venerdì 26 novembre 2010

200 - LA TEORIA DI TALERYN

La fame è troppa per fare gli schizzinosi. I funghi e le muffe maleodoranti sono leccornie dopo un lungo digiuno. Gli avventurieri divorano quell'insolito pasto con foga prima di riprendere il discorso con Taleryn.
Mentre Hearst spilucca anche gli ultimi rimasugli di cibo, Isabel si rivolge al mago: "Poco fa hai parlato del *Labirinto dell'Inevitabile*... di cosa si tratta?"
"E' il luogo in cui probabilmente vi sareste involontariamente inoltrati se Pequeño non vi avesse salvato. Là non si avventurano nemmeno i cannibali" risponde Taleryn. "Si tratta di un dedalo di corridoi in cui perdersi è la norma. In questo labirinto si aggira l'Inevitabile, un golem di ferro che vaga senza meta con l'unico scopo di tormentare i prigionieri."
"Un go... golem?" la voce di Isabel trema solo nominare quella parola, ben sapendo cosa significa. "Ma... se il suo scopo è uccidere i prigionieri perché non esce dal labirinto?"
"Perché il labirinto è fatto di corridoi larghi in cui il golem, data la sua stazza, può muoversi liberamente, e corridoi stretti in cui invece non può passare. Sono queste strettoie, poste ai limiti del dedalo, che proteggono i prigionieri da questa nemesi d'acciaio" Taleryn si fa estremamente serio. "Non fatevi ingannare dall'apparente goffaggine di questo infernale costrutto. Chi lo incontra spesso non sopravvive per raccontarlo."
Hearst digerisce piuttosto sonoramente, attirandosi uno sguardo di rimprovero dalla sacerdotessa: "Al diavolo l'Inevitabile. Pensiamo a uscire di qui. Quando comparirà la prossima volta il Cubo?"
"Ben detto!" esclama Grolac.
"Taci nano! I tuoi commenti non sono graditi!" dice Gimble con disprezzo.
"E' difficile calcolare con esattezza il tempo qua sotto" il mago solleva gli occhi e si gratta la barba "ma per quel che può valere credo manchino circa sei giorni alla prossima apparizione."
Rune riporta la discussione sul concetto che lui stesso aveva interrotto in precedenza, riguardo l'utilizzo del Cubo per teletrasportare più individui nello stesso istante.
Taleryn si umetta le labbra prima di tuffarsi nella spiegazione delle sua teoria, snocciolando concetti di magia mai dimenticati. Passano parecchi minuti prima che il vecchio incantatore si accorga degli sguardi confusi dipinti sui volti della sua piccola platea.
Taleryn sospira, interrompendo la dotta dissertazione: "Perdonatemi, mi sono lasciato prendere... in parole povere, ritengo che l'effetto magico del Cubo possa essere catalizzato e amplificato, ma per farlo sono necessari, ovviamente, un catalizzatore e degli amplificatori. Insomma, servono gli *ingredienti giusti*."
"Immagino che si tratti di cose difficilmente reperibili qua sotto..." fa notare Rune.
"Già" risponde il vecchio, "ma non se ci si accontenta, per così dire. Sono anni che ragiono su queste mie teorie, e sono abbastanza certo che ci siano materiali adatti nel sotterraneo almeno per tentare."
"Bene!" esclama Juan, ottimista. "Qual è allora il problema. Troviamo questi ingredienti!"
"Non è così semplice" dice Taleryn, smorzando l'entusiasmo del giovane coloviano. "Gli amplificatori di cui ho bisogno sono delle formazioni cristalline che si trovano nel territorio dei cannibali. Si tratta pietre blu, simili a grosse ametiste, che irradiano una debole luce azzurra. I cannibali le usano come fonte di illuminazione."
Ecco cos'era il bagliore azzurro che avvolgeva gli inseguitori...
Secondo Taleryn, la debole luminescenza è causata dal residuo magico contenuto in queste pietre, sia esso un residuo di origine naturale o meno.
"Irradiando di magia i cristalli, questi dovrebbero entrare in risonanza rilanciando l'effetto magico stesso, ampliandone quindi la potenza e l'area d'azione."
"Affrontare i cannibali non sarà semplice" dice pensieroso Gilead. "Tuttavia ho come la sensazione che questa non sia la parte più complessa..."
Taleryn annuisce con sguardo greve: "Infatti, serve anche il catalizzatore..."
I volti dei nostri eroi impallidiscono mentre il vecchio scandisce le parole.
Il Corno dell'Inevitabile.

