mercoledì 23 aprile 2014

410 - PADRONE DEL PROPRIO DESTINO

"Bleena..." sussurra Gimble mentre la sorella gli va incontro. E' perfettamente consapevole di avere davanti solo un'illusione, un'immagine costruita dalla Fonte attraverso i suoi ricordi. Eppure il solo fatto di poterla vedere gli scalda il cuore. Per un istante si sente ancora bambino, avvolto da quel senso di calore che solo Bleena poteva dargli. Lei era stata ed è la sua unica vera famiglia.
"Bleena, quanto vorrei ritrovarti..."
"Lo so fratello mio, anch'io vorrei riabbracciarti, ma... quanta morte stai lasciando dietro di te per farlo?"
Gimble tace. Abbassa gli occhi, sospira. Sente il freddo tornargli dentro, e quell'idillio di un attimo sparire per sempre.
"Quanti altri soffrono per il tuo amore? Non era ciò che volevo... io volevo proteggerti, non che abbattessi la tua furia sul mondo! Fratellino io... ti ho sempre protetto quando eravamo piccoli perché tu non vedessi l'orrore di cui gli uomini - e Grolac - erano capaci. A volte non vedere, non sapere, ci preserva dal dolore. Non erano forse momenti felici quelli?"
"Non sarei mai dovuto fuggire, non avrei mai dovuto lasciarti. Questo è il mio rammarico. Nient'altro."
"No! Hai fatto ciò che più desideravo! Ti sei salvato! Dimenticami Gimble! Vivi la tua vita e non pensare più a me! Dimenticare ti permetterà di andare avanti, di superare il dolore!"
"Non lo farò mai!" protesta Gimble stringendo i pugni davanti a sé. "Non ho nessun dubbio a riguardo, e non sarà un tuo simulacro a convincermi del contrario!"
"Davvero Gimble? La tua ostinazione mi ferisce... mi ferisce il pensiero di ciò che comporta, mi ferisce ciò che altri subiscono e subiranno, incolpevoli, vittime delle tue scelte. Le tue decisioni sono un battito d'ali che si trasforma in un tifone di conseguenze, un uragano che investe le vite di molti, portando sofferenza. Non te ne importa nulla, Gimble?"
"No Bleena, a me interessa solo ritrovarti. Da tempo ho risposto alle tue domande e a quelle della mia coscienza, da tempo ho già deciso, e niente mi fermerà. Chiunque si metterà sulla mia strada, volontariamente o inconsapevolmente, ne pagherà le conseguenze. E' il destino di ognuno, ed io ho scelto il mio."

venerdì 18 aprile 2014

409 - UN PADRE IDEALE

"Isabel..."
La voce alle spalle della sacerdotessa scatena in lei un turbinio di emozioni. Mai si sarebbe aspettata di risentirla quassù.
"Padre..."
"Isabel, dolce figlia mia... perché sei fuggita? Perché ti sei allontanata da me?"
Ogni parola è una pugnalata.
Isabel era cresciuta avendo in suo padre la sua vera unica figura di riferimento. Egli era un mercante abile e con una posizione sociale molto in vista. Sua madre era morta dandola alla luce ed era stata allevata dalle tutrici, ma lui non le aveva mai fatto mancare nulla. Lo vedeva poco perché spesso in viaggio, ma tutti ne parlavano con grande rispetto. Isabel lo aveva idealizzato come un uomo buono e generoso.
Solo il giorno in cui capì chi era davvero suo padre comprese che quello che tutti provavano nei suoi confronti non era rispetto, ma paura.
Lo scoprì per caso da adolescente, passeggiando nei giardini della villa di famiglia una notte di primavera in cui non riusciva a prendere sonno. Udì dei rumori nell’oscurità e nascosti dalle siepi vide suo padre e alcuni scagnozzi prima pestare a sangue e poi finire senza pietà uno dei suoi più stretti e fidati collaboratori.
Isabel si accorse improvvisamente di non aver mai saputo chi fosse suo padre. Lo credeva un uomo brillante e di successo, ed era invece un vile assassino.
Isabel, completamente disorientata, fuggì di casa senza meta la notte stessa.
"Perché ho visto ciò che eri veramente padre, senza la maschera che indossavi ogni volta dinanzi a me..."
"No figlia mia, tu hai preferito non vedere, non sapere, giudicare senza conoscere. Sei fuggita invece di venire da me a cercare spiegazioni, hai costruito una tua verità di cui ti sei convinta per tutto questo tempo."
"E' falso! So cosa ho visto! Hai ucciso un uomo e non ci sono giustificaz..."
"Vedi la tua contraddizione? Quante vite hai spezzato credendo in ciò che facevi?"
Isabel deglutisce incapace di replicare.
"Ti sei rifugiata nella sete di conoscenza cercando di colmare il vuoto per non aver mai saputo la ragione di ciò che avevi visto. Hai divorato il sapere accettando do cancellare l'origine di tutto, di dimenticarmi. Rifiutare il passato, nasconderti dietro la cieca verità che ti eri costruita ti ha dato sollievo, vero?"
Isabel tace in preda al subbuglio interiore. E' vero, dopo quel giorno, e dopo aver abbracciato la fede di Erevos, la ricerca della conoscenza è stata la sua ragione di vita. Ma non è mai tornata da suo padre per capire fino in fondo, oltre le apparenze. Ha giudicato sulla base di ciò che aveva scoperto, e ha scelto di non voler sapere di più. Nessuno glielo ha impedito, nessuno si è intromesso. Ha deciso la sua verità, ha dimenticato il resto.
Ed oggi, perché dovrebbe essere diverso per Ghazeer?

