allontanarsi in tutta fretta dal punto di discesa. Gli uncini del mostro gli perforano l'addome. Il guerriero urla di dolore, mentre l'avversario riavvolge le catene per avvicinarsi e finirlo con le lame.
"Non mi avrai bastardo!" urla Hearst, balzando inaspettatamente su una catena rossa e afferrando con forza le maglie che lo legano al nemico.
Hearst facendo da contrappeso sulla catena rossa, trascina con sé verso il fondo del pozzo il nemico, cadendo a tutta velocità. Facendo forza e allentando la tensione delle catene del mostro, con la mano libera estrae l'uncino che lo infilzava, poco prima che la sua corsa si fermi bruscamente prima dell'abisso. Quindi molla di colpo le catene con cui trascinava il Diavolo verso il basso, lasciando che continui la sua corsa, nella speranza che le serie metalliche che lo sostengono si spezzino sotto la spinta della propria massa in caduta.
Ma è solo una vana illusione: l'implacabile nemico scaglia un'altra delle estremità uncinate avvolte al suo braccio verso le gambe del guerriero, ordinando allo stesso tempo alle catene che lo sorreggono di risalire. Il gancio s'impiglia bucando la pelle dello stivale. Hearst si sente sollevare per i piedi, si avvinghia al suo appiglio con forza, trovandosi improvvisamente a testa in giù. E' impossibile fare resistenza in questo modo, ma un briciolo di fortuna assiste il guerriero: il cuoio dello stivale si strappa di colpo e il Diavolo perde la presa.
Hearst dondola sulla catena rossa che risale lentamente al suo livello originale, con il cuore che batte a mille. La ferita all'addome pulsa dolorosamente. Deve raggiungere una delle alcove, per una volta sente che quest'avversario è troppo anche per lui.

giovedì 30 giugno 2011

242 - CATENE ROSSE, CATENE NERE

Il Diavolo si contorce, mentre le catene scivolano per liberarlo sulla pelle divorata dal fuoco divino. Prima di subire altri attacchi che potrebbero risultargli fatali, il mostro si ritira nel buio sovrastante, lasciando i nostri eroi soli nel pozzo con la loro piccola vittoria.
Approfittando del momento di relativa tranquillità, Hearst scorge a poca distanza da lui una catena rossa. Osservandola, il guerriero nota che la catena non scende fino in fondo come tutte le altre ma risulta più corta di almeno un piano. La curiosità di capire a cosa serva è forte.
Senza pensarci su, Hearst vi si aggrappa.
Un rumore di carrucole e argani invade il pozzo, mentre il peso del guerriero trascina la catena verso il basso come se non fosse fissata al soffitto. Hearst bestemmia sonoramente, ormai convinto di precipitare nell'abisso.
Invece la catena rossa si blocca di botto una volta raggiunto il livello terminale di tutte le altre catene. Il contraccolpo strappa un grugnito ad Hearst, che tuttavia tira un sospiro di sollievo. Solamente, sconsolato, guarda verso l'alto: questa caduta lo costringerà a una nuova faticosa risalita per riguadagnare l'altezza originale...
"Hearst tutto bene?" domanda Juan, ricevendo in tutta risposta una scarica di imprecazioni irripetibili.
"Interessante..." commenta invece Gimble. "Avete notato? Quando Hearst è precipitato con la sua catena, altre due catene rosse si sono sollevate di conseguenza, come se fossero collegate con delle carrucole... come dei montacarichi... se qualcuno di noi si appendesse dall'altro lato, potremmo salire velocemente..."
La deduzione dello gnomo viene interrotta da un nuovo sferragliare. La catena che Hearst sta risalendo si muove lentamente, ritornando alla posizione originale, riportando il guerriero al punto di partenza, esattamente come le altre catene rosse ad essa collegate scendono alla loro posizione iniziale.
Hearst ride sguaiatamente soddisfatto per la sua scoperta.
Juan e Rune nel frattempo si muovono rapidi per raggiungere le arcate ancora inesplorate nella parte superiore del pozzo, dal lato opposto rispetto a quella in cui si sono rifugiati i compagni.
"Veloce! Veloce, prima che il Diavolo torni!" incita Rune. Ma le sue parole sono profetiche.
Le catene dondolano.
Nel pozzo riecheggia il rumore delle maglie metalliche, divenuto ormai il delicato suono della paura.