venerdì 19 novembre 2010

199 - COME UN FIGLIO

"Diversi anni fa provai a convincere gli altri prigionieri di alcune mie teorie. Ritengo che il Cubo possa essere utilizzato per consentire la fuga di più di un individuo alla volta, ma questo richiede che non venga attivato nel momento ce ne si impossessa."
Taleryn sospira: "Avevo un amico che mi diede ascolto, che provò a recuperare il Cubo, ma perì nell'intento..."
Il vecchio abbassa lo sguardo. E' evidente che ancor oggi non si perdona la morte dell'amico.
Rune cambia argomento per distogliere l'uomo dai suoi tristi pensieri, aprofittando dell'assenza di Pequeño per chiedergli del ragazzo. Taleryn avrà tutto il tempo in seguito di spiegare le sue teorie.
"Per me quel ragazzo è come un figlio" gli occhi dell'uomo brillano di affetto, mentre racconta del giovane. "Ricordo come se fosse ieri: lo presi con me poco dopo essere arrivato a Isla del Quitrin, al tempo non aveva più di tre anni. Pequeño è figlio di chissà quale unione, quasi certamente è nato nelle prigioni ed è rimasto orfano. Quando lo incontrai era nelle mani di una banda di prigionieri, che lo usavano come schiavo."
Taleryn tace sugli abusi più turpi, ma i suoi occhi si arrossano al solo pensiero. Non sono necessari dettagli per immaginare le sofferenze che quel piccolo deve aver passato.
"La cosa più inaccettabile è che nel loro egoismo gli altri prigionieri restavano indifferenti a questo abuso. Io... io non potevo tollerarlo."
Taleryn continua, raccontando come uccise tutti gli aguzzini con gli incantesimi che gli rimanevano.
"Sei un mago!?" esclama Gimble.
"Lo ero" Taleryn si fa malinconico "Non ho più praticato la magia qua sotto, se non piccoli trucchetti. Non ne ho i mezzi, non ho il mio libro degli incantesimi. Quel poco di magia che restava in me da quando fui imprigionato, lo esaurii su quei bastardi."
"Cos'hai fatto poi?" chiede Gilead.
"Portai via Pequeño, lontano dai prigionieri. Dopo aver individuato questa zona nascosta, ci rifugiammo qui, dove il lago poteva darci cibo e acqua a sufficienza. Vi assicuro che non fu semplice attraversare il labirinto dell'Inevitabile."
"Il... che?" le parole di Isabel vengono interrotte dal ritorno di Pequeño con funghi e muffe.
Il ragazzo si annuncia con tono scherzoso: "Forza signori, oggi lauto pasto per tutti!"