martedì 15 aprile 2014

408 - L'ALLIEVO E IL MAESTRO

Rune stringe i pugni. Le parole di Garzes stanno ancora riecheggiando nella sua mente quando la visione del suo Maestro Khalayr, severo in fronte a lui, risveglia contemporaneamente ricordi di odio, dolore e rabbia.
Rune ricorda bene tanto il loro primo quanto il loro ultimo incontro.
Il Maestro era colui che gli aveva insegnato tutto. L'aveva raccolto dalla strada poco dopo che la sua famiglia, caritatevole e impegnata nelle opere di bene verso i poveri e gli emarginati, era stata trucidata da coloro di cui si era da sempre occupata durante un tentativo di rapina.
A quel tempo in Rune albergava solo desiderio di vendetta, e nulla contavano gli insegnamenti di suo padre, che aveva pagato con il sangue la sua misericordia verso i più sfortunati.
Il Maestro Khalayr costruì su quell'ira. Egli insegnò a Rune senza rivelarsi, mostrandogli l'arte della lotta dei Monaci del Nero Dolore, una setta con un forte credo incentrato sull’odio, sulla vendetta e sull'estrema sopportazione della sofferenza.
Rune apprese come una spugna, fino all'ultimo giorno in cui vide il suo mentore.
Quella notte erano soli nei bassifondi della città e vennero assaliti da alcuni malviventi. L'ira di Rune si scatenò su coloro che vedeva come i responsabili della morte dei suoi cari. Li mise fuori combattimento uno ad uno, sotto lo sguardo divertito del suo Maestro. Finalmente la sua creatura stava giungendo alla maturità. Rune era pronto per entrare nell'ordine, ma per farlo avrebbe dovuto completare il suo Battesimo del Dolore. Khalayr gli ordinò di giustiziare i criminali, assaporando il freddo e dolce piatto della vendetta.
Ma la furia di Rune si era sfogata, e il suo contrasto interiore riemergeva ora forte più che mai davanti a quell'ordine di vile assassinio. Per anni i suoi genitori gli avevano insegnato a rispettare la vita. Sempre.
Rune non poteva farlo, e Khalayr non poteva accettarlo. Il Maestro constatò il suo fallimento e attaccò il suo pupillo. Non poteva permettere che i segreti del Nero Dolore rimanessero in possesso di chi non era degno.
Rune avrebbe sicuramente avuto la peggio, ma il trambusto aveva attirato degli armigeri di ronda. Le guardie intervennero credendo Khalayr colpevole delle aggressioni, dando a Rune un diversivo per fuggire e far perdere le sue tracce. Da allora non vide mai più Khalayr. 
"Ti sei mai chiesto quanto la tua pietà abbia provocato dolore?" sentenzia il Maestro riportando di colpo il monaco alla realtà.
Rune tace.
"No, non te lo sei mai chiesto, è evidente. La tua decisione di non giustiziarli è costata la vita alle guardie che erano intervenute. Per mano mia."
"Il loro sangue è sulle tue mani, non sulle mie."
"Ma hanno pagato una *tua* scelta. E mentre mi occupavo di loro, i malviventi che non avevi finito se la davano a gambe! Altri innocenti in seguito hanno sofferto per la tua decisione, le loro scorribande hanno portato morte!"
Rune stringe i pugni ancor di più, incapace di non provare rimorso. Per quanto sia convinto di aver agito per il meglio, gli eventi hanno poi sempre preso pieghe impreviste.
"Da quando hai abbandonato le certezze del nostro credo, non hai mai saputo soppesare le conseguenze delle tue azioni" incalza Khalayr. "Men che meno ora."

giovedì 10 aprile 2014

407 - IL RIMORSO DI UN FIGLIO

Bovak tentenna con la borraccia stretta tra le mani. Il dubbio lo sfiora, ma nessuna di quelle apparizioni conosciute attraverso il racconto dei suoi compagni ha per lui lo stesso significato che ha per gli altri. Fino a quando al suo fianco non compaiono i suoi genitori.
Bovak sente un nodo stringersi alla gola. In un solo istante un fiume di ricordi lo travolge, misto all'immensa tristezza per non essere mai più riuscito ad abbracciarli, di non sapere nulla del loro destino dopo così tanti anni. Il volto deciso di suo padre, così intraprendente e allo stesso tempo legato alla tradizione dei nani e della sua famiglia, quello amorevole di sua madre.
Vorrebbe dire qualcosa, chiedere perdono per non averli potuti aiutare, per non averli saputi ritrovare, ma bastano le lacrime di sua madre per strozzargli le parole in gola. Lacrime di una madre che non riesce a comprendere come un figlio li abbia potuti abbandonare.
"Bovak, figlio mio..." sussurra amareggiato suo padre. "Quello che stai per fare è così dissimile da ciò che hai fatto tu? Come hai potuto scegliere di dimenticarci per così tanti anni?"
"Non volevo... non sono riuscito..." Bovak si porta una mano agli occhi, non riesce a trattenere il pianto. La colpa e il rimpianto bruciano nel petto.
"Hai dimenticato chi eravamo, la nostra storia, la famiglia, la tradizione. Hai pensato che fossimo morti per dimenticarci, per giustificare che non ci fosse più motivo di cercarci."
"Non è vero... non è giusto..." balbetta Bovak singhiozzando. Ogni volta che tenta di replicare incrocia le lacrime di sua madre, il suo sguardo che non riesce a sostenere.
Sapere il dolore che i suoi genitori hanno provato nel credersi traditi non gli da pace, non gliene ha mai data. Un sentimento di colpa che Bovak ha sempre nascosto sotto la cenere del suo animo, ma che ha continuato a bruciare strisciante fino ad ora.
"Hai scelto di dimenticare le tue origini, di prendere un’altra strada, di consacrarti alla natura e all’acqua, mentre nascevi forgiato dalla terra, figlio di un tagliatore di pietre preziose. Il nostro stemma, un tempo così rispettato, non ha più la sua discendenza!"
Bovak si lascia andare ad un pianto dirotto, cadendo sulle ginocchia: "Non ti ho mai tradito! Non ho mai voluto farlo!" protesta ad occhi bassi. "Il destino mi ha portato a intraprendere un cammino diverso, ma non ho mai voluto rinnegare le mie origini."
"Ci hai dimenticato! Ed è stata una tua decisione! Capisci ora quanto possono far male i ricordi?"
Bovak si sente svuotato, senza forze. Non riesce più nemmeno a piangere. Aveva sempre immaginato il ritrovamento dei suoi genitori come un momento di gioia, in cui avrebbero pianto di felicità riabbracciandosi. E invece provava solo un abisso di dolore.
"Non vi ho mai dimenticato, mai... le tue parole sono ingiuste, così ingiuste..." si limita a dire con un filo di voce.

martedì 1 aprile 2014

406 - VECCHIE CONOSCENZE

"Kade!" pronunciano gli avventurieri all'unisono, increduli davanti alla figura del mefitico mezzouomo.
"Ihihihihih!!!"
"Non è... non è... possibile! Tu sei morto!" balbetta Rune. "Ti ho ammazzato con le mie mani!"
"Ihihih... eppure sono qui dinanzi a voi!"
Gimble non vuole credere ai propri occhi. La comparsa di Kade in questo luogo ai confini del creato non ha nulla di razionale. "Tu non sei reale, ci stai ingannando, ci stiamo ingannando..."
"Parli di inganno, gnomo, con il maestro degli inganni, ma devo ammettere che come dici tu stesso voi non siete da meno" l'espressione di Kade si fa seria, pur mantenendo il suo diabolico sorriso. "Quante volte ingannate voi stessi nelle vostre scelte? Nella convinzione che ciò che fate sia la cosa migliore? Tu" dice indicando Hearst "scegliesti per due volte di collaborare con me pur di perseguire i tuoi scopi, pur sospettando l'inganno. E allora di chi fu l'inganno maggiore? Tuo o mio?"
"Taci bastardo!" ringhia Hearst colpito nel vivo di una ferita mai rimarginata. "O ti farò pentire di essere tornato! Di tutte le cose che ho fatto l'unica di cui non mi pentirò mai è di aver sgominato te e la tua maledetta banda!"
"Oooh... quante certezze ancora una volta!" esclama una voce dal centro del lago, obbligando gli avventurieri a voltarsi di nuovo.
Comparsa dal nulla, Mara, l'affascinante complice di Kade, scende lentamente le scale di roccia, con la testa ciondolante a causa del collo spezzato, lo sguardo triste pieno di rimpianto.
"Siete così certi che la mia morte fosse meritata? Sì forse sì, ne siete convinti, ma siete ancora altrettanto certi di aver agito per il meglio? Non vi siete posti il dubbio di quanta gente in più ha sofferto per l'ira di mio fratello Henox, non vi siete mai chiesti come le vostre scelte abbiano avuto conseguenze sul futuro di molti ignari cittadini di Puerto del Principe?"
"Il folle piano di tuo fratello non ha niente a vedere con noi e con il tuo destino!" ribatte furibonda Isabel. "Ci stai addossando colpe che non abbiamo, responsabilità di fatti di cui non potevamo sapere. Il nostro unico obiettivo era fare giustizia!"
Mara sorride amaramente: "Nessuno dubita delle intenzioni, ma alla prova dei fatti la verità è un'altra..."
"E' una visione miope quella di chi cerca di compiere il bene perdendo di vista il Bene Ultimo" dice una voce proveniente da destra. L'inconfondibile borbottio che conclude la frase ne anticipa l'identità.
Monsignor Rodrigo incede con le mani giunte, il grasso della pappagorgia che rimbalza ad ogni passo.
"Le conseguenze di ogni azione vanno oltre l'immediato, e spesso possono avere effetti catastrofici a cui non avevamo pensato. Non è forse meglio allora ponderare maggiormente gli effetti delle proprie decisioni? Essere meno avventati e cercare di vedere il Bene maggiore senza cadere nell'illusione di ciò che pare giusto al primo istante?"
"Non ci si può fermare e riflettere all'infinito per non sbagliare..." controbatte Juan scuotendo la testa.
"...eppure la leggerezza di una scelta può avere conseguenze non solo su sé stessi, ma anche sugli altri" continua una voce da sinistra: il Capitano Garzes è lì con il suo con portamento altero, le braccia incrociate. "Come potete accettarlo? Com'è possibile arrogarsi il diritto di scegliere della vita degli altri, delle decisioni degli altri, del futuro degli altri? Colui a cui volete ridare la memoria può aver *scelto* di dimenticare, di non sapere! Che diritto avete di opporvi, di decidere al posto suo, di ridargli la memoria? Se non lo desiderasse? Siete mai stati sfiorati da questo dubbio?"
La rivelazione nelle ultime parole di Garzes ha un effetto dirompente. Per un istante la mente di ognuno dei presenti è un caos di pensieri e perplessità. Se fosse vero? Possibile che Ghazeer volesse solo dimenticare? Possibile che ora per ottenere giustizia stessero contrastando una sua scelta, portandogli ancora dolore? Quanti altri avevano già sofferto per questo loro modo di agire, quanti altri avrebbero sofferto ancora?