domenica 26 agosto 2012

311 - LE RAGAZZE DI HAFIDA

Il vento che soffia dal porto solleva ampi mulinelli di polvere, e fa sbattere le malconce tende parasole che riparano gli ingressi di botteghe in cui non si vede l'ombra di un cliente. E' solo grazie all'inverno alle porte che l'atmosfera è meno rovente di quanto ci si potrebbe aspettare.
"Aspettami qui" ordina Hearst a Kamal, imboccando la scalinata dell'edificio indicato da Hafida.
Una tendina da porta di coralli tiene lontane le mosche e funge da avviso nel momento in cui qualcuno varca la soglia. Ed infatti ad attendere il guerriero c'è già una ragazza.
"Desiderate signore?" chiede con gentilezza. E' giovane, ma non bella, eccessivamente magra, e gli occhi scavati denotano una stanchezza profonda.
"Mi manda Hafida. Sei Karima?"
"Sì, sono io."
"Sono venuto per te" dice Hearst mostrando il borsello.
"Seguitemi signore, ci apparteremo nella mia stanza"
La prima impressione sulle fatiscenti condizioni dello stabile viene presto confermata. Karima guida il guerriero attraverso una sala che precede un corridoio. Gli occhi di Hearst corrono sulle altre ragazze accovacciate sui tappeti che coprono il pavimento. Sono poco più che bambine, solo Karima probabilmente supera i sedici anni.
La ragazza scosta la tenda di un piccolo anfratto, la sua camera, composta da una stuoia, una poltroncina e uno specchio crepato.
Karima accenna a spogliarsi.
"Aspetta. Prima voglio parlarti."
La giovane guarda stranita questo cliente dalle richieste insolite.
"Siediti. Sto per parlarti della tua amica Amina."
Hearst racconta della triste fine della poveretta, chiedendo a Karima di aiutarlo mentre le lacrime le rigano il volto già segnato.
Karima racconta ciò che sa. Amina aveva intrattenuto con Najib una relazione: lei, una puttana, era stata illusa da quell'uomo che le dava attenzioni. Le aveva chiesto di uscire dal giro, la desiderava solo per lui, sarebbero stati felici assieme, avrebbe lasciato la moglie e sarebbero scappati lontano.
Ma non fu così. Quando Amina scoprì di essere incinta, Najib non ne volle sapere più nulla: era tornata ad essere solo una puttanella.
Inizialmente Amina non voleva accettare quell’amore tradito, ma pian piano arrivò semplicemente a desiderare un futuro per suo figlio, senza doversi più prostituire. Aveva deciso di ricattare Najib, di raccontare tutto a sua moglie se non le avesse corrisposto del denaro. Karima l'aveva sconsigliata, ma per un po' la cosa sembrava aver funzionato, fino a che Amina era sparita. In cuor suo Karima sapeva che le era successo qualcosa, ma che poteva fare?
Hearst ascolta pensieroso. Ora è tutto molto più chiaro.
"Ora cosa succederà?" chiede allarmata Karima, realizzando le conseguenze del suo racconto.
"Dipende... dipende dalla tua testimonianza."
"Non so, non so se posso... se dico tutto alle guardie Najib verrà punito, ma anche Hafida, e noi con lei!"
Hearst si vede scorrere davanti i volti di quelle ragazzine: la colpevolezza di Najib rischia di trascinarle in un baratro.
"Pensaci Karima. Io non dirò nulla a nessuno, non voglio decidere per te. Tornerò tra due giorni."

lunedì 20 agosto 2012

310 - DUBBI

Il ritorno al Ristoro del Pellegrino è stato silenzioso. Quel silenzio teso che ora riempie anche la stanza in cui gli avventurieri sono riuniti.
Isabel passeggia nervosamente avanti e indietro, fino a quando decide di rompere il silenzio.
"Hearst, non credi di doverci dire qualcosa?"
Il guerriero solleva lo sguardo distratto: "No."
"Hai parlato con la moglie dell'oste..."
"Non era nulla di importante..."
"Ti ricordo che l'ultima volta che ci hai taciuto qualcosa, era un piano in grado di far scoppiare una guerra tra Governatori..." interviene caustico Gilead.
"Avanti Hearst, non farti pregare" continua Rune.
"Non posso."
"Non puoi?" chiede ironicamente sbalordita la sacerdotessa. "E cosa te lo impedisce? Vuoi forse fare di nuovo tutto di testa tua, e provocare altri disastri?"
Hearst scatta in piedi, ribaltando la sedia su cui era seduto: "Ne ho abbastanza! Ogni occasione è buona per giudicarmi! Continuate a esigere fiducia senza darne in cambio! Date per scontato che qualunque mia mossa a titolo personale sia un errore, mentre se sbagliate voi va tutto bene!"
"Non puoi biasimarci per questo!" rincara la dose Isabel.
"E quindi dovrò stare alla gogna per sempre? Sono stanco della vostra inquisizione! Volete sapere cosa mi ha detto Hafida? Bene, vi accontento subito. Mi ha detto di non dirvi che Amina era una mignotta, di non dirvi che lei gestisce un giro di mignotte che ha salvato dalla strada, di non dirvi di non dirlo alla guardia cittadina che sbatterebbe tutte in gattabuia."
"Sarebbe ciò che merita quella disgraziata! Ti riempie di menzogne e tu le credi!" ribatte la chierica.
"E voi non mi lasciate la facoltà di verificare e decidere se dice il vero! Giudicate, giudicate e basta, sempre nel giusto! Ed io sbaglio se non ripongo in voi piena fiducia, come se fossi una pecora! Una pecora con la spada, però! Ora basta, fate ciò che vi pare, io ne ho le palle piene."
Hearst abbandona la stanza sbattendo la porta.
"Un comportamento a dir poco infantile..." sentenzia Gilead.
"Già" conferma seccamente Isabel. "Ad ogni modo, tra sfogo e chiaroudienza, abbiamo tutte le informazioni che ci servono. Se vogliamo possiamo andare a parlare con le ragazze di Hafida. Rune?"
Il monaco li guarda. Da sempre era certo che un comportamento integerrimo fosse sinonimo di bene, e ciò nonostante ha avvallato con il suo silenzio l'utilizzo della magia da parte di Isabel per spiare un compagno. La chierica l'ha fatto certamente con le migliori intenzioni, ma la finalità di fare il bene, o il bene migliore, fino a che punto giustifica i mezzi? Si può pretendere fiducia quando alla prima occasione si usa il sotterfugio per ottenere ciò che si vuole? Si può condannare un atteggiamento che si mette poi in pratica sullo stesso condannato, solo perché questi è *già* stato condannato per le sue azioni passate?
Rune scuote la testa: "Forse questa volta è meglio aspettare di vedere come si mettono le cose. Se ci presentassimo dalle ragazze di Hafida, si chiuderebbero a riccio per la paura. Non sono sicuro che sia una buona idea. In realtà... non sono sicuro di nulla."

lunedì 13 agosto 2012

309 - CHIAROUDIENZA

Le formalità con le guardie vanno via lisce, grazie alla parola di Abel e al fatto che Xandru finge di non aver mai visto prima quegli avventurieri.
Rune e Gilead aiutano le guardie a trascinare fuori i cadaveri, e lontano dalla vista dell'oste e di sua moglie vengono avvicinati dal sergente, che li ricompensa con l'oro pattuito. Nonostante avesse chiesto espressamente di non fare vittime, visti gli interlocutori poteva andare anche peggio.
Nel frattempo all'interno, mentre Abel è indaffarato a ripulire il disastro di stoviglie e sangue, Hearst insiste con una sbalordita Hafida (e un altrettanto sbalordita Isabel) di voler restare a mangiare. Il loro pasto è andato a farsi benedire a causa della rissa, e per nulla al mondo intende restare digiuno.
La donna si appresta ad apparecchiare una tavola dal lato intonso della taverna. Mentre sbuffa sonoramente non si accorge che il guerriero si è avvicinato, approfittando di una distrazione della sacerdotessa andata a controllare sull'uscio le operazioni degli altri due compagni.
"Ora mi dirai tutto ciò che sai su quel drappo. A me non importa quanto schifo può esserci dietro. Non mi importa se sacrifichi la dignità di tuo marito pur di fare soldi. Ti ho fatto una domanda e voglio una risposta."
Hafida deglutisce, pur mantenendo una freddezza insolita per una semplice locandiera che si trova dinanzi alle minacce di uno come Hearst.
"D'accordo. Tu non sei come i tuoi amici bacchettoni, questo si vede lontano un miglio. Seguimi in cucina. Solo tu però..."
Isabel segue la scena con lo sguardo. Non sa cosa si siano detti, ma dall'espressione della donna è evidente che il guerriero non le ha chiesto di assaggiare la specialità della casa. Con un cenno richiama i compagni.

Isabel chiude gli occhi, e attingendo al potere di Erevos sussurra una breve invocazione mentre con le dita accarezza il simbolo sacro. Improvvisamente il discorso oltre la porta chiusa della cucina le è chiaramente udibile.
"...Amina è una delle mie ragazze."
"Con ragazze presumo tu intenda..."
"Sì, hai capito bene. Cortigiane, puttane... chiamale come ti pare. Per me sono solo ragazze che ho salvato dalla miseria e dalla strada."
"Chissà se anche loro la pensano allo stesso modo..."
"Con me hanno sempre un pasto su cui contare, un tetto sotto il quale dormire e protezione. Hai detto che non ti interessava la mia moralità..."
"E' vero. Parlami di Amina."
 "C'è poco da dire. E' una delle mie preferite, ma è incinta. La sua migliore amica Karima è molto preoccupata perché è sparita da diversi giorni, e onestamente lo sono anch'io..."
"Non si direbbe... Ad ogni modo Amina è morta. Si è trasformata in una wight, e ti risparmio i particolari su cosa significhi."
"..."
"Non hai nulla da dire?"
"Si sa chi è stato?"
"E' quello che vorrei capire da te."
"Non ne so nulla, ma Karima potrebbe sapere qualcosa che io ignoro. La troverai in una casa a due piani, la terza dopo l'incrocio, risalendo la via che entra in città qui a fianco."
"Parlerò con lei."
"..."
"C'è altro?"
"Vendicala se puoi, ma non dire niente alle guardie, ai preti o ai tuoi compagni bacchettoni, o le mie ragazze dovranno rifare i conti con la strada."
La porta della cucina si apre. Isabel riapre gli occhi.

giovedì 9 agosto 2012

308 - SOPRUSI E INDENNIZZI

Zero si fa largo spintonando gli avversari con lo scudo a spuntoni, lasciando campo libero per gli assalti del mazzafrusto di Turl e degli altri suoi uomini. Quegli idioti hanno fatto un grave sbaglio ad attaccar briga, e sebbene siano dei buoni combattenti sono solo in quattro. La superiorità numerica presto darà i suoi frutti...
Un lampo azzurro. Poi un tuono, e schegge e calcinacci che volano dappertutto.
Quando Zero riesce a superare lo stordimento si rende conto di essere stato scaraventato via. L'aria crepita di elettricità e piccole scosse residue danzano attorno al dannato scettro nelle mani di quella sacerdotessa.
Quattro dei suoi sono riversi a terra in preda agli spasmi. E' evidente che non si rialzeranno mai più.
"Basta!" urla il mercenario indietreggiando, e ordinando ai suoi di fare lo stesso. "Qui il vino fa veramente schifo, meglio cambiare aria!"
I mercenari abbandonano lentamente la taverna senza rinunciare ad una parvenza di spavalderia, dando calci ai tavoli, alle sedie e alle panche, spaccando quel poco che è rimasto integro.
Abel si rialza con circospezione da dietro il banco, la porta della cucina si spalanca e la donna corpulenta affianca il marito. Con la sua mano pesante gli scuote la spalla per farlo riprendere dallo choc, quindi gli ordina di andare a chiamare le guardie.
L'oste annuisce: "Certo Hafida" e se possibile ancora più pallido, esegue come un cagnolino. Ecco chi comanda veramente.

"Abel!"
L'oste si gira. E' il monaco.
Il suo volto è tanto cinereo da strappare a Rune una frase tranquillizzante.
Il poveretto cerca a fatica le parole, ancora scosso: "Non preoccupatevi, dirò alle guardie che vi siete difesi, non preoccupatevi..."
"Sei tu a non doverti più preoccupare Abel, noi non abbiamo nulla da temere"
"Grazie, grazie signore. Se non fosse stato per voi... erano... oddio... erano diventati insopportabili, non potete immaginare i soprusi che ho dovuto sopportare. Grazie... grazie..."

La donna corpulenta conta i cadaveri che Hearst sta perquisendo. Le sue sopracciglia folte disegnano un'espressione scocciata. Dopo un silenzio di qualche minuto, ad esplicita domanda di Gilead, Hafida risponde senza mezzi termini che le hanno causato un gran danno. L'affermazione coglie di sorpresa gli avventurieri, che non si capacitano di come la donna potesse tollerare il comportamento che quei buzzurri riservavano al marito.
"Quei mercenari saranno pur stati chiassosi, ma bevevano come delle spugne e pagavano, pagavano eccome! E ora chi diavolo mi risarcirà delle perdite? Guardate qua! La taverna mezza distrutta e neanche l'ombra di un cliente!"
Hearst pianta sul bancone svariate monete rimediate dai cadaveri, proprio mentre Rune rientra dalla porta d'ingresso: "Ecco il tuo indennizzo. Per il disturbo di essere morti qui."
Hafida raccoglie avidamente l'oro. Questa donna sarebbe capace di tutto.
Hearst fa un cenno a Rune, che d'intesa tira fuori lo scialle della wight.
"Donna, hai mai visto questo scialle prima d'ora? Sai se apparteneva a una donna di nome Amina, o qualcosa del genere?"
Hafida nega, ma a Rune e Hearst non sfuggono quel balenio di sorpresa nei suoi occhi e quell'attimo di esitazione.
Il monaco decide di indagare oltre, ma prima che possa proferir parola la porta si apre. Xandru fa il suo ingresso seguito da Abel e da due guardie cittadine. L'espressione del sergente non tradisce emozioni, tranne per un veloce sorriso complice con l'angolo della bocca.

venerdì 3 agosto 2012

307 - LA COMPAGNIA DEGLI URLANTI

Lasciato il palazzo del Granduca e recuperata l'essenziale guida Kamal, i nostri eroi si dirigono verso l'abitazione di Declan, solo per scoprire dal maggiordomo che il loro vecchio amico si scusa molto, ma affari imprevisti lo trattengono e dovranno rimandare il loro incontro al sabato. Per farsi perdonare, Declan organizzerà un banchetto in cui presenzieranno diverse personalità di rilevo della città, che sarà lieto di presentare agli avventurieri.
Appurato di avere ancora un paio di giorni da spendere prima di rivedere il mercante, i nostri eroi si fanno guidare da Kamal verso la città bassa, passando dall'Arco di Dyarx e dalla Piazza dell'Obelisco.
Giunti al porto, e vista l'ora e la fame di Hearst, decidono di dare un'occhiata a quella famigerata bettola che è la Perla.
Il chiasso, le urla, le risate sguaiate ben udibili all'esterno della costruzione di pietra che ospita la taverna fanno ben presupporre che non sarà difficile trovare i mercenari indicati da Xandru.

L'ingresso degli avventurieri zittisce per un istante i rumorosi ospiti del locale. Nove sguardi supponenti li guardano mentre si avvicinano al banco, dietro il quale l'oste pulisce nervosamente una brocca con gli occhi bassi. Una donna corpulenta sbircia da dietro l'uscio della cucina, ritirandosi quasi subito.
"Buongiorno signor oste" dice Gilead. "Vorremmo mangiare e bere..."
"...e magari anche fumare una di quelle strane pipe che si usano qui" precisa Hearst.
Un nano nerboruto sputa una risata forzata, rivolgendosi al tizio pelato al suo fianco, probabilmente il famigerato Zero.
"Ma l'hai sentito quel damerino dalle orecchie a punta?!? Gne gne gne... signor oste... gne gne gne..." dice scimmiottando l'elfo.
Gilead lo ignora: "Possiamo sederci, signor oste?"
Zero ride sguaiatamente: "Ahahah! Abel, dannato rincoglionito d'un oste! Hai sentito cosa ti hanno chiesto? Dove sono finite le tue buone maniere con i clienti? Falli accomodare a quel tavolo laggiù!"
L'oste annuisce facendo cenno agli avventurieri di accomodarsi dove ha suggerito Zero. E' evidente dalla raffica di battutaccie che segue che il povero Abel è lo zimbello, la vittima predestinata della combriccola.
L'uomo si avvicina per pulire il tavolo bisbigliando sottovoce: "Per l'amor di Dio, non guardateli, evitateli il più possibile, mangiate e sparite..."
"Oste, vorremmo prendere una stanza" risponde invece Hearst ad alta voce, facendolo impallidire se possibile ancor di più.
Le risate sguaiate si placano leggermente. Zero risponde al posto di Abel: "Non ci sono stanze libere. Diglielo oste, che questo postaccio di merda non ha stanze libere!"
Abel annuisce mentre si dirige verso la cucina per prendere le vivande cucinate dalla moglie.
Risatine, occhiate, ancora risate, sorrisi ammiccanti dopo aver indicato le prosperose forme di Isabel. Il pranzo è accompagnato da schiamazzi e sconcerie, e offese e spinte al povero oste.
Fino a quando il rumore di una brocca scagliata per terra supera le urla, mentre il contenuto rubino si spande sul pavimento.
Il nano - che si chiama Turl - si arrampica sul banco e prende per il collo Abel: "Oste farabutto, e quella schifezza imbevibile sarebbe vino?!? Quello è piscio di caprone!"
"E' la prima volta che sento di un nano che s'intende di vini..."
La voce di Gilead, chiara e udibile in mezzo al trambusto, sorprende tutti, compagni inclusi. Hearst sospira e scuote la testa.
"Cos'hai detto, frocetto delle foreste?" chiede minaccioso Turl.
"Hai capito bene. Voi nani passate la vita sottoterra a succhiare radici, non vedo come tu possa capirci qualcosa di vino..."
Turl afferra il suo mazzafrusto.
Volano parole grosse. Il pelato sfodera la spada e imbraccia lo scudo.
Hearst scuote la testa e ribalta il tavolo.