venerdì 24 giugno 2011

241 - LUCE INCANDESCENTE

Isabel si affretta a curare le ferite sanguinanti di Juan, ridando colore al suo volto.
"Non ce la faremo mai" afferma rassegnato Grolac, guardando l'immensità del pozzo fuori dall'arcata. Questa volta il pessimismo piagnone di Grolac non suscita reazioni rabbiose come nelle altre occasioni, ma solo silenzio. Questa volta tutti in cuor loro sanno che il nano ha dannatamente ragione.
Terminate le cure, Isabel mostra interesse per la bacchetta alla cintola del coloviano.
"L'ho trovata nell'alcova là sopra, era su una sorta di altarino. Non so a cosa serva, non ci capisco nulla..."
La chierica esamina con attenzione l'oggetto, scavando nelle nozioni apprese durante i suoi studi: "Interessante. Questa bacchetta racchiude l'incantesimo della Luce Incandescente, che incanala il potere divino in un raggio di sole!" Gli occhi di Isabel brillano di speranza. "So come attivarla! Se riuscissi a colpire il Diavolo con questa, potremmo averne ragione!"
"Allora forse non tutto è perduto. Tuttavia, finché siamo qui dentro il nemico non attacca..." constata riflessivo Gimble. "E' ovvio che non ha interesse a darci alcun vantaggio. Siamo noi quelli obbligati a muoverci..."
Rune si fa avanti: "Lo attirerò io. Vado."
"Ehi... non sei l'unico bravo a saltare tra le catene!" dice Juan, rialzandosi e mostrando un inaspettato spirito di sacrificio. "Vengo anch'io, voglio trovare un uscita da questo inferno... L'importante è che non stiamo troppo vicini, o il Diavolo ci falcerà entrambi con le sue giravolte."
Hearst affianca i compagni sul bordo del pozzo: "Io qui non ci sto. C'è troppa puzza."

Rune ferma di colpo la sua avanzata, focalizzando l'attenzione su una delle catene vicino a lui. Dondola, ma nessuno l'ha toccata. Ci siamo...
Juan e Hearst proseguono distanti, ignari di ciò che sta per accadere.
Tenendosi con la forza di un solo braccio, Rune afferra la catena e la solleva in modo da avere un certo gioco, quindi la attorciglia attorno ad una gamba assicurandosi ad essa. Le catene attorno a lui ondeggiano, preannunciando l'arrivo del mostro.
Ora devo solo aspettare...
Il Diavolo non si fa attendere, e accompagnato dal frastuono metallico di catene che si svolgono precipita ruotando e falciando l'aria con le sue lame.
Rune aspetta il momento adatto mantenendo la massima concentrazione, è questione di frazioni di secondo. Quando il mostro è sufficientemente vicino, con un'immane sforzo di braccia e addominali il monaco si eleva in acrobazia, sollevando le gambe per sferrare un calcio in rovesciata.
Il Diavolo torce la schiena all'indietro in maniera innaturale per evitare il colpo, ma non aveva previsto il vero piano di Rune. Lo slancio del calcio scaglia la catena avvolta alla gamba del monaco verso il mostro in rotazione, attorcigliandola, avvinghiandola, incastrandola con quelle delle lame e degli uncini che ricoprono il corpo del nemico.
Il Diavolo ruggisce di rabbia, intrappolato nelle sue stesse armi, mentre Rune, coinvolto nella girandola poco più in su grazie al gioco lasciato alla propria catena, si divincola rapidamente. Il mostro comanda le maglie con il pensiero, ordinando loro di svolgersi e liberarlo, ma pochi istanti di immobilità lo rendono vulnerabile.
Isabel non si fa trovare impreparata: già sulla soglia dell'arcata, recita le parole di attivazione della bacchetta puntandola verso il nemico. Un raggio di sole scaturisce dall'estremità dell'oggetto, rischiarando il pozzo. Il fuoco divino investe il Diavolo incendiandone la pelle e divorandone le carni, mentre nel baratro rieccheggiano le sue urla folli di dolore.

mercoledì 22 giugno 2011

240 - ALTALENA DI SANGUE

Juan afferra la bacchetta, la rigira tra le mani, poi la infila nella cintura. Quindi, mentre Gilead batte sconsolato i pugni contro il muro che chiude il passaggio, si affaccia sul pozzo.
"Basta elfo, qui non c'è nulla. Raggiungiamo gli altri."

Gimble e Grolac raggiungono l'alcova poco prima di Rune e Hearst. Lo gnomo e il monaco danno una mano ad Isabel quando giunge al limitare dell'apertura, il Diavolo potrebbe tornare da un momento all'altro. La sua anomala assenza sembra preludere a qualcosa di ancor più tremendo.
Il puzzo di morte oltre l'arcata è ancora più intenso rispetto al pozzo. Grolac s'inoltra nel buio del corridoio sotto lo sguardo vigile di Hearst. Il nano si china su qualcosa.
"Ehi, nano!" intima Hearst, muovendo alcuni passi nella sua direzione. "Cos'hai trovato? Non fare il furbo... bleah! Che schifo!"
Hearst si tappa il naso. Il fetore viene da un cadavere divorato dai vermi, a cui Grolac sta cercando di staccare dalle mani una piccola sacca.
"Depredare i morti ammazzati è sempre stata una delle tue specialità..." commenta Gimble avvicinandosi a sua volta. "Fammi vedere."
Grolac, dopo aver constatato che anche questo passaggio non porta da nessuna parte, torna al bordo del pozzo, vuotando il contenuto della sacca, quattro fiale con liquidi colorati.
Pozioni, due delle quali immediatamente riconosciute da Isabel: una di cura ferite leggere, l'altra di armatura magica. Le altre due invece restano un'incognita.
Ad un tratto Rune richiama i compagni: Gilead e Juan si sono mossi dal loro rifugio, e il metallo ha ricominciato a tintinnare, coprendo il ronzio delle mosche.

Gilead si affretta balzando agile di catena in catena, col sudore che cola copioso e il fiato grosso. Juan è dietro di lui.
All'improvviso il Diavolo precipita in caduta libera verso il coloviano, senza la rotazione che aveva contraddistinto le sue comparse precedenti. L'urlo dei compagni non gli dà nemmeno il tempo di reagire. Mentre il mostro cade con tutto il suo peso alle sue spalle, sente solo dei grossi ganci piantarsi nelle sue clavicole. Sono uncini all'estremità delle maglie di anelli che avvolgono le braccia del Diavolo, catene che si tendono rendendo Juan il fulcro di una mostruosa altalena.
Le catene che sostenevano il Diavolo al soffitto lo liberano magicamente, lasciandolo libero di cadere nel vuoto: le spalle di Juan diventano il suo unico appiglio.
Il coloviano sente la carne squartarsi, si aggrappa con tutte le sue forze alla sua catena gridando di dolore. Se molla la presa il mostro lo trascinerà con sé nel vuoto, se tiene duro il suo corpo verrà dilaniato dal peso e dal dondolio del nemico.
Juan resiste, anche se sa che non servirà a nulla, la camicia logora si riempie del suo sangue. L'altalena del mostro rallenta, e dopo alcuni passaggi il Diavolo si aggrappa ad una nuova catena con l'agilità di un ragno, comandandole di avvolgere il suo corpo come se fosse un serpente. Allo stesso tempo richiama a sé gli uncini che trafiggono il coloviano, sparendo poi nell'oscurità del soffitto.
Juan cerca di riprendersi un poco prima di continuare la sua fuga verso l'alcova dove si trovano i compagni, il dolore è ancora acceso. Ormai era certo che sarebbe morto, ma non è stato così.
E' evidente che il padrone di casa non ha nemmeno fretta di uccidere, anzi preferisce torturare, seviziare lentamente, godersi lo spettacolo.
Un eccesso di sicurezza potrebbe rivelarsi la loro salvezza.

venerdì 17 giugno 2011

239 - FALSE SPERANZE

"Fate in fretta! Mettetevi al sicuro nelle aperture!" urla Isabel ai compagni.
Senza esitare ognuno cerca di passare di catena in catena il più rapidamente possibile, sperando di non essere il successivo bersaglio del Diavolo.
A Gimble non manca molto, ma la stanchezza si fa sentire. Lo gnomo decide di far ricorso alla magia bardica per aiutarsi. Reggendosi ben saldo con le gambe, recita una filastrocca di evocazione puntando il dito verso l'apertura ad alcuni metri da lui. In una voluta di vapori arcani, un grosso ragno si materializza sulla soglia dell'arcata.
Grolac, poco dietro lo gnomo, s'interroga sul suo piano. Il ragno sputa un lungo filo di bava, fino alla catena a cui è appeso Gimble, fissando l'altro capo alla bordo dell'apertura e tessendo rapido la sua tela. Quando lo spessore è sufficiente - cosa che richiede non più di mezzo minuto - Gimble vi si aggrappa con gambe e braccia, usandola come un ponte di corda per giungere prima alla salvezza.
"Bella idea, gnomo!" esclama il nano. "Ma reggerà anche il mio peso?"
Prima che Gimble possa dare risposta un rumore di ferraglia scuote le catene. Il Diavolo cade verso il bardo come un fulmine, orientando verso di lui le sue lame.
Gimble si affretta disperato, è questione di centimetri, di frazioni di secondo. Il mostro precipita ridendo come un ossesso, sventagliando le estremità taglienti.
Le catene sfiorano Gimble aprendo lunghi tagli sulla sua pelle, graffiandolo, provocando fortunatamente solo ferite superficiali, ma la ragnatela viene recisa di netto tra lo gnomo e la catena nera da cui era partito.
Gimble sente il vuoto prendergli lo stomaco, si tiene stretto mentre il suo appiglio descrive un arco verso la parete del pozzo. L'istinto reagisce al posto del pensiero razionale. Usa la tela come una liana, si lascia andare, afferra una catena, gli uncini lo trafiggono, ma la presa è salda.
Lo gnomo non sa nemmeno cosa ha fatto. La catena dista qualche piede dalla parete, se si fosse schiantato...
Solleva lo sguardo, l'apertura è pochi metri sopra.

Juan e Gilead si avvicinano all'arcata oltre la metà del pozzo. Il Diavolo sta risalendo dopo aver attaccato il povero Gimble e questo dà loro un indubbio vantaggio.
I due aguzzano la vista: dal corridoio oltre l'apertura sembra provenire un bagliore dorato.
"Il sole! Il sole!" esclama speranzoso Juan. "Dev'essere l'uscita..."
Tuttavia, le loro speranze vanno in frantumi quando, approdando al corridoio, realizzano che si inoltra per alcuni metri per poi chiudersi su sé stesso.
La luce dorata proviene da un piccolo piedistallo in fondo al passaggio, su cui è posata religiosamente una sorta di bacchetta magica. Una delle estremità dell'oggetto è costituita da una sfera di vetro, dal cui interno proviene la calda luminescenza.
Gilead la ignora, scagliandosi verso la parete sul fondo, esaminando ogni fuga tra i mattoni nella speranza di trovare una porta segreta: "E' impossibile! Maledizione! Deve esserci un'uscita!"
Juan lo lascia fare, quindi, vedendo che l'elfo non trova nulla, sospira rassegnato.

giovedì 16 giugno 2011

238 - IL DIAVOLO DELLE CATENE

La figura di Carnegie sparisce così com'era comparsa, lasciando nuda la parete di mattoni sanguigni.
"Non c'è tempo da perdere, meglio affrettarci verso le uscite!" afferma Gimble.
Juan si allunga per prendere una delle catene vicine, e tirandola a sé vi si aggrappa oscillando avanti e indietro. Poi ripete l'operazione un'altra volta passando di catena in catena, imitato da Gilead. Il coloviano e l'elfo si trovano ad un'altezza superiore rispetto ai compagni, poco sopra la metà del pozzo, e la distanza che li separa da una delle arcate non è molta.
Osservando i compagni più in alto anche Gimble inizia a muoversi orizzontalmente tra le catene in direzione di una delle arcate. Grolac lo segue a breve distanza. Lo gnomo esorta gli altri compagni in posizione più svantaggiata a radunarsi nell'apertura verso cui è diretto, soprattutto Isabel. La sacerdotessa, che si trova molti metri sotto, deve inizia una faticosa risalita lungo la catena a cui è aggrappata.
Passare da una catena all'altra è faticoso, ma la distanza ridotta - aiutandosi con un po' di oscillazione - non rende l'azione particolarmente complessa. Ci sono tuttavia ampie zone di vuoto nel pozzo, baratri in cui non pende alcun appiglio, aree in cui per passare da un lato all'altro è necessario fare percorsi larghi, o acrobazie ardite.
"C'è una catena... rossa!" la voce di Hearst rimbomba tra le pareti del pozzo, coprendo il tintinnare degli anelli che oscillano. Gli avventurieri si fermano, cercando di focalizzare l'attenzione su ciò che il guerriero ha indicato.
Le catene rallentano la pendolazione, il loro suono metallico s'affievolisce.
E' vero, ci sono delle catene rosse sparse nel pozzo. Sembrano collocate a caso senza uno schema logico.
Hearst è combattuto: potrebbe spostarsi e aggrapparsi, vedere cosa accade. Cosa significano? Che senso possono avere?
"Lascia perdere Hearst, andiamo all'arcata" consiglia Rune. Ma quando termina la frase in realtà la sua attenzione si è già spostata sulle catene davanti a sé, che hanno preso a dondolare e tintinnare senza essere state sollecitate.
Gli attimi successivi non gli permettono nemmeno di prendere consapevolezza di ciò che accade. Un rumore di catene che si srotolano, come dall'argano di una saracinesca, invade il pozzo. Rune alza gli occhi, e sopra di lui un orrore avvolto come una mummia in maglie, catene, lame e uncini precipita a velocità folle dall'oscurità del soffitto. Una mostruosità che cade a testa in giù appesa come un ragno, mentre la ferraglia che si svolge dal suo corpo la fa ruotare vorticosamente, rivelandone man mano il corpo glabro e grigio, proiettando le estremità libere delle catene in un mulinello tagliente.
Le estremità affilate falciano Rune, le punte lo infilzano, gli uncini lo strattonano. Il monaco stringe i denti per sopportare il dolore, per non cedere e non mollare la presa, per non essere trascinato come il sangue delle sue ferite nella folle rotazione del mostro, per non seguirlo nella sua caduta verso l'abisso.
La discesa della creatura continua ben oltre il monaco, fino in fondo, dove si arresta bruscamente.
Un solo istante per fissare gli occhi terrorizzati di Isabel, poi la catena che la sorregge lo riporta verso il soffitto buio, come se venisse tirata dalla forza di cento uomini, dove sparisce nel buio da cui era venuta.
Il debole tintinnare delle catene immerso in un silenzio carico di terrore si rimpadronisce della Sala degli Uncini.
Dopo alcuni istanti di choc, Isabel sente i compagni gridare per accertarsi del fatto che Rune stia bene. Lei no. Le parole sono gelate dalla paura.
Lo ha riconosciuto. E' un incubo materializzatosi dai libri polverosi delle biblioteche, inciso nella sua memoria da un passato di studi per diventare Contemplatrice. Dio solo sa quali diabolici poteri ha usato il Duca, quali forze oscure ha chiamato in gioco.
E' un Diavolo delle Catene.

lunedì 13 giugno 2011

237 - LA SALA DEGLI UNCINI

La caduta è vertiginosa, spacca lo stomaco. L'oscurità è sostituita rapidamente da una luce sanguigna. Catene nere, tutt'attorno, piene di uncini. Non c'è tempo per pensare, per capire l'assurdità del luogo. I nostri eroi tentano di afferrare in volo quegli appigli penzolanti attaccati al nulla da cui arrivano.
Le mani si allungano afferrando il metallo in un tintinnare di anelli, cercando di frenare la caduta. Gli uncini scorticano le mani nei vari tentativi di fermarsi, agganciano le vesti, trafiggono le carni. Come ami arpionano gli avventurieri rallentandoli, incuneandosi sotto le pelle con dolorose punture solo per essere strappati con violenza un istante dopo dalla gravità, provocando dolorose lacerazioni.
In qualche modo Hearst e Juan sono i primi a riuscire ad arrestare la loro caduta, aggrappandosi con forza alle catene nere. Poco più in basso anche Grolac, Gilead, Rune e Gimble riescono nell'intento, mentre Isabel e il prigioniero continuano a precipitare verso un abisso senza fondo.
Le mani della sacerdotessa cercano invano la salvezza, finché un grosso gancio le infilza le vesti deviandone la traiettoria. Un secondo uncino trafigge Isabel all'anca penetrando in profondità. Il dolore è lancinante, la chierica sgrana gli occhi e urla, ma la disperazione è maggiore. Con una forza inaspettata Isabel si avvinghia alla catena saldando la presa, nonostante il movimento apra ancora di più la ferita al fianco.
Il prigioniero non è altrettanto fortunato: la sua presa non è abbastanza forte e precipita fino agli ultimi metri di catena, dove un grosso gancio terminale lo arpiona all'addome, sventrandolo fino alle costole. Le viscere del poveraccio continuano la caduta al posto suo, seguite da una rivolo di sangue.
Il tintinnare delle catene in movimento si spegne lentamente, lasciando che solo il ronzare delle mosche e i lamenti degli avventurieri interrompano un silenzio carico di morte.
A fatica ognuno dei nostri eroi cerca di capire cos'è questo nuovo orrore, questo luogo di follia senza pari, riprendendo posizione sulle catene, reggendosi con le gambe, estraendo gli uncini più dolorosi, pulendo dagli occhi il sangue che cola dalle ferite e dai graffi sulla fronte.
Un pozzo, un pozzo enorme del diametro di oltre cento piedi, in cui si diffonde un'innaturale luce cremisi, come se fosse il sangue ad illuminarlo. E catene, catene dappertutto, una vicina all'altra, a cinque o sei piedi di distanza. Piene di ganci e uncini, come quelle dei macellai, come in un mattatoio. Catene nere appese nel vuoto, nel buio da cui sono caduti, da cui pendono cadaveri consumati dalle mosche e dagli insetti, il cui tanfo di putrefazione impesta l'aria.
Isabel, aggrappata agli ultimi metri di catena estrae dolorosamente il gancio che la trafigge, lasciandosi scappare un grido di dolore che rimbomba tra le pareti di mattoni del pozzo. Deve fare attenzione, sotto di lei si estende solo un baratro di oscurità senza fine. Dal basso solleva lo sguardo per cercare i compagni sopra di lei. Sono precipitati Dio solo sa quanto. Le catene pendono dal buio del soffitto per almeno cinquanta metri. Appesi nel vuoto. Un senso di vertigine le manda in subbuglio lo stomaco.
Il suo sguardo si sposta sul prigioniero poco distante da lei, agganciato come un maiale sventrato, con la bocca aperta da cui cola bava rossa e gli occhi ribaltati all'indietro, la pancia aperta e le budella penzolanti.
Isabel vomita.
"State... state bene?"
La voce di Gimble rimbomba tra le pareti. Prima di rispondere sembra che ognuno debba vincere un proprio trauma personale. Anche Isabel si riprende lentamente dal suo orrore.
"Sì... sì!" grida con tutto il fiato che ha, mentre le lacrime le rigano le guance, cadendo incontrollate come sfogo istintivo. "Ma... il prigioniero è morto! E morto!"
"A quanto pare anche il negro che ha ammazzato Pequeño ha fatto la stessa fine!" urla Juan. A poche catene di distanza da lui, il corpo straziato dagli uncini dell'energumeno pende consumato dai parassiti. Un grosso gancio, quello che l'ha ucciso, entra sotto la mandibola per rispuntare da una cavità orbitale.
"Questa è opera di un folle! Di un folle!" urla Rune perdendo la sua proverbiale calma. Isabel piange al limite dell'isteria, Hearst impreca maledicendo il Duca. Grolac si dispera: sono condannati a morte in questo folle gioco dove l'unico vincitore è il loro carnefice.
"Forse... forse no..." esclama Gilead, ridando speranza ai compagni grazie alla sua vista elfica. "Guardate bene là, lungo le pareti... ci sono... ci sono delle aperture."
Ad un'osservazione più attenta in effetti sembra che il pozzo sia strutturato su dieci livelli e a diverse altezze si aprono alcune arcate.
"Quel figlio di puttana di Carnegie ha una mente troppo perversa per non darci una via d'uscita" interviene Gimble. "E' il suo divertimento: se non avessimo alcuna possibilità..."
Una risata a denti stretti risuona nel pozzo interrompendo la frase del bardo.
"Mio piccolo gnomo, non è così che ci si rivolge a un Duca..."
Una gigantesca raffigurazione del signore di Isla del Quitrin, alta almeno quindici metri, compare lungo la parete ricurva del pozzo, raccogliendo l'ira di Gilead: "Sei solo un bastardo e un codardo! Non c'è alcuna nobiltà in te!"
Carnegie ignora gli insulti, ghignando soddisfatto: "Questa è una delle mie sfide preferite, la Sala degli Uncini..."
"Sei dannatamente pazzo, anche solo ad immaginare un posto del genere!" sbraita Juan, fuori di sé. La disperazione lo rende spavaldo. "E comunque, come vedi, la tua trappola ad acqua, i tuoi ganci da macellaio e il tuo abisso, non sono bastati a farci fuori!"
"Oh, mio caro, ma non era questa la sfida. Sarei rimasto profondamente deluso se non foste sopravvissuti..." ribatte subdolo il Duca, con un tono da gelare il sangue nelle vene. "Presto avrete il piacere di conoscere il padrone di casa..."