martedì 16 novembre 2010

198 - GLI ERRORI DELL'EGOISMO

“Il sotterraneo ha i suoi equilibri” spiega Taleryn. “Quelli che hanno tentato di divorarvi poco fa sono i cannibali, prigionieri che per fame hanno rinunciato alla loro umanità, alla dignità, alla voglia di lottare. La brama di carne li ha condotti alla follia, a diventare bestie a caccia di una preda.”
“Perché non si massacrano l’uno con l’altro?” chiede Isabel.
“Lo fanno, quando uno di loro diventa troppo debole per cacciare. Ma il loro è un branco, e collaborano. Cosa che invece non hanno capito tutti gli altri prigionieri.”
“Altri prigionieri? Cosa intendi?” chiede incuriosito Gimble.
Taleryn si umetta le labbra, come fosse un maestro che si appresta ad intraprendere una lunga lezione. Con fare pacato spiega che nell’area più lontana dal suo rifugio vivono gran parte dei prigionieri. Là ci sono acqua e cibo sufficienti per tutti, il fiume sotterraneo che attraversa quelle sale è ricco di pesce e molluschi, e crescono molti funghi commestibili.
"Un tempo anche io vivevo là" dice, mentre i suoi occhi si perdono in ricordi lontani. "Sopravvivere è più semplice. Il problema è che sopravvivere e aspettare è l'unica cosa che fanno i prigionieri; non si sono mai organizzati, coalizzati, per trovare un modo per fuggire di qua. Vivono ognuno per sè, in attesa del Cubo della Speranza.”
Lo sguardo interrogativo degli avventurieri sprona Taleryn a continuare. Il vecchio spiega che l Cubo della Speranza è l'unico modo per uscire dal sotterraneo. O almeno così si crede. Si dice sia l'unica possibilità di salvezza che il Duca offre ai prigionieri più *valorosi*. Questo peculiare oggetto è un cubo dall'aspetto metallico con lato grande poco più di una spanna. Il Cubo è diviso in tre sezioni che possono ruotare su un unico asse, in modo che girandole vengano a combaciare le incisioni che compongono un simbolo magico per ogni faccia. In quell'istante viene attivato un incantesimo di teletrasporto.
"Certo potrebbe essere un modo per fuggire, ma da ciò che dici potrebbe anche essere un modo per morire in fretta..." fa notare Gimble.
"Nessuno sa veramente cosa accade quando il Cubo viene attivato. In realtà potrebbe anche essere un incantesimo di disintegrazione... ma è comunque l'unica possibilità. Non per niente nel nome che gli è stato affibiato dai prigionieri, è menzionata la speranza."
"Hai parlato di attesa del Cubo..." dice Isabel. "Questo significa che non è sempre presente."
"No, infatti" risponde Taleryn. Il vecchio spiega che vicino alle sale dei prigionieri c'è un grande antro cavernoso, quasi interamente invaso da un lago. La stanza è costantemente illuminata da una debole luce magica permanente. Nel bel mezzo del lago affiora un minuscolo isolotto su cui si erge un pilastro costituito da blocchi cubici di pietra, alto circa venti metri, chiamato "Torre dei Cubi". Il Cubo della Speranza si manifesta una volta al mese sulla sua sommità. Quando ciò accade, i prigionieri si dannano lanciandosi in una folle corsa per riuscire a scalare il pilastro e afferrare il Cubo per primi. C'è chi si prepara per mesi, prima di tentare. C'è chi muore nell'impresa, cadendo nel vuoto, annegando, o ancora divorato dai lacedon che si annidano nelle acque scure del lago.
"Cos'ha a che fare tutto ciò che hai raccontato con la collaborazione tra i prigionieri?" chiede confuso Gilead.
Taleryn risponde sicuro: "A differenza dei cannibali, i prigionieri sono ancora attaccati alla loro umanità. Tuttavia la competizione causata dal Cubo li isola, rifiutano di lottare per una causa comune nella speranza di essere i prossimi a farcela, o nella consapevolezza che non ce la faranno mai. Vivono costretti a guardarsi le spalle ogni notte per paura che qualcuno li uccida, per paura che qualcuno li possa battere nella prossima scalata. Essendo soli sono anche preda delle scorribande dei cannibali, che cacciano coloro che fanno l'errore di allontanarsi dalle sale vicine all'antro della Torre dei Cubi. Al massimo tra i prigionieri si formano piccole bande per il predominio in una stanza."
Il vecchio lascia trasparire una grande amarezza: "Gli uomini, per il predominio, per l'egoismo, compiono sempre gli stessi errori, sia liberi che rinchiusi."
"Taleryn, parli come se tu conoscessi un altro modo per scappare, fondato sulla cooperazione..."
L'esternazione di Gimble non fa altro che incupire ulteriormente l'espressione sul volto dell'uomo.
"Infatti è ciò che credo. Ma nessuno mi ha mai dato ascolto..."

giovedì 11 novembre 2010

197 - ISLA DEL QUITRIN

Isla del Quitrin. Tristemente famosa nelle Isole Coloviane per il penitenziario che sorge nel centro della sua impenetrabile foresta, da cui il soprannome “Isola dei Deportati”.
Juan ricorda perfettamente le voci che circolano su questo luogo.
Inizialmente la prigione era stata costruita e finanziata di comune accordo tra le varie città delle Colovie per contrastare il fenomeno della pirateria, ma ben presto le rivalità tra i Governatori avevano generato seri problemi di efficienza e accesi scontri politici sulla carcerazione di soggetti legati agli intrighi e alle trame dei signori delle Isole.
Poi poco più di quindici anni fa, arrivò il Duca.
Andrew Carnegie era un nobile destinato originariamente a regnare sul Ducato di Brightton, ma l’invasione del suo feudo da parte del Granducato di Sercen e la conseguente sconfitta, lo obbligarono all'esilio assieme alle sue milizie personali e pochi fedelissimi.
Il Duca fece rotta verso le nuove colonie, dove da abile stratega e fine diplomatico riuscì ad ingraziarsi i favori di un buon numero di Governatori. Questo fatto gli garantì di non avere particolari problemi, e anzi qualche appoggio indiretto, quando con i suoi uomini invase, conquistò e si insediò a Isla dl Quitrin, autonominandosi nuovo sovrintendente.
Con l'arrivo di Carnegie, l’Isola mantenne la sua funzione di penitenziario, ma divenne indipendente dal dominio dei Governatorati.
E' evidente a chiunque che i prigionieri sono diventati un affare redditizio per il Duca, che riceve denaro per "sistemare" i deportati che le città gli affidano senza fare troppe questioni.
"Dunque" riprende Taleryn "prima di rispondere a tutte le vostre domande, ditemi di voi. Chi siete? Perché vi hanno imprigionato qui?"
"E' una lunga storia" esordisce Gimble. Lo gnomo spiega sinteticamente i fatti salienti che li hanno portati alla prigionia.
"In pratica, se noi siamo qua, lo dobbiamo principalmente alle nefandezze compiute da questo maledetto nano" conclude, non risparmiando un pesante affondo su Grolac.
"A voler ben vedere" risponde sarcastico il nano, ritrovando la sua spavalderia di un tempo "è colpa della tua testardaggine se ci troviamo tutti qua!"
"Figlio di..." Gimble si getta al collo di Grolac per strangolarlo.
Solo l'intervento dei compagni a dividerli impedisce che il litigio degeneri.
"Nano" dice minaccioso Hearst "non tirare troppo la corda della tua fortuna. Se sei ancora vivo è solo perché hai informazioni che ci servono. Ma non esagerare con i tuoi giochetti. Gimble potrebbe perdere la pazienza..."
Gilead riporta la discussione sul binario originale "Ora tocca a te, Taleryn, dirci chi sei..."
Il vecchio sorride malinconico. Spiega di essere un prigioniero politico e di essere qui da almeno quindici anni, se non ha sbagliato i suoi conti.
"Così... così tanto!?" esclama sbigottito Rune. "Qual è il tuo crimine? Vorrei poterti aiutare ad uscire di qui..."
"Il tuo ottimismo è invidiabile. Sai a malapena dove sei e già parli di una fuga. Da qui sotto raramente si esce, monaco" ribatte Taleryn. "Ad ogni modo, è passato così tanto che ormai nulla ha più senso. Ciò che è stato è stato, i miei trascorsi non importano più" taglia corto, evidenziando di non voler più affrontare un argomento per lui doloroso.
Il vecchio si accarezza la barba, mentre si appresta a spiegare quelli che sono gli equilibri delle prigioni.

giovedì 4 novembre 2010

196 - PEQUEