giovedì 27 giugno 2013
367 - PIANO DI BATTAGLIA
"Esattamente come ci avevano confessato gli gnoll catturati" constata Aghmar. "A questo punto non credo che abbiano mentito sul resto. Quegli illusi ci minacciavano dicendo che il loro capo Gargash li avrebbe vendicati, e invece gli faremo fare la stessa fine!"
"Come fai a sapere il nome del loro capo?" chiede stranito Juan.
Aghmar ridacchia: "Quei codardi non sapevano più cosa spifferare pur di salvarsi la pelle. Ovviamente non è servito. Ora torniamo alla carovana e prepariamoci all'attacco!"
Aghmar pianta un coltello nel tavolo basso, incidendo la pergamena su cui ha poco prima disegnato uno schizzo approssimativo delle rovine di Ma'Habb. La strategia è decisa.
Il capo kinnin attaccherà frontalmente con i suoi guerrieri l'accampamento gnoll creando un diversivo, permettendo agli avventurieri di scavalcare le mura sul retro della fortezza. L'obiettivo è sfruttare il caos per colpire alle spalle e uccidere Gargash. Morto il capo sarà un gioco da ragazzi sopraffare gli umanoidi in preda al panico.
"Attaccheremo domani prima dell'alba" afferma Aghmar. Quindi si alza e raduna i nomadi in blu. Li incita alla battaglia e loro urlano per lui grida di guerra. Nell'aria l'eccitazione per la promessa del sangue è vibrante.
Cala la sera, si accendono i bracieri e le immancabili pipe. Questa notte nessuno danzerà per i guerrieri, solo il fumo dell'erba pura. Il silenzio li prepara alla battaglia, il Richiamo della Notte li tiene vigili.
Bovak, Hearst e Juan fumano in abbondanza come i kinnin: i sensi si amplificano, l'oscurità è meno buia e l'udito più fine. La stanchezza un ricordo.
Nel cuore della notte si parte per Ma'Habb.
mercoledì 19 giugno 2013
366 - SHIRIN
"Ma... se il vostro accento non mi inganna, la vostra tribù non è originaria di Kal-Mahda" chiede Gimble, ripresosi dallo stupore.
"Esattamente piccolo amico. La nostra tribù viene dal deserto di Yar-Mazar, da quelle che voi chiamate terre degli infedeli."
"E, di grazia, cosa vi porta così lontano dalle vostre terre d'origine?"
"Lo stesso motivo che porta voi. Ma'Habb. Il fato riserva davvero molte sorprese, vero? In verità non sapevamo dell'esistenza di Ma'Habb fino a pochi giorni fa, e fino a dieci minuti fa non conoscevo nemmeno il nome di quelle rovine. Noi guerrieri kinnin viaggiamo per anni nel deserto, e non fa distinzione che sia Kal-Mahda o Yar Mazar. Il deserto non possiede i confini che vogliono gli uomini. Viaggiamo sapendo che prima o poi il destino ci porterà ciò che cerchiamo. E così è avvenuto."
Gimble ascolta sospettoso. C'è qualcosa di Aghmar che lo inquieta, non fosse altro che è un individuo scaltro e attento. Ne è riprova il fatto che sembra percepire la diffidenza che ispira, tanto che per fugarla approfondisce le ragioni dell'interesse per le antiche rovine.
Aghmar spiega che i Kinnin sono sempre alla ricerca di una rara pianta del deserto che cresce in zone ricche d'acqua e ombrose, il "richiamo della notte". Se fumata o assunta in infusione, questa pianta acuisce i sensi ed è spesso usata da combattenti e sciamani. Inoltre ha la particolarità di pigmentare di blu le unghie e i denti di chi la utilizza frequentemente, e di provocare ipersensibilità alla luce.
"Abbiamo scoperto della presenza dell’erba casualmente. Una nostra avanguardia è stata assalita pochi giorni fa durante uno spostamento da una sprovveduta banda di gnoll, che pensava di aver trovato un facile bottino. I miei guerrieri non ci hanno messo molto a sopraffarli e renderli prigionieri, dal momento che mostravano una strana quanto tipica colorazione blu delle chitine."
Aghmar sorseggia un po' di tè prima di continuare.
"Li abbiamo interrogati e obbligati a dirci da dove provenivano, scoprendo dell'esistenza delle rovine. Quindi li abbiamo uccisi."
"Dunque nelle rovine di Ma'Habb cresce il richiamo della notte!" esclama Bovak.
"Esatto, il che accomuna i nostri obiettivi e ci rende alleati. Assieme potremo trovare Ma'Habb e liberarci degli gnoll che ne hanno fatto la loro dimora."
Aghmar chiama alcuni dei suoi, impartendo ordini in lingua Mazar'i. In pochi istanti viene portata al tavolo una shisha da cui si spande un lieve odore di noce moscata.
"Vi chiedo di concedermi l'onore di fumare con voi, miei nuovi amici, per suggellare la nostra alleanza" dice Aghmar porgendo il bocchino della pipa a Bovak, seduto al suo fianco. "Le mie danzatrici questa notte balleranno per voi, e la mia casa sarà la vostra casa!"
Presto il fumo riempie le narici e le menti dei nostri eroi con il suo gusto pungente. La notte diventa più chiara e brillante, le sensazioni più intense e autentiche. Tre danzatrici muovono sinuose i fianchi al ritmo di cimbali e sonagli, i veli ondeggiano come volute di fumo.
Aghmar riceve la shisha da Hearst. Lo sguardo del guerriero non si distoglie dalla danzatrice più bella.
"Ti piace vero?" sussurra il capo kinnin "Lei è la mia preferita, Shirin. In lingua Mazar'i il suo nome vuol dire 'dolce', come in verità è."
"E Aghmar? Cosa vuol dire Aghmar?" chiede Hearst, ipnotizzato dai movimenti e dai sorrisi di Shirin.
"Vuol dire 'capo', come in verità è. Il destino decide alla nascita ciò che siamo, e lo incide nelle stelle e nel nostro nome. Lei ti piace vero? I tuoi occhi parlano per te. Stanotte sarà tua, scalderà il tuo giaciglio, perché la mia ospitalità è sacra."
Shirin risponde agli sguardi continuando la sua danza, muovendo il ventre flessuoso, respirando al ritmo degli strumenti, in un crescendo di passione. Hearst sente montare in sé una pulsione irresistibile, il sangue gli ribolle nelle terga mentre le immagini di Shirin che agita il bacino nuda sopra di lui gli riempiono la mente di desiderio, di irrefrenabile tentazione.
All'improvviso Hearst afferra un coltello dal tavolo e si incide l'avambraccio. Il sangue schizza sul tavolo, Shirin lancia un gridolino facendo un piccolo balzo all'indietro per lo spavento. Gli strumenti cessano di colpo.
Il dolore amplificato dall'erba cancella ogni altro pensiero nella mente di Hearst. Aghmar e i compagni lo guardano sbigottiti mentre si tiene la ferita sanguinante.
"Non preoccupatevi, è solo un graffio. Ora vado a dormire."
lunedì 17 giugno 2013
365 - NOMADI DEL DESERTO
Sono passati due giorni dacché i nostri eroi hanno lasciato il Passo, guadagnandosi l'eterna gratitudine di Zer'i Koztan e Padre Tarek per il salvataggio dei pellegrini; anche perché i monaci avevano ben poco da offrire oltre all'eterna gratitudine.
Isabel chiede una pausa per bere. La marcia lungo la via per Ouarzazade è faticosa nonostante sia inverno, l'unico a non patirla sembra essere il cammello, che biascica indifferente con sguardo di sufficienza.
Il deserto si estende in tutte le direzioni, arido e silenzioso. Silenzioso quanto Hearst, sempre più cupo nell'umore.
Bovak ne approfitta per orientarsi: "Pare che ci siamo. Da qui possiamo abbandonare la via tracciata ed addentrarci nel deserto verso Ma'Habb. Se tutto va per il verso giusto, dovremmo raggiungerla nella mattinata di domani."
Dopo essersi rinfrancati, gli avventurieri ripartono in direzione nord-est, duna dopo duna, lasciandosi alle spalle una lunga e desolata scia di orme sulla sabbia.
Come di consueto, con l'arrivo del crepuscolo il vento sale d'intensità, spazza la dune sollevando miliardi di minuscoli granelli di sabbia, cancellando i segni del cammino compiuto, nell'eterno e costante mutare del deserto che pare immutabile.
"Dovremmo accamparci, questa sabbia sta diventando fastidiosa!" dice Gimble coprendosi gli occhi irritati. Bovak concorda, quindi sale in cima alla duna più vicina per cercare un posto più riparato. Dall'alto della sua posizione il nano scruta l'orizzonte, notando con sua sorpresa a poche centinaia di metri, vicino a due piccole montagnole, tende e fuochi di un accampamento.
Forse questa notte non dormiranno all'addiaccio, ma dovranno accettare il rischio di avvicinare la carovana.
Bovak e Rune sono i primi a farsi avanti allo scoperto, subito intercettati da due uomini vestiti di drappi blu e azzurri che lasciano intravedere solo gli occhi. Uno dei due li illumina con una fiaccola, mentre l'altro sposta la mano sulla sciabola portata alla cintura.
"Fermi!" chiedono con un'inequivocabile accento Mazar'i.
Il nano e il monaco mostrano le mani alzate: "Siamo viandanti, cerchiamo riparo!" urlano per superare il vento. "Siamo noi e altri quattro, e vi chiediamo ospitalità per la notte al riparo dalle sabbie!"
Nessuna risposta, solo un cenno. L'uomo della sciabola si volta e sparisce dietro le tende dell'accampamento.
Fa ritorno dopo alcuni minuti: "Il nostro capo vi invita ad unirvi a noi. Andate a prendere i vostri compagni."
Per un attimo i suoi occhi si posano sospettosi su Batuffolo.
"La pantera è innocua" si affretta a precisare Bovak.
"Lo spero per te, mio signore" ribatte Aghmar. "Ma vi prego, venite alla mia tavola. Non restiamo oltre alla mercé del vento e della sabbia."
Aghmar conduce gli ospiti all'interno del campo, invitandoli ad accomodarsi ad un tavolo basso contornato da comodi cuscini. Le tende erette alle loro spalle sbattono riparandoli dal vento.
Una donna velata si affretta a portare il tè, che versa da una magnifica ed imponente teiera d'argento, e pane azzimo e carne di montone per gli ospiti, e poi ancora datteri deliziosi.
Gli avventurieri ringraziano garbatamente, imbarazzati da tanta cordialità e dal silenzio di Aghmar, che siede con loro senza dire nulla, limitandosi a sorseggiare l'infuso. Imbarazzo che genera allo stesso tempo diffidenza, e spinge i nostri a non saper dove posare lo sguardo, facendo sì che i loro occhi guizzino tutt'attorno, raccogliendo fugaci dettagli sul campo: una quarantina di guerrieri dai drappi blu, una decina di donne indaffarate nelle faccende domestiche, gli uomini in piccoli gruppi al riparo delle tende, le collinette, il balenare delle fiaccole, il fumo delle shisha, qualche battito sui tamburi.
Le unghie blu di Aghmar mentre solleva il bicchiere.
"Spero sia tutto di vostro gradimento" chiede finalmente il capo Kinnin, raccogliendo dai suoi ospiti cenni di assenso. "Chi di voi è il capo?"
La domanda spiazza tutti per un attimo. Juan precede tutti indicando Bovak: "E' il nano!" poi aggiunge sussurrando. "Del resto sei tu a pagare questa missione..."
Bovak fa buon viso a cattivo gioco e annuisce sorridendo.
"Bene mio signore, e cosa vi porta nel deserto di Kal Mahda?"
"Beh..." attacca Bovak impacciato "come avrete notato non siamo proprio proprio viandanti, ma avventurieri... ecco e stiamo cercando delle rovine antiche, un posto un tempo chiamato Ma'Habb, per uno studioso e--"
"Cazzo!" Hearst scatta in piedi allarmato. "Si è mossa! La collina si è mossa!"
"Hearst, sta tranquillo!" dice Gimble, temendo che questo suo scatto del guerriero possa causare problemi coi Kinnin. "Ti sarai sbagliato, il vento, le tende, i riflessi delle fiaccole..."
Aghmar ride divertito.
"Non sono pazzo! Si è mossa ti dico! E tu che cazzo hai da ridere!"
"Hearst!" lo rimprovera Gimble, vistosamente preoccupato.
Aghmar non smette di ridere, finché con un cenno chiama uno dei suoi: "Nebruk! Nebruk! Illumina le *colline*!"
Il kinnin annuisce e lo fa con un incantesimo di luce. La sorpresa lascia gli avventurieri a bocca aperta.
Le colline sono in realtà due sauri colossali, grandi più di elefanti.
lunedì 10 giugno 2013
364 - LUCERTOLE E RATTI
I lucertoloni tuttavia non sono avversari facili. Rune cerca di tenerli a bada, ma sono troppi per lui da solo. Al primo errore una delle bestie fionda su di lui per azzannarlo, quando un'ombra nera assale il sauride gettandolo a terra.
Il provvidenziale intervento di Batuffolo precede di pochi secondi un fenomeno disgustoso quanto efficace. All'improvviso dai bordi della spianata, dal terreno, da sotto i corpi dei pellegrini caduti affluiscono una moltitudine di topi. Bovak, all'imbocco del sentiero, intona una nenia che pare attirarli, con lo sguardo fisso nel vuoto e una strana luce azzurra in fondo agli occhi.
I roditori squittiscono indemoniati, si raggruppano attorno ai dracodi mordendoli. Le grandi lucertole sono come impazzite, gettano acido sui ratti sortendo di ucciderne una quantità irrisoria. Incapaci di ignorare la miriade di bersagli trascurano Rune e il cavaliere, che supportati dall'arrivo dello spadone di Hearst possono facilmente aver ragione delle bestie.
Con la morte dell'ultimo dracode anche i topi svaniscono nel nulla. Bovak si rilassa, richiama a sé Batuffolo.
"Un'evocazione druidica!" commenta Gimble. "Una mossa davvero azzeccata, Bovak!"
Juan rispunta da dietro lo gnomo, con un'espressione di disgusto dipinta sul volto: "Topi! Bleah! Topi! Mi viene da vomitare! Sporchi, sudici, non farlo più ti prego, passi la pantera ma i topi proprio no!"
"Grazie, ci avete salvato la vita. Senza il vostro intervento nessuno di noi ce l'avrebbe fatta."
Il cavaliere del Drago, un giovane di nome Adil, siede a terra con la schiena poggiata all'altare di Felm, l'elmo posato a fianco intriso del sangue che gli si sta seccando tra i capelli. Esausto, lascia che Isabel curi le sue ferite. Oltre a lui sono sopravvissuti solo la guida Fayumm e altri tre pellegrini, su quindici che erano partiti. E' stata una strage.
"Non ce lo aspettavamo" dice la guida. "Non ho mai visto i dracodi arrivare al monte Zaghra, le loro tane sono parecchio a nord-ovest di qui."
"Come te lo spieghi?" chiede Rune.
"Non lo so. Forse sono stati scacciati dal loro territorio da altre creature, forse si sono spinti fin qua in cerca di cibo, che per qualche ragione scarseggia nella loro area. Difficile dirlo."
"Credo sia meglio affrettarci a tornare al passo" suggerisce Bovak. "Non sapremo mai che cosa ha spinto queste bestie ad arrivare qua, e l'odore della morte potrebbe attirare altri predatori."
Tutti annuiscono concordando con il nano, tranne Hearst e Juan, che a dispetto di tutto e tutti sono impegnati a scuoiare uno dei dracodi morti.
"Che state combinando? Muoviamoci!" li esorta Rune.
Juan risponde senza distogliere la concentrazione sul suo minuzioso lavoro: "Qualche minuto in più non farà la differenza. Guarda che pelle! Hearst ed io sì che avremo stivali alla moda!"
mercoledì 5 giugno 2013
363 - PELLEGRINI IN PERICOLO
Non ci vuole molto a capire cosa sta accadendo: i due custodi del monastero, Zer'i Koztan e Padre Tarek raccontano preoccupati che il gruppo di pellegrini salito questa notte all'Altare di Felm non ha fatto ritorno. Erano guidati da una guida esperta, Fayumm, e da un cavaliere dell'Ordine del Drago, uno dei pochi rimasti al passo, dato che la maggior parte è stata richiamata a Bakaresh in occasione del Capodanno. Il timore è che sia accaduto qualcosa di brutto e per questo cercano aiuto.
"Andremo noi, sappiamo combattere!" afferma Rune, prodigo nell'offrirsi.
"Siano benedetti il Signore e il Santo Drago, che ci mandano pronti il loro sostegno!" esclama a mani alte Zer'i Koztan.
"Siano benedetti il Signore e il Santo Pellegrino, le cui vie sono infinite!" rincara con gli occhi al cielo Padre Tarek.
"Sarà benedetto il giorno in cui ti farai gli affari tuoi!" sibila Juan a Rune. "Abbiamo già una missione!"
"Ci sono delle persone in pericolo Juan, non possiamo far finta di nulla! Qui non si parla di raggranellare monete!" interviene Isabel a supporto del monaco.
Hearst, Gimble e Bovak annuiscono, sarà una breve deviazione, per aiutare la Chiesa peraltro.
"Accidenti a voi! Beh, non siamo gli unici avventurieri qua, dove sono i due cacciatori? Anche loro sanno combattere, ci daranno una mano!" Juan cerca gli avventori conosciuti la sera prima mettendosi in punta di piedi e scrutando le persone attorno a lui.
"Intendi il mezzorco e il mezzelfo?" chiede l'oste Isam. "Se ne sono andati prima del sorgere del sole."
"Accidenti..."
La risalita del monte Zaghra, rapida in partenza, si fa via via più faticosa con l'avvicendarsi delle ore più calde del mattino, spiegando da sé la ragione per cui i pellegrini salgono di notte nonostante l'impervio sentiero roccioso.
I più sofferenti a causa delle armature metalliche sono Hearst, che mugugna infastidito, seguito da un'altrettanto affaticata Isabel, paonazza in viso e madida di sudore. La chierica sta per chiedere una pausa, quando si odono delle grida echeggiare tra le rocce aride.
"Avete sentito?" dice Rune. "Venivano dalla cima! Corriamo!"
Gli avventurieri si precipitano lungo il percorso, attenti a non inciampare: cadere su queste rocce potrebbe significare volare in un crepaccio. Il monaco e Juan, leggeri e agili, distanziano i compagni, Isabel annaspa perdendo terreno.
Il primo ad arrivare è Rune, seguito a ruota da Juan. Lo spettacolo che si presenta loro davanti è terribile. Nella minuscola spianata che costituisce la cima del monte alcuni piccoli draghi pasteggiano con metà dei pellegrini ammazzati. All'estremo opposto rispetto al punto di arrivo del sentiero, dove l'Altare di Felm si erge dinanzi ad uno sperone roccioso alto venti piedi, il cavaliere dell'ordine che li scortava cerca di proteggere i sopravvissuti dall'incalzare di altre bestie tenendo eroicamente la posizione, stremato, l'armatura perforata dagli artigli d'acciaio, la casacca bianco e oro rossa del suo sangue.
Juan non esita nemmeno un secondo davanti a tale eroismo e se la dà a gambe levate.
Rune cerca di fermarlo: "Aspetta Juan, guardali bene! Sono adulti! Non sono cuccioli di drago, ma dracodi, una razza di lucertoloni...", ma le sue sono parole al vento, dovrà fare da solo.
Il monaco stringe i pugni e si getta nella mischia.
giovedì 30 maggio 2013
362 - I CACCIATORI DI MOSTRI
Solo quando Hearst si congeda in modo burbero, l'atmosfera pare sollevarsi un po'.
"Che cos'ha il vostro amico?" chiede un po' a sorpresa il mezzorco. "Era un pezzo che non vedevo una piva del genere, spero non sia a causa nostra..."
"Non credo" risponde Gimble. "Non sappiamo nemmeno noi perché è così di malumore..."
"Gli capita spesso di essere così poco... socievole?"
"Mah, no... di solito lo è fin troppo..."
"Pssst" Juan richiama l'attenzione di Gimble, quindi gli bisbiglia nell'orecchio. "Non credo sia il caso di attaccare bottone, non ti sembrano un po'... strani?"
"Suvvia Juan, che vuoi che ci sia di male a far quattro chiacchiere! Non essere paranoico, ormai vedi gente strana dappertutto!" ribatte lo gnomo indicando Bovak con un cenno del capo.
Juan scuote la testa, dentro di sé sa di aver ragione. Ultimamente incontrano un sacco di gente strana.
I due si chiamano Alvys (il mezzelfo) e Mustafà (il mezzorco), e dopo i convenevoli di rito, si presentano come esploratori e cacciatori di mostri.
Alvys si sfrega le mani mentre spiega che al momento stanno lavorando per conto di Ekelorn, il quale li paga profumatamente per catturare dei sauridi del deserto da impiegare negli spettacoli dell'Arena di Bakaresh.
Un lavoro remunerativo, continua Mustafà, che potrebbe esserlo ancora di più se potessero contare su un aiuto supplementare.
"Siete avventurieri, noi sappiamo come cacciare e voi potreste darci una mano. In due è complicato, ma con il vostro aiuto potremmo prendere un bel po' di bestie e guadagnare un gruzzolo ragguardevole. Potremmo corrispondervi quattrocento monete per ogni esemplare vivo, duecento per quelli morti."
"Ekelorn vi paga anche per le bestie morte?" chiede ironico Gimble. "Ma lo scopo non era di ammazzarle nell'Arena?"
Alvys scuote le spalle, risponde senza l'ombra di un sorriso: "Non ci importa cosa se ne fa dei sauridi morti, ci importa che paghi."
Gimble è allettato dall'offerta, i due aggiungono che si tratta di raggiungere le rovine di un villaggio abbandonato sulle montagne in direzione nord-est, a mezza giornata di cammino, un'ottima zona di caccia.
Tuttavia, pensandoci meglio e discutendone coi compagni, alla fine decide di rifiutare. Pur trattandosi di una breve deviazione significherebbe allungare i tempi per il ritorno a Bakaresh, da cui nessuno pare voglia star lontano troppo a lungo dopo i ritrovamenti nella torre di Nezabal. Rabiaa potrebbe scoprire qualcosa di utile da un momento all'altro.
"Come volete" commenta impassibile Alvys. "Ci arrangeremo da soli o troveremo altri gregari."
sabato 25 maggio 2013
361 - IL PASSO DI SARIR
Avvicinandosi alla locanda tuttavia lo sguardo viene rapito dalla meraviglia che si scopre man mano che le pareti rocciose lasciano intravedere il passo nella sua interezza.
Con un'architettura dal sapore mistico che sembra avvolgere tutto il passo, un magnifico santuario incastonato nella roccia arida si erge davanti agli occhi dei nostri eroi. A poca distanza sorge un piccolo monastero a ridosso delle pareti scoscese della montagna, circondato da alte mura che lo rendono simile ad un fortino, ma che in questo contesto non fanno che aumentare il senso di pace e preghiera che caratterizza il luogo. Persino la confusione della locanda sembra ridimensionata, attutita, avvolta da questa atmosfera di raccoglimento.
"Il passo di Sarir è un luogo di importanza storica per Kal Mahda" spiega Bovak, ripetendo quel che ha imparato da Octalius durante la sua permanenza presso la bottega del cartografo. "Si dice che qui Arash Naxxar, durante la campagna di liberazione di Kal Mahda dal dominio di Yar-Mazar, tenne testa alle truppe degli infedeli resistendo per cinque giorni con i suoi pochi e mal equipaggiati uomini, i guerrieri Ashfar, aprendo un varco alle truppe imperiali verso la riconquista di Bakaresh."
Un'improvvisa ventata fredda segna l'arrivo del crepuscolo, le lanterne del monastero ondeggiano metalliche.
"Ma adesso muoviamoci, o dovremo dormire nella stalla. Anticipatemi in taverna, io vado a sistemare Batuffolo lontano dalla civiltà, non vorrei trovarmi troppe reazioni come quella di Juan..."
"Sì, sì... fai lo spiritoso!" ribatte stizzito il coloviano. "Guarda che andare in giro con una pantera non è normale, ecco! Già consideravo strano quello di prima con il corvo..."
La taverna è gestita da un uomo baffuto di nome Isam, tanto melenso con i clienti quanto perentorio negli ordini impartiti alla figlia dodicenne incaricata di servire ai tavoli. L'altro figlio del locandiere, Saleh, un ragazzone un po' tardo, si occupa invece della stalla e delle bestie.
La sala del ristoro è molto pittoresca, fatta di tavoli bassi e spazi arredati con grandi cuscini, piena del fumo aromatico delle shisha dei molti mercanti e pellegrini che affollano la locanda. Isam sistema gli avventurieri ad uno dei pochi tavoli liberi, dove già siedono due estranei. Hearst mugugna infastidito, a nessuno dei compagni passa inosservato l'insolito malumore del guerriero, particolarmente taciturno e chiuso nei suoi pensieri. Per alcune monete d'argento prendono delle stanze, quindi aspettano Bovak per ordinare la cena.
Nell'attesa Isam, su esplicita richiesta di Isabel e Rune, spiega che il tempio incastonato nella roccia è un Santuario di Mujon di origini antichissime. Nessuno sa quando fu costruito, ma di certo ha rappresentato uno dei punti cardine della fede prima della costruzione del Tempio del Drago d’Oro di Bakaresh negli anni successivi alla cacciata degli infedeli di Yar-Mazar.
"Il santuario del passo fu una delle mete del leggendario pellegrinaggio del Santo Felm, che si fermò in questi luoghi ospite dei sacerdoti del Drago Martire per trovare ristoro dopo aver attraversato il deserto. Mentre era qui, Felm salì sulla sommità del monte Zaghra di notte, dove si dice meditò fino all'alba perché Dio gli concedesse chiarezza sulla successiva meta del suo viaggio."
"Infatti" continua Isam mostrando esperienza di cicerone "sul monte Zaghra si trova uno dei dodici altari di Felm che costituiscono la Strada del Pellegrino, ora divenuto meta dei molti fedeli che la percorrono ed onorano il Santo aspettando sulla vetta il sorgere del sole. Per la risalita ci vogliono un paio d'ore, ed il sentiero parte proprio da qua, dal passo."
"Immagino quindi che il monastero ospiti i sacerdoti dei due culti" deduce Isabel.
"Esatto. Una piccola rappresentanza dedita alla preghiera. I sacerdoti di Mujon sono guidati da Zer’i Koztan, un mezzelfo di origini Ashfar, mentre quelli di Felm dal Padre Pellegrino Tarek."
Il ritorno di Bovak coincide con l'arrivo di alcuni antipasti, mentre Isam propone il piatto principale per la cena, congedandosi quindi dagli avventurieri.
giovedì 16 maggio 2013
360 - BOVAK GIMRON
I genitori di Bovak appartenevano ad una stimata famiglia di gioiellieri del Regno dei Nani, i Gimron. Vivevano nel complesso di Khalad-Dûl, un importante agglomerato nella parte occidentale della catena dell’Ulgoland.
La famiglia di Bovak era famosa per essere particolarmente aperta e intraprendente rispetto alla tipica chiusura della propria razza, tanto da aver sviluppato una fitta rete commerciale anche al di fuori dei confini di Khalad-Dûl e dell’Ulgoland.
L’intraprendenza dei Gimron aveva loro permesso di cogliere certe opportunità di guadagno impossibili per altri commercianti nanici, garantendo alla famiglia una discreto patrimonio, un buon tenore di vita e una certa distinzione sociale. La stima che i Gimron si erano guadagnati tra i nani di Khalad-Dûl aveva fatto in modo che il loro stemma fosse riconosciuto come simbolo di qualità.
Purtroppo fu la loro stessa intraprendenza a cacciarli in grossi guai. Settant'anni or sono, quando Bovak era solo un ragazzino, la sua famiglia venne a sapere della recente colonizzazione da parte dell’Impero di un nuovo arcipelago di isole nelle lontani mari del sud. Nuove terre che dovevano ancora essere esplorate, che promettevano immense ricchezze, con giacimenti ancora intatti di metalli e pietre preziose. La storica avversità dei nani per gli ambienti marittimi e tropicali offriva loro l’opportunità di guadagni senza precedenti e senza concorrenza.
I Gimron decisero quindi di imbarcarsi nel viaggio verso quelle terre lontane, navigando lungo le coste occidentali del continente, dal Middlecoast, ad Aardelven, ad Astaril.
Il viaggio fu tutt’altro che breve, e men che meno semplice, e la famiglia di nani dovette cambiare diverse volte la nave per cercare di arrivare a destinazione. Purtroppo l'epilogo fu il peggiore possibile. Il mercantile su cui viaggiava la famiglia Gimron venne assaltato nel Mar delle Colovie dai feroci pirati de la Tortue. Oltre a saccheggiare ciò che di valore veniva trasportato, i pirati fecero prigionieri quelli che non massacrarono per farli lavorare come schiavi. Bovak era ancora molto giovane, e non era nemmeno robusto per essere un nano, ma i pirati non gli fecero sconti: o lavorava, o veniva passato a fil di lama.
Tutti i prigionieri furono portati su un’isola sconosciuta e tenuti per mesi in gabbia, nutriti quel tanto che bastava per non farli morire di fame, sopportando turni di lavoro massacranti. Poi una parte di loro venne portata via, e Bovak era tra quelli. Condotto su un'isola diversa e identica allo stesso tempo, si ritrovò all'improvviso e per la prima volta solo, senza la sua famiglia.
Il nuovo covo era vicino alla costa, poco distante dall’estuario di un fiume dalle acque torbide e da un’estesa e lussureggiante foresta, che s’arrampicava in lontananza lungo le pendici di una montagna che svettava la centro dell’isola.
Bovak viveva rinchiuso in una sorta di prigione naturale senza finestre ricavata in una grotta, le cui uniche aperture erano la robusta porta in legno rinforzato con un piccolo sportello - utilizzato per passargli il rancio giornaliero, una pagnotta rinsecchita e una brocca d’acqua - e una piccola apertura posta al centro del soffitto a circa quattro metri di altezza, che forniva un minimo ricambio d’aria a quella cella angusta. Quando veniva costretto a uscire dalla sua prigione, doveva lavorare duro, controllato a vista e frustato ad ogni esitazione. Passarono cosi le settimane, i mesi, gli anni.
Bovak non sapeva quanto tempo era passato da che era lì quando arrivò la stagione delle piogge, la più piovosa che egli ricordasse. Dopo settimane di pioggia intensa, una mattina il fiume esondò, allagando tutto il covo, inclusa la sua cella. La furia delle acque distrusse le palafitte in legno, le baracche, portando con sé uomini e animali, ma non la piccola prigione del nano, scavata nella roccia, inamovibile per il fiume.
L’acqua che saliva avrebbe significato morte certa per un nano qualsiasi, ma non per lui; per lui era la salvezza. Dopo anni sulle navi e tra le isole, Bovak era diventato un abile nuotatore, e il livello dell’acqua gli permise di raggiungere il condotto di aereazione sul soffitto. Grazie alla sua corporatura esile – di costituzione e per gli stenti - riuscì a sfruttarlo come via di fuga. Bovak scappò via, verso l’interno dell’isola, attraversando sotto la pioggia battente l’area dell’estuario ormai ridotta a palude. Era libero, ma non aveva la più pallida idea di dove fosse. L'istinto lo spinse a seguire il corso del fiume verso monte, lontano dai suoi carcerieri. Camminò per giorni nella foresta, esausto e affamato.
I suoi movimenti lungo il grande fiume non passarono inosservati al popolo nativo che viveva lungo le sue rive, e una notte Bovak si ritrovò accerchiato da numerosi indigeni dalla pelle scura e dall’aspetto minaccioso. Il giovane nano era terrorizzato, in balia di quei selvaggi che parlavano una lingua sconosciuta. Tuttavia, non era destino che Bovak diventasse la loro cena. Anzi, una volta certi che il nano non costituiva un pericolo, lo soccorsero e lo portarono al loro villaggio.
"Fu un vero colpo di fortuna, ancora una volta l'acqua mi aveva salvato. I nativi mi curarono e feci presto amicizia con il figlio del capotribù che mi aveva preso in simpatia. Nessuno di noi capiva un accidente della lingua dell'altro, ma fu un modo per imparare vicendevolmente. Diventammo inseparabili, anche quando alla morte del padre divenne capotribù, io e Wakaru..."
La compagnia si ferma di colpo, sbigottita. Gimble scuote la testa: "Non ci posso credere... il mondo è veramente piccolo! A quanto pare Octalius e Saabi Abbar non sono gli unici amici comuni che abbiamo!"
Bovak è altrettanto sorpreso di come gli avventurieri siano entrati in contatto con il Popolo del Fiume. Gimble riassume brevemente le loro imprese sull'isola di Alznar, senza tuttavia entrare nei particolari più del dovuto.
"Sorprendente" ammette Bovak. "Davvero sorprendente! Sono parecchi anni che non vedo Wakaru, sono felice di sapere che gode ancora di buona salute nonostante l'età. Per gli umani il tempo passa così veloce..."
Il crepuscolo porta con sé un vento freddo, la roccia rossa perde presto il suo calore all'imbrunire.
Bovak resta in silenzio, mentre la mente si riempie di ricordi e un briciolo di nostalgia: "Devo molto a Wakaru. Mi ha insegnato a capire e rispettare la natura, ha condiviso con me i suoi segreti."
Il passo di Sarir è ormai a poche decine di metri. E' tempo di pensare alla notte, e mettere da parte il passato.
sabato 11 maggio 2013
359 - BATUFFOLO
"Nu nu nu nu! Tu sei peggio di brigante! Con questo prezzo tu nuu mio amico!" protesta gesticolando l'uomo. La sua parlata mantiene un accento Yar'i talmente marcato da risultare difettosa.
"E' quello che chiedi tu che è un prezzo da strozzino! Ti chiedo il nolo dei cammelli per qualche giorno e pretendi il loro valore!"
"Nu nu nu nu! Nuu il loro valore, una cauzione, una cauzione! Come dico io è grande affare per te e per me!"
Il tira e molla prosegue a lungo. Il cammelliere è un osso duro, mercante d'esperienza e per Juan non è facile spuntare un buon prezzo. Anzi.
Finalmente il coloviano, esausto, torna dai compagni: "Ce l'ho fatta! Tre monete al giorno per cammello, con una cauzione di settantasei monete..."
Gimble lo guarda perplesso, ma trattiene ogni commento per evitare che Juan riparta con la contrattazione. Una rapina. A conti fatti pagheranno come a comprarli i cammelli, ma meglio lasciar correre piuttosto che doversi sorbire un'altra interminabile controtrattativa. Dall'analogo silenzio del resto del gruppo, sembra che tutti condividano l'idea che sia meglio farsi fregare dal cammelliere Yar'i.
Prima di raggiungere Bovak fuori città gli avventurieri si fermano da Rabiaa per riscuotere parte dei loro compensi in equipaggiamento magico. La scelta di utilità ricade su una borsa conservante, una speciale sacca in grado di contenere al suo interno molto più di quanto materialmente possibile in termini di peso e volume, pur pesando sempre allo stesso modo.
Usciti finalmente dalla caotica Bakaresh e imboccata la strada che si dirige a nord verso le montagne, i nostri eroi si dirigono verso il luogo dell'appuntamento con il bizzarro amico di Octalius, dove la carreggiata svolta dietro un costone di roccia rossastra.
Bovak li attende proprio sulla curva, col cappello in testa e il legnetto in bocca. Proprio mentre si avvicinano dietro di lui sbuca la sagoma nera di una grossa pantera. Alla vista dell'animale i cammelli si agitano spaventati, con Juan che fa di tutto per tenerli, Hearst si lascia scappare un'imprecazione mentre porta la mano allo spadone, Rune che urla al nano di scappare, Isabel e Gimble che si preparano al peggio.
Pacifico Bovak sorride: "Tranquilli, tranquilli, non c'è pericolo! Questo è il mio amico Batuffolo, è innocuo!"
"Eccheccazzo, una pantera nera!... *Batuffolo*?!?" urla Juan, per niente tranquillo, sempre alle prese coi cammelli imbizzarriti.
Bovak si avvicina, riuscendo con pochi gesti e qualche pacca a calmare le povere bestie, compito che invece non gli riesce nei confronti del coloviano.
"Ti giuro che è un cucciolone, non ti farà niente!"
"Non se ne parla! Io non ci vengo in giro con uno che ha un gatto gigante mangiauomini, nossignore!"
"Ma guarda, è docile, ti viene vicino, accarezzalo..."
"Tienilo lontano! No! Diamine ha la bocca piena di SANGUE!"
"Per forza, ha appena divorato una pecora che ho comperato al suk... deve pur mangiare..."
"Tu sei strano, io l'ho detto fin da subito! Tu sei strano!"
"Juan calmati!" interviene Gimble. "E tu Bovak, per il momento tieni Batuffolo a debita distanza. Credo che tu ci debba dire qualcosa in più sul tuo conto, per evitare altre sorprese, non credi?"
"Oh! Ma certo! Però intanto incamminiamoci in modo da arrivare al passo di Sarir per sera, vi racconterò di me strada facendo..."
martedì 30 aprile 2013
358 - DI OASI E DESERTI
"Kamal, mi serve il nome di un buon armaiolo, anzi, del migliore" chiede Hearst con la bocca piena, spazzolando l'abbondante colazione a base di focacce manaqish al timo e gustoso labne, un formaggio fresco di capra servito con olio e menta.
"Tutti dicono che il migliore è Mikiel. E' un ashfar, e la sua bottega è nella Torre del Drago" risponde sbrigativo il ragazzino, sputazzando pezzi di cibo attraverso le palette mancanti, senza fermarsi dall'arraffare il più possibile dalla colazione offerta dagli avventurieri.
"Più tardi, Hearst" interviene Gimble. "Prima andiamo a sentire cosa desiderano alla Corporazione dei Mercanti."
Sutta accoglie gli avventurieri nell'atrio luminoso, salutandoli in maniera rituale com'è abitudine a Kal Mahda.
"Seguitemi, venite, accomodiamoci. Declan si scusa, ma si è dovuto assentare per un affare importante."
Il tesoriere fa servire del tè prima di attaccare: "Sono felice che siate venuti, un membro della Corporazione ha un compito urgente da affidare, ed io ho subito pensato a voi!"
"Di cosa si tratta?" chiede Juan sperando che Sutta arrivi al dunque.
"In realtà non ho ben capito di preciso" risponde un po' imbarazzato il tesoriere, "ma credo si tratti di una sorta di ricerca. Ad ogni modo, la richiesta viene dal cartografo Octalius, che sarà ben felice di darvi tutti i ragguagli del caso e discutere con voi la paga. Ah, lo conoscete già? Ottimo, vi prego di raggiungerlo nella sua bottega."
"Te l'avevo detto che avresti fatto affari con quell'armaiolo" afferma il ragazzino, come a voler giustificare che le frittelle siano il giusto compenso per i suoi consigli.
In effetti Hearst ha ottenuto ciò che cercava: un arco lungo composito su misura, in grado di sfruttare appieno la sua forza, in cambio di un suo vecchio giaco di maglia e di trecentocinquanta monete. Una bella somma, ma ben spesa per l'arma da tiro che sarà pronta tra una settimana.
Dopo aver ripetutamente sollecitato il guerriero a muoversi, gli avventurieri raggiungono finalmente la bottega di Octalius.
Nel piccolo locale ombroso il cartografo li accoglie di buon grado, facendoli accomodare su grandi cuscini attorno ad un tavolino. E' allora che si accorgono di non essere gli unici ospiti.
"Sono onorato di presentarvi Bovak Gimron" dice cerimonioso Octalius "con cui tutti condividiamo un amico in comune, l'illuminato Saadi Abbar di Naama Sul."
Il nano seduto all'estremità del tavolino si alza in piedi, accennando un breve inchino in segno di saluto. L'aspetto di Bovak risulta immediatamente curioso. Più esile e basso persino per i canoni della sua razza, scuro di carnagione, con i capelli raccolti a coda di cavallo e la barba lunga fino all'ombelico, veste una tunica in pelle di colore azzurro sbiadito, che pur essendo di ottima fattura deve averne passate parecchie. Appoggiato a terra c'è un cappello di paglia a tesa larga, e tra i denti tiene un legnetto cavo, che fa spesso rotolare da un lato all'altro della bocca.
Octalius presenta brevemente gli avventurieri al suo ospite, quindi attacca a parlare eccitato della ragione per cui ha chiesto aiuto alla Corporazione.
"E' una scoperta sensazionale, il frutto degli studi di questi anni! E il destino vuole che Bovak sia giunti qui proprio ora, da non credere che le nostre ricerche possano convergere! E' sorprendente come il fato intrecci le sue trame..."
"Perdonaci Octalius, ma non ci stiamo capendo un granché..." fa notare Gimble.
"Oh, sì... scusate! Partiamo dall'inizio..."
Il cartografo srotola una mappa di Kal-Mahda sul tavolino, mostrando un punto imprecisato nel deserto ad est di Ouarzazade.
"Più o meno in quest'area ci sono delle antiche rovine abbandonate. Un antico avamposto senza importanza a detta di molti, rifugio di banditi e tribù umanoidi, per questo ignorato ed evitato. Tuttavia..."
Octalius estrae alcuni papiri consumati con scritte indecifrabili: "Guardate queste meraviglie! Sono preziosi testi originali risalenti al 253 A.I., in piena dominazione di Yar-Mazar! Non immaginate con quale fatica sono riuscito ad ottenerli attraverso i miei contatti nella terra degli infedeli!"
L'espressione di Gimble e compagni si fa sempre più perplessa: "Continuiamo a non capire..."
"Arrivo al punto. Questi documenti in antica lingua mazar'i parlano di un'avamposto, chiamato Ma’Habb, descritto come una vera e propria oasi nel deserto, che prosperava pacifica sotto la guida del saggio emiro regnante. Nei testi viene descritta come un magnifico giardino di piante rigogliose, fonte inesauribile di acqua e vita."
"Ne deduco che le attuali rovine e questa oasi paradisiaca siano in realtà lo stesso luogo" commenta Gimble.
"Esattamente. E l'ho dedotto attraverso i riferimenti di altri testi e studiosi, che citano..."
"Ci fidiamo" taglia corto lo gnomo. "Andiamo al punto."
"Riassumendo: secoli fa, nel bel mezzo del deserto di Kal-Mahda, sorgeva un insediamento che vantava una cultura e uno stile di vita molto avanzati in un ambiente così ostile. La fortezza era opera degli occupanti di Yar-Mazar, sorta prima che nel 350 A.I. Arash Naxxar liberasse i territori della penisola dalla loro dominazione. Quando Arash avviò la sua campagna per scacciare gli infedeli, la fortezza venne attaccata da nord dalle milizie dell’impero che marciavano verso Bakaresh. Gli assediati vennero presto sopraffatti e l’insediamento abbandonato, in rovina. La distruzione portata e il disinteresse per un sito dallo scarso interesse commerciale, oltre alle sue dimensioni ridotte, contribuirono probabilmente al suo definitivo abbandono dopo il 350 A.I., nonostante il glorioso passato."
"Che storia triste..." commenta Juan scocciato "ma noi che c'entriamo?"
"Beh, innanzitutto mi serve che qualcuno esplori quelle rovine per dar certezza alle mie teorie. E poi dovete sapere che Ma'Habb, in lingua Mazar'i, significa *Semi dell'Acqua*."
"E allora?"
"Ehm..." Bovak si schiarisce la voce, il suo timbro è più acuto del classico baritono nanico, e leggermente nasale. "Qui entro in gioco io. Se ciò che Octalius dice fosse confermato, la *fonte inesauribile di acqua e vita* citata negli scritti andrebbe intesa in senso letterale. Ciò che sospettiamo è che l'antica prosperità di Ma'Habb sia da attribuire nientepopodimenoche ad un Seme dell'Acqua, un seme di potere elementale simile a quelli che resero santa Myara!"
Bovak fatica a trattenere l'eccitazione: "Capite ora la portata della scoperta? Un ritrovamento del genere potrebbe trasformare Kal Mahda in un giardino fertile e cancellare per sempre quell'orrore sterile che è il deserto!"
Chiarito il contesto, il resto della discussione si sposta sul compito (e la paga) dei nostri eroi. Octalius è interessato a reperti di valore storico e pagherà centocinquanta monete per l'esplorazione, più un bonus per ogni ritrovamento. Bovak invece accompagnerà il gruppo, perché il suo unico obiettivo è recuperare il Seme dell'Acqua, ma raggiungere Ma'Habb da solo è troppo pericoloso. Non può offrire molto in termini di compenso, ma si accorda in modo che eventuali tesori e bottini recuperati nella fortezza, ad eccezione del Seme, siano a totale disposizione degli avventurieri.
Definiti i termini dell'accordo, tutti concordano di non perdere tempo e partire al più presto. Bovak fissa l'appuntamento con i compagni di viaggio appena fuori città, tra un'ora, giusto il tempo di sbrigare le ultime faccende.
Congedatisi, gli avventurieri si avviano per le strade di Bakaresh, scambiandosi impressioni sulla nuova missione e sul peculiare nano.
"Un tipo davvero strano" commenta Isabel. "Parlava del seme di Myara con trasporto e convinzione, tanto quanto del deserto come un'anomalia. Sembra avere una forte predilezione per l'elemento acqua, una sorta di devozione..."
Juan sghignazza divertito: "Giuro che è il primo nano che incontro con una predilezione per l'acqua..."
giovedì 25 aprile 2013
357 - UNA CENA ELEGANTE
Mentre Isabel e Rune, una volta chiesta udienza ad Ashanti presso il Tempio del Drago d'Oro, consegnano al Maestro dell'Ordine le tessere di Nezabal spiegandole il terribile rinvenimento, e ottenendo la promessa che la Chiesa farà di tutto per dar pace a quelle povere anime, dall'altra parte della città alla locanda Spinarossa gli argomenti di cui parlare sono decisamente più frivoli.
Hearst, intenzionato ad acquistare un dono per Rabiaa, è impegnato in una estenuante discussione sul miglior regalo con Kamal, reincontrato nei pressi della Piazza dell'Obelisco. Contemporaneamente Gimble e Juan ricevono da Khalid notizia di essere stati cercati da un messo della Corporazione dei Mercanti. A quanto pare Sutta e Declan li vogliono incontrare domani mattina.
Il tono della discussione tra Hearst e Kamal sovrasta il vociare dei gruppi di persone che affollano la locanda, più numerose del solito, segno che molta gente sta affluendo verso Bakaresh per partecipare ai festeggiamenti che cominceranno tra una settimana, protraendosi dalla metà di dicembre fino al culmine di capodanno.
Dopo che Kamal è arrivato a sbraitare che non ha mai visto nessuno che capisce così poco di donne quanto Hearst, i due convergono su un regalo di rappresentanza, che non abbia valore simbolico né scopra le carte prima del tempo: un semplice barattolo di tè di Spinarossa. Nonostante il guerriero pensi che regalare del tè a una donna sia equivalente a stroncare in partenza qualunque velleità amorosa, la convinzione con cui Kamal insiste sul fatto che a Bakaresh questo sia un dono estremamente elegante ed apprezzato lo convince che le usanze del luogo vanno rispettate.
"Dunque Hassa ripartirà per Gahar, come aveva promesso..." chiede Rabiaa.
Rune annuisce: "Sì, lascerà Bakaresh domani mattina. Non vede l'ora di riabbracciare suo padre e chiedergli perdono. Forse questa volta la lezione gli è servita."
Rabiaa sorride con approvazione. Man mano il discorso si sposta su quello che Isabel e Rune si sono detti con Ashanti, quindi sull'esigenza della maga di condurre le sue indagini nei prossimi giorni. Al momento non ha altri compiti da affidare agli avventurieri, per cui potranno dedicarsi ad altro.
Il continuo parlare di lavoro sembra innervosire Hearst, che sperava in una serata diversa e si trova invece tagliato fuori dalla complessità delle questioni "magiche". Più il tempo passa e più il guerriero vede sfumare la possibilità di far colpo su Rabiaa. Spesso cerca invano di riportare la conversazione su argomenti più frivoli, fino ad arrivare, in un disperato tentativo, ad esibirsi in complimenti espliciti nei confronti della maga, a lodarne il carattere e la bellezza senza che questi siano minimamente legati al contesto della discussione, col risultato di far calare sulla tavola gelidi momenti di imbarazzo.
Quando gli avventurieri si avviano a congedarsi Hearst chiede di poter rimanere ancora un poco. Nonostante i modi poco consoni alla situazione da parte del guerriero fino a quel momento, Rabiaa, probabilmente per educazione, acconsente concedendogli di accompagnarla sulla terrazza.
Rabiaa si accomoda su un baldacchino, lo sguardo perso sulla città bassa, verso il mare. Una brezza fredda le lambisce la pelle. Nessuno dei due parla, stanno lì, soli, a fissare il panorama. Per la prima volta Hearst sente di essere davvero in difficoltà con una donna. Sa di aver sbagliato tutto stasera. Ma la cosa che più lo amareggia è che questo fatto gli fa male, ha paura di non poter recuperare, di perderla prima ancora di cominciare. Durante il lungo silenzio la sua mente si agita in un turbine di pensieri, alternando rimproveri verso sé stesso a possibili soluzioni per rimediare.
"Scusami" è l'unica cosa che riesce a dire alla fine. "Scusami per averti messo in imbarazzo... davanti agli altri..."
Rabiaa si volta e lo guarda. Con le gambe piegate, stringe le ginocchia tra le braccia, e vi appoggia il viso. Sorride.
"Non importa. Davvero. A volte penso che sia giusto così, i tuoi modi diretti... così schietti, senza sotterfugi, niente etichette, niente apparenze. In questo momento ti stavo invidiando."
Il volto di Hearst assume un'espressione interrogativa, mentre la maga continua a guardarlo benevola.
"Invidio il tuo mondo Hearst, dove si è giudicati per ciò che si è e ciò che si fa. Senza le trame, gli inganni, le finzioni che invece caratterizzano il mio. Mi sembrano mondi così... lontani."
Hearst annuisce. Ora sa di non dover dire nulla, solo ascoltare.
"Vivo ogni giorno dietro la maschera che mi sono costruita per difendermi ed affermarmi. A volte mi chiedo se sono ancora io..."
"Intendi il tuo aspetto?" chiede Hearst cercando di interpretare il suo sfogo. "La prima volta alla festa di Declan sembravi più vecc... ehm... meno giovane."
"Sì, c'è anche questa assurdità Hearst. Sono giovane e sono donna. Mostrarmi più matura nelle occasioni pubbliche mi garantisce un rispetto che altrimenti non avrei. Senza questo stratagemma agli occhi di molti sarei solo una ragazzina presuntuosa. Ma questo è solo uno degli aspetti del mondo di falsità in cui devo destreggiarmi."
Rabiaa guarda ancora verso il mare: "Sei tu a dovermi perdonare, non era mi a intenzione metterti in difficoltà durante la cena. Trovo... così complicato rapportarmi in modo sincero con le persone, che quando altri lo fanno con me alzo istintivamente le difese."
Un nuovo lungo silenzio.
Hearst non si aspettava tutto ciò. Aveva apprezzato Rabiaa per la sua bellezza, quindi per la sua forza e determinazione. Ora gli stava mostrando, incantandolo, tutta la sua fragilità.
"Si è fatto tardi" sussurra dolcemente la maga.
Hearst annuisce. E' ora di andare, ogni parola, ogni momento in più sarebbe di troppo.
giovedì 18 aprile 2013
356 - COLLEZIONE DI ANIME
"Si nutre di anime?" chiede Rune.
"No, e questa è un'ulteriore anomalia. Il Malaugrym si nutre di carne, ed adora infilare i suoi tentacoli nella gola delle sue vittime e divorarle dall'interno quando sono ancora vive..."
Arrivati al pianerottolo, Juan apre con la chiave una robusta porta a due ante, oltre la quale si trova un ambiente a metà tra una biblioteca e un laboratorio. Sulle librerie sono accatastati numerosi tomi impolverati, alcuni vergati con caratteri incomprensibili. Sui tavoli sono ammucchiati alambicchi, pergamene e strani ingredienti, da cui si leva un mefitico odore di incenso e carne putrida che fa girare la testa.
E poi quegli scaffali, lungo la parete di sinistra, su cui sono ordinatamente riposte molte tessere di ceramica simili a quella di Hassa. Se ne contano almeno una ventina. Le figure impresse su di esse sembrano immobili, ma se osservate attentamente si agitano mute in un'eterna agonia, impossibilitate a ritornare nel proprio corpo. Una scena agghiacciante, difficile da sopportare, tanto che l'istinto di andarsene immediatamente pervade tutti quanti.
"Santo cielo... è terribile..." commenta Isabel con voce rotta. Per un attimo anche sul suo volto sicuro di Rabiaa scorre un'ombra di turbamento, per un attimo è come se a guardare fossero gli occhi innocenti e tristi di una fanciulla.
"Cosa... cosa possiamo fare per loro?" continua la chierica, pur sospettando già la risposta.
L'espressione della maga torna dura come sempre: "Nulla temo. Il Malaugrym ha certamente divorato i loro corpi. Anche se avessimo potuto costringere Nezabal a liberare le anime, sarebbero morti ugualmente."
"E' terribile, queste anime sono condannate all'oblio, non possono raggiungere il Grigio Reame, e per assurdo nemmeno l'Abisso! Una condanna peggiore dell'inferno!" realizza Isabel. "Sono certa che la Chiesa possa intercedere per questi poveri spiriti, e trovare un modo per liberarli, seppur non ridando loro la vita, ridando loro la pace. Dobbiamo... dobbiamo portare le anime al Maestro Ashanti, parlarne con lei e con il Gran Dragone. Di sicuro sapranno come aiutarci. Come aiutarli."
Rabiaa approva: "Sono d'accordo. Ma dovrò tenere una tessera, una sola, perché sia una prova per la Confraternita e perché possa studiarla per capirne lo scopo. Vi prometto che una volta scoperto cosa c'è sotto, mi premurerò io stessa di consegnarla alla Chiesa."
La maga sembra sincera. Sebbene non lo manifesti apertamente, è profondamente turbata e mortificata dal fatto un demone sia riuscito a farsi passare - da chissà quanto tempo - per un rispettabile membro della sua organizzazione. Ma la cosa che la preoccupa di più è che non sia un caso isolato, che possa contare su delle complicità. Se così fosse è decisa a scoprirlo, ed estirpare questa corruzione dal buon nome della Confraternita.
Rabiaa si sente in debito con gli avventurieri, è consapevole del fatto che hanno rischiato molto di più di ciò per cui erano pagati, e se non fosse stato per loro le malefatte di Nezabal non sarebbero mai venute alla luce. Una simpatia inusuale per quel peculiare gruppo di eroi le strappa un sorriso, e mentre loro già discutono delle prossime mosse, li sorprende: "Questa sera sarete miei ospiti a cena, per ringraziarvi di quanto avete fatto," poi rendendosi conto di essersi sbilanciata un po' troppo tanto da aver zittito gli avventurieri, aggiunge: "e potremo discutere di lavoro..."
giovedì 11 aprile 2013
355 - IL MALAUGRYM
Gimble è paralizzato dal terrore, non ha vie di fuga. Con un briciolo di lucidità evoca l'incantesimo di immagini speculari creando tre duplicati illusori di sé stesso, un attimo prima che il demoni scateni su di lui un fulmine magico che disintegra uno dei falsi.
Gimble sfodera il pugnale di Hassa, pronto a fronteggiare il mostro in un tentativo disperato.
"E' qui!" esclama Rune giunto al pianerottolo, udendo i rumori che provengono dall'altro lato della porta chiusa. Il monaco cerca di forzarla con una spallata, invano.
"E' bloccata magicamente, lasciate fare a me" dice Rabiaa, invocando gesti e parole dell'incantesimo di dissoluzione magica. Le sue mani si muovono come se sbrogliassero la matassa della trama incantata che blocca la porta, districando uno ad uno i fili della magia di Nezabal.
Appena ottenuto il via libera dalla maga, Hearst si fionda nella stanza. La porta schianta di colpo rivelando alla sua vista le vere fattezze di Nezabal, ma il guerriero non si fa sorprendere, si aspettava qualcosa di fuori dal comune.
Il demone agita i tentacoli utilizzando la magia per ottenere un effetto di sfocatura a sua difesa, ma Hearst gli è già addosso. Confidando nella fortuna, la lama dello spadone disegna un arco discendente verso la figura confusa della creatura. Un tentacolo viene reciso, quindi il guerriero sente la resistenza delle carni e affonda il colpo con tutta la forza che ha in corpo. L'acciaio penetra in profondità mentre l'icore disgustoso ribolle dall'orrenda lacerazione, fino a fermarsi nell'occhio di mezzo, spaccandolo a metà.
Il corpo del demone diventa improvvisamente pesante, rovina a terra, sussultando mentre Hearst sfila la lama per infierire una seconda volta, poi una terza, e una quarta, proiettando icore e interiora sulle pareti.
Hearst si terge il volto con l'avambraccio, rimuovendo i liquidi viscosi del mostro, mentre Gimble si lascia cadere seduto, sollevato per il provvidenziale intervento.
Nel frattempo entrano anche Rune e Rabiaa, quindi Juan ed Isabel, accorsi quando alla morte del demone i Dretch sono scomparsi. La chierica contempla la scena inorridita e preoccupata. Riconosce le fattezze del demone, le bisbiglia ai presenti: "Un Malaugrym, servo di Eblis, Demone dell'Avarizia."
"Non riesco a crederci" le fa eco Rabiaa. "Nezabal, un membro della Confraternita... un demone assetato di anime! Dobbiamo scoprire il suo vero scopo, di certo in questa torre... ehi, fermo!"
L'esclamazione della maga blocca Juan, già chino sui resti della forma umana di Nezabal per perquisirli.
"Non toccare nulla, potrebbe essere pericoloso. Inoltre ti avviso che ciò che è in questa torre è proprietà della Confraternità Arcana che rappresento, e non posso permettere di saccheggiarla a chicchessia."
Juan solleva le mani, inveendo mentalmente contro la maga. Nella destra alza una chiave, recuperata dal corpo: "Cercavo solo questa, ci sarà utile..."
venerdì 5 aprile 2013
354 - IL DEMONE DEL GIOCO
"Non lo libererò mai!" ringhia Nezabal.
Gimble solleva la carta di ceramica sopra la testa pronto a schiantarla a terra: "Lo farai o distruggerò la *tua* anima!"
Il mago trema dalla rabbia, ma sa di non avere scelta. A denti stretti bisbiglia le parole di rilascio dell'anima di Hassa.
Il genio si concentra per una frazione di secondo, poi scuote la testa: "Non posso" afferma con tono grave, rivelando per la prima volta la sua voce "è stata protetta contro le incursioni astrali."
Rabiaa maledice Nezabal, quindi si affretta verso la torre seguita dagli avventurieri e dal suo servitore. Giunto a ridosso di una parete il genio la scioglie tramutandone una porzione in fango e aprendo un passaggio verso l'interno.
"Resta fuori, proteggi Hassa" ordina la maga, quindi si precipita nell'atrio al pian terreno con gli avventurieri.
L'ingresso non sembra tuttavia passare inosservato a invisibili osservatori. Un vapore giallognolo si diffonde nella sala, concentrandosi rapidamente in cinque punti, e materializzandosi nella forma di disgustose creature dal corpo tozzo, glabro e ricoperto di vesciche, con una pelle pallida e malsana che emette un fetore nauseabondo.
Rabiaa doveva essere già lì. Forse Nezabal l'ha ingannato, forse qualcosa è andato storto. Gimble cerca di prendere tempo: "Perché le anime, a cosa ti servono? Cosa sei?"
Nezabal non offre spiegazioni, sibilando minaccioso: "Non la passerai liscia piccola creatura insignificante. Ti basti sapere che mi divertirò a straziarti con i miei uncini, facendoli passare dalla tua bocca e rivoltandoti da dentro."
Gimble fatica a mantenere il sangue freddo, ogni istante che passa si sente più oppresso e senza vie di fuga, e dei compagni neanche l'ombra.
All'improvviso qualcosa attira per un istante l'attenzione del mago, un allarme magico risuona nella sua mente. Gimble si rende conto che qualcosa è successo, ma Rabiaa non è lì e i suoi nervi saltano. Lo gnomo scaglia a terra la carta.
Negli attimi successivi è come se il tempo rallentasse a dismisura. Il volto di Nezabal si deforma in una smorfia di terrore mentre pronuncia le parole per liberare la propria anima, ma il ritardo di rilascio non gli lascia scampo. Il suo spirito fluisce in parte mentre la carta va in pezzi sul pavimento.
Quel che accade poi è orrore puro.
La figura di Nezabal si deforma e si spacca in un mare di sangue, per più di metà trasformata nella figura mostruosa che la carta aveva rivelato. La parte rimasta in forma umana gronda fluidi corporei attaccata al corpo sferico da lembi di carne pulsante. L'ammasso agonizza a terra, la parte umana si sgretola cercando di rialzarsi, la pelle di quella mostruosa si spacca aprendo spaventose ferite. Gimble prova a fuggire in preda al panico, si fionda sulla porta ma è bloccata. La magia di Nezabal non è morta, Nezabal non è morto.
"Sono Dretch, demoni minori!" esclama Isabel. "State vicini a me e non potranno toccarvi!"
Impugnato il simbolo di Erevos la chierica evoca un cerchio di protezione dal male.
I demoni soffiano spandendo i loro miasmi pestilenziali, ma non possono impedire l'avanzata dei nostri eroi. Preparandosi al peggio e alla presenza dei demoni, Hearst cosparge la sua lama dell'unguento di bagliore argenteo usato a suo tempo contro il licantropo, mentre Rabiaa ne amplifica la forza con un incantesimo, e protegge sé stessa con un globo antimagia.
Quando ormai sono in prossimità delle scale, Juan non riesce a trattenere un conato di vomito. Isabel si ferma per proteggerlo, la puzza le fa girare la testa. Con un cenno indica ai compagni di proseguire, la sua magia bloccherà il passaggio verso le scale ai demoni ancora per un po'.
venerdì 29 marzo 2013
353 - AZZARDO
Ben presto la fortuna gira, e le giocate si fanno più pesanti, con ingenti perdite per lo gnomo. Nonostante ciò, Gimble gioca in modo sempre più spregiudicato. Nezabal stringe gli occhi, rallenta il ritmo. Qualcosa nel comportamento del suo avversario lo insospettisce, ma la sua stessa avidità gli impedisce di chiudere la partita. Il suo avversario sembra davvero disposto a giocarsi tutto.
Gimble perde ancora e finito il denaro punta pozioni, oggetti, preziosi, fingendo, da bravissimo attore qual è, di essere disposto a tutto pur di recuperare. Anche a giocarsi l'anima.
La brama del mago non ha più limiti.
Quando a Gimble non rimane più nulla, quando il turbine del gioco l'ha portato nel baratro della follia, Nezabal esce allo scoperto, proponendogli l'estrema posta in gioco, un tutto per tutto. L'anima per tutti i suoi averi.
Notando la perplessità dello gnomo, simulata ad arte, Nezabal minimizza le conseguenze della scelta con grande affabilità, mentre pone la carta di ceramica al centro del tavolo.
Gimble accetta con fare spiritato, ma i dadi non gli lasciano scampo. Mentre ogni dado tirato da Nezabal si ferma sul massimo punteggio, il mago ride sguaiatamente attendendo che l'anima divorata dal gioco del suo avversario venga risucchiata. Ma la sua risata si strozza all'improvviso.
E' in quel preciso istante che l'atteggiamento di Gimble muta radicalmente. Con un gesto repentino il bardo si appropria della tessera in ceramica, mentre un ghigno malefico si dipinge sul suo volto.
Con la carta rivolta verso di sé, lo gnomo vede comparire sulla superficie lucida l'immagine di una creatura orribile, sferica, dalla pelle bruna sudicia e compatta, con tre lunghi tentacoli terminanti con uncini affilati, e una becco mostruoso al centro del corpo circondato da tre grossi occhi da rettile.
Gimble mantiene la lucidità per tenere il suo avversario sotto scacco e, nonostante le maledizioni di un Nezabal inferocito, minacciando di distruggere la carta detta le sue condizioni: liberare l'anima di Hassa.
martedì 26 marzo 2013
352 - NELLA TORRE DEL MAGO
"...e ci vogliono alcuni secondi perché un'anima imprigionata esca del tutto dalla carta. Il piano è questo: una volta imprigionata l'anima di Nezabal nella sua stessa carta deve essere ricattato perché svincoli l'anima di Hassa. Appena da quest'ultima il fante sarà sparito, saprò che Hassa è libero e il mio servitore ci teletrasporterà nella torre in tuo aiuto. Con un po' di fortuna non correrai grandi rischi."
"Nezabal non può decidere di svincolare la sua stessa anima?" chiede Isabel, temendo che una reazione del mago possa vanificare tutto quanto.
"Sì, è possibile, ma il tempo di latenza, il breve ritardo con cui l'anima viene rilasciata gioca a nostro favore. Gimble, se Nezabal prova a reagire e la sua carta inizia a sbiadire, devi distruggerla immediatamente, a costo di condannare lo spirito di Hassa alla prigionia eterna. Non ci sono altre soluzioni se vogliamo risparmiare la vita al nostro amico."
Gimble annuisce.
Rune guarda Hassa dritto negli occhi: "Spero tu sia ben consapevole di quello che Gimble rischia per te. Sta mettendo a repentaglio la sua vita per quanto tu hai disprezzato la tua. Promettimi che se tutta andrà per il verso giusto tornerai a Gahar, chiederai perdono a tuo padre e metterai la testa a posto!"
Hassa accenna un sì con il capo.
Gimble allunga un pugnale al ladruncolo: "Direi che oltre alla tua riconoscenza un *regalino* da parte tua sia doveroso. Il tuo pugnale è magico e mi sarà utile, in cambio ti cedo il mio, è di ottima fattura e apparteneva ai pirati Blackrabbit. Presumo tu non abbia obiezioni. Bene. Ora spiegami come arrivare in contatto con Nezabal."
La torre di Nezabal si erge nella periferia nord orientale, circondata da poche case e strade larghe, in contrasto con il caotico centro cittadino. Il tramonto colora di rosso le mura, è quasi l'ora pattuita con l'emissario del mago incontrato la sera precedente grazie al giro di contatti di Hassa. Presto dovrà lasciare Rabiaa e i compagni dietro di sé, nascosti a debita distanza e avviarsi solo verso il portone della torre. E' nervoso. Riconta il gruzzoletto che racimolato per l'azzardo: l'equivalente di più di cinquecento monete d'oro, una somma degna di nota anche per un giocatore di peso come Nezabal.
Gimble scambia un'ultima occhiata d'intesa con i compagni, quindi s'incammina.
Il portone si apre da solo quando lo gnomo si avvicina, quindi si richiude dietro di lui. Superato un piccolo atrio, il bardo fa il suo ingresso in una sala con un grande tavolo e arazzi alle pareti ricamati con motivi geometrici. Una scala in pietra segue la parete ricurva sparendo dietro un muro, salendo verso il primo piano.
Una voce rimbomba nella torre: "Benvenuto nella mia dimora, caro ospite, ti prego di salire."
Gimble sale cautamente, attento ad ogni dettaglio. Lungo la spirale delle scale incontra diverse finestre che fanno filtrare la brezza fredda della sera, tutte provviste di grate.
Giunto ad un pianerottolo la voce lo invita ad abbandonare le scale ed entrare nella porta spalancata alla sua destra.
La stanza è più intima del salone al piano di sotto. Ci sono un camino e un tavolo con la shisha, delle bevande e della frutta. Le pareti sono adornate dai soliti arazzi geometrici. Il centro della sala è occupato da un tavolo, alla cui estremità sinistra siede il mago. Apparentemente il locale occupa circa metà del piano, e una porta a due ante chiusa diametralmente opposta all'ingresso pare condurre all'altra metà.
Nezabal ha barba curata e sguardo scaltro, e lo invita a sedersi con un cenno della mano ingioiellata.
Gimble nota una certa somiglianza con l'emissario incontrato la sera prima, qualcosa gli suggerisce che a Nezabal piaccia vedere di persona le sue vittime.
Facendo gli onori di casa, il mago lo invita a rilassarsi e favorire delle sue cortesie.
mercoledì 20 marzo 2013
351 - LO SCARABEO
Rabiaa conduce Gimble e Isabel in una piccola stanza senza finestre, illuminata da candele che diffondono aromi profumati. Dalle pareti scendono drappi di sete leggere dai colori caldi, al centro solo un triclinio.
Pochi istanti dopo li raggiunge il genio, che porta in palmo un oggetto accuratamente avvolto in una stoffa verde.
Rabiaa libera con ritualità il contenuto, un gioiello in platino e smeraldi grande come un pugno e l'aspetto di un coleottero.
"Questo è uno scarabeo di protezione dell'anima, un manufatto magico estremamente raro e di grande valore, che affonda le sue radici nei tempi dell'antica dominazione di Yar-Mazar. E' in grado di salvaguardare l'anima del portatore con un aura di interdizione dalla morte e lo rende allo stesso tempo immune dagli effetti di influenza mentale. In questo modo Nezabal non potrà mai toglierti lucidità durante il gioco."
Gimble osserva dubbioso il grosso amuleto: "Dubito che un simile oggetto possa sfuggire alle divinazioni di Nezabal, soprattutto in casa sua. Anche se sicuramente limiterà l'uso della magia per non insospettire la sua preda, in questo caso basterebbe un'individuazione del magico..."
"Infatti" conferma grave Rabiaa. "Lo scarabeo deve essere celato, come è previsto che sia. Dentro di te."
"Cosa?! Cosa significa dentro?"
"Purtroppo non c'è altro modo. Lo scarabeo deve nascondersi tra le tue carni, solo così non sarà rilevabile con mezzi magici comuni. E' per questo che ho chiesto a Isabel di seguirci. Sarà un processo molto doloroso... sei ancora sicuro di volerlo fare?"
Per un attimo Gimble ha un giramento di testa, ma il sacrificio cui ha deciso di sottoporsi non gli permette dubbi.
Rabiaa lo invita a scoprirsi e stendersi sul triclinio. Gimble slaccia le fibbie del corpetto di cuoio, toglie il farsetto, le mani gli tremano. Si sdraia.
Rabiaa gli appoggia il talismano sull'addome, è freddo al tatto. Poi il dolore esplode lancinante.
Lo scarabeo si anima come una creatura viva, incide la pelle, affonda nella carne, si fa strada nelle viscere. E' come se un tizzone ardente affondasse nei suoi intestini. Gimble urla con tutta la voce che ha in corpo, si aggrappa al lettino con forza tanto da spaccarsi le unghie, le lacrime gli offuscano la vista. Dura minuti che sembrano un'eternità, poi il bagliore azzurro del potere di Erevos lenisce le sue sofferenze. Stremato, sviene.
mercoledì 13 marzo 2013
350 - UNA PROMESSA
"Perché lui è qui? Non era necessario" esordisce fredda Rabiaa dinanzi alla presenza di Hassa.
Nonostante l'indisposizione della maga nei confronti del ladro, gli avventurieri le spiegano nel dettaglio l'accaduto. Rabiaa ascolta attenta, nascondendo a fatica la sorpresa nello scoprire perché il recupero della carta stava tanto a cuore a Nezabal.
E' difficile per i nostri eroi capire quanto la maga si fidi delle loro parole, ed il timore che prenda comunque le parti del collega della Confraternita Arcana esiste.
Rabiaa decide di usare cautela: "Se ciò che dite è vero sarò la prima ad intervenire contro Nezabal, ma per farlo devo poter esaminare a fondo la carta..."
"No!" interviene istintivamente Hassa.
"Non hai altra scelta, ladro" lo stronca Rabiaa. "Se la tua anima è qui dentro sei già morto senza saperlo, e solo se mi permetterai di capire di cosa si tratta potrò dirti se esiste un qualche modo di restituirtela..."
Rabiaa prende la tessera in ceramica dalle mani di Gimble, quindi abbandona il salone lasciando gli avventurieri alle attenzioni del genio suo servitore.
Hassa si siede pallido su una delle ottomane. Gli viene da vomitare.
"Negromanzia. Non c'è alcun dubbio."
Rabiaa snocciola come le sue divinazioni abbiano confermato la veridicità del racconto degli avventurieri.
"Questo tipo di pratiche sono assolutamente inaccettabili, e sottintendono un inganno nei confronti della Confraternita. Nezabal mi ha usato, ci ha usato per i suoi scopi deprecabili, per ottenere ciò che voleva senza esporsi in prima persona."
Rabiaa assicura agli avventurieri che affronterà senza indugi il mago, informando dell'accaduto la Confraternita che li ricompenserà a dovere. Tuttavia, afferma glaciale, difficilmente sarà possibile salvare l'anima di Hassa, dal momento che solo Nezabal ha il potere di liberarla dal vincolo che la lega alla carta. Tutte le altre soluzioni, dalla distruzione alla dissoluzione magica, porterebbero inevitabilmente alla morte del ladro.
Hassa trema alle parole della maga, con gli occhi lucidi e la voce spezzata si aggrappa disperato al braccio di Rune: "Vi prego, ti prego, non abbandonatemi... non voglio morire... non voglio morire!"
"Rabiaa, ci deve essere un modo..." chiede il monaco.
"L'unico modo è ricattare Nezabal, obbligarlo a liberare l'anima, ma non vedo come sia possibile. A meno che..."
Rabiaa si fa pensierosa. Quando riprende a parlare il suo tono è grave.
"Se le carte di Nezabal funzionano come credo, nel momento in cui una carta vuota viene attivata s'impadronisce dell'anima accessibile più vicina e più debole in quel momento."
Isabel cerca di interpretare le parole della maga per i compagni confusi: "Vuoi dire che se Nezabal giocasse con qualcuno la cui anima è protetta, inaccessibile, nella carta verrebbe imprigionata la sua stessa anima?"
"Esattamente. A quel punto si tratterebbe di uno scambio di prigionieri. Anima per anima. Tuttavia devo mettervi in guardia: è un piano giocato sul filo del rasoio, estremamente rischioso per chi dovesse esporsi. Nezabal non è un incantatore novizio."
Juan scuote la testa, poi sbotta: "Ma vi rendete conto di cosa stiamo parlando? Rischiare per salvare questo sprovveduto? Vi sembra che se lo meriti? Lui si caccia nei guai e noi lo leviamo dalle pesti?"
La discussione si fa immediatamente accesa. Rune non condivide il pensiero di Juan, Hassa ha sbagliato, ma non per questo va abbandonato al suo destino. Il monaco è più che disposto a sacrificarsi. Gli fa eco inaspettatamente Hearst, anch'egli disposto a rischiare pur di mettersi in mostra agli occhi di Rabiaa. Tuttavia, né l'uno né l'altro sono abili giocatori: Juan sarebbe indubbiamente il più indicato.
"Non se ne parla" sgombra il campo il coloviano. "Ho già rischiato di rimanere strangolato per colpa di questo stronzo!"
"Ora basta! Lo farò io" la voce di Gimble zittisce tutti. "Lo farò io, ma non perché penso che la vita di Hassa sia sacra, né allo stesso tempo lo giudico duramente quanto Juan. Lo farò per *noi*, non per *lui*. Accetto per il bene del gruppo, per favorire la *nostra* reputazione, la *nostra* causa. Accetto, ma a patto di una promessa da parte vostra: che ripartiamo da zero, tutti, annullando le ripicche e i rancori del passato per le decisioni non condivise, per le azioni irrispettose. Un nuovo inizio, perché di questo abbiamo bisogno, o pian piano tutti seguiremo la strada di Gilead. Ed io non voglio che accada. Quando vi ho incontrati vi ho pagato per trovare mia sorella, e tutt'ora quello è il mio principale pensiero. Ma sappiamo tutti che c'è di più, sappiamo tutti che la posta in gioco è ben più alta."
Rabiaa sorride, piacevolmente sorpresa. Per un attimo Gimble ha l'impressione che quel sorriso nasconda una strana complicità, come se la maga sapesse di loro più di quanto immaginano, e vedesse le sue parole come una piccola vittoria.
I compagni riflettono in silenzio, gli sguardi bassi. Uno alla volta sollevano gli occhi e fanno un cenno di assenso. Un gesto che vale più di una promessa.
domenica 10 marzo 2013
349 - GIOCARSI L'ANIMA
"Cosa?!?" esclamano gli avventurieri all'unisono. Gimble sbigottito osserva la tessera ceramica: inutile negare l'effettiva somiglianza tra il fante raffigurato e il ladruncolo.
Riavutisi dalla sorpresa, i nostri eroi interrogano Hassa su tutta la vicenda.
Il giovane rivela di essere caduto vittima di un sortilegio del mago Nezabal, ovvero il proprietario della carta in ceramica.
"Nezabal è un provetto giocatore, uno che gioca d'azzardo pesante. Sapete, io ho una gran passione per il gioco, e questa era una grande occasione: Nezabal mi aveva invitato alla sua torre per sfidarlo."
Hassa racconta come all'inizio tutto andasse per il meglio e la partita volgesse a suo favore. Era raggiante, a un passo da una vittoria memorabile. Poi però, la fortuna aveva girato improvvisamente. Pian piano il mago aveva eroso i suoi guadagni portandolo, nel tentativo folle di recuperare, a perdere il controllo e puntare tutto quanto.
Quando era ormai sul lastrico, Nezabal gli ha offerto un'ultima possibilità per riottenere tutti i suoi averi: giocarsi l'anima. Hassa afferma di ricordare poco di quei momenti, era completamente immerso nella pazzia del gioco, tanto da accettare. Non gli sembrava vero di avere un'altra chance.
Inutile dire come è andata finire.
"Quando ho realizzato che la mia anima era persa e veniva imprigionata nella tessera di ceramica che Nezabal aveva posto al centro del tavolo, in un momento di lucido terrore l'ho afferrata e sottratta rapidamente. Non che Nezabal sia stato a guardare: il mago mi ha scaricato addosso tutti i suoi incantesimi, ma come avrete notato me la cavo bene con le manovre evasive..."
Complice una gran dose di fortuna, una pergamena di porta dimensionale arraffata a caso tra gli averi del mago e letta all’istante opportuno, Hassa è riuscito a farla franca, portando con sé la carta con la sua anima.
"Non so quale parte del tuo racconto sia più assurda!" esclama Gimble.
"Giuro che è tutto vero! Non posso rinunciare alla mia anima!"
"Sei stato uno stolto!" lo biasima Juan, appoggiato da Hearst e Gimble. "Probabilmente ti meriti il tuo destino. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso!"
"Io... io non so cosa mi sia preso là dentro! Sono stato stregato!"
Rune interviene mostrandosi più comprensivo dei compagni: "Ha sbagliato non c'è dubbio, ma ritengo che dobbiamo trovare un modo per aiutarlo. Isabel cosa ne pensi?"
La chierica è pensierosa: "Se lì dentro c'è davvero la sua anima, distruggere la tessera significherebbe ridargliela o... morte certa. In alternativa solo un incantesimo di desiderio, o Nezabal stesso, potrebbero rilasciarla. Ciò che mi preoccupa oltremodo, tuttavia, è che questo modus operandi di Nezabal non si sia limitato solo a lui, ma che sia una consuetudine. Quello che commette è un vero affronto a Dio e alla sacralità della vita!"
"A questo punto credo che la cosa migliore sia tornare da Rabiaa e chiarire l'accaduto" dice Gimble. "Tu, Hassa, verrai con noi."
giovedì 7 marzo 2013
348 - SOFFOCAMENTO
L'arrivo dei compagni a dare man forte a Juan determina la fine dei tentativi di fuga del furfante: Hearst gli assesta tre pugni decisi in pieno volto facendogli perdere i sensi.
"Così impari a rubare a casa dei maghi!" sentenzia il guerriero.
Gimble lancia l'incantesimo di individuazione del magico e si affretta a perquisire il ricercato; il suo pugnale, di cui si impossessa, risplende ai suoi occhi di luce azzurra, così come la tanto agognata tessera di ceramica. Quest'ultima sembra in tutto e per tutto una carta da gioco, con tanto di fante dipinto su una delle facce.
"Leghiamolo, lo consegneremo alla giustizia" dice Gimble.
Rune provvede, aiutato da Juan. C'è tuttavia qualcosa che non lo convince, e poi quel volto, visto dal vivo e non sulla pergamena, gli dice qualcosa.
"Aspettiamo a portarlo via, voglio parlargli appena si riprende" afferma Rune.
Isabel lo fa riprendere con un incantesimo di cura minore. Gli occhi impauriti del ladro corrono su coloro che l'hanno acciuffato, fermandosi sulla tessera tenuta in mano da Gimble. Il ladruncolo sembra impazzire di follia: "Dammela! Dammela! Ti scongiuro non toccarla non farla cadere non romperla per l'amor del cielo farò tutto quello che vuoi!"
"Datti una calmata!" Rune si frappone sulla linea visiva tra lui e Gimble. "Prima di tutto dimmi chi sei..."
Il ladro cerca di tranquillizzarsi, ma il suo respiro è affannoso: "Mi chiamo... mi chiamo Hassa."
I sospetti di Rune vengono confermati: costui è il figlio di Kuzan, il capovillaggio di Gahar!
"In che razza di pasticcio ti sei cacciato! Ora mi spiegherai tutto per filo e per..."
Rune non riesce a finire la frase che un rantolo alle sue spalle lo interrompe. Prima che si renda conto di cosa sta accadendo un fascio di stoffa animata avviluppa il volto di Hassa. Il mantello di Juan ha preso vita e si è avvinghiato attorno alla faccia del ladro! Il coloviano viene trascinato dalla forza del manto, cade, cerca di levarselo dal collo ma non riesce; il suo volto si fa paonazzo, tossisce cercando di respirare, strangolato dal laccio al collo, al pari di Hassa che agita le gambe impossibilitato a prendere respiro.
Con la forza della disperazione Juan lo slaccia, mentre Rune cerca di strapparlo dal viso del ladro. Aiutato dai compagni il monaco riesce a rimuovere il mantello quando Hassa è al limite del soffocamento, lasciando quindi che Hearst e Gimble lo lacerino definitivamente rendendolo innocuo.
Hassa tossisce stremato. Juan maledice tutti i maghi del creato: "Dannazione! Era una trappola! Quel mantello era una fottutissima trappola!"
Gimble si massaggia la barba: "E' vero, ma non è intervenuto subito per uccidere Hassa, l'ha fatto solo quando abbiamo cercato di strappargli informazioni. E' evidente che il nostro committente voleva assicurarsi che eseguissimo il compito senza approfondire."
"Ma perché non chiederci di ucciderlo e basta allora..." obietta Isabel.
"Per non insospettirci fin da subito con una richiesta eccessiva per il crimine commesso e farci eseguire la missione, mentre la sua morte a giochi compiuti non ci avrebbe garantito giustificazioni."
"C'è solo una persona che ci può spiegare tutto dall'inizio" afferma Juan indicando Hassa ancora dolorante. Il ladro ripete ossessivamente con un filo di voce: "La carta... datemi la carta... bastardi..."
Il coloviano attiva mentalmente il potere di charme dell'anello donatogli da suo padre. "Innanzitutto però è il caso di diventare amici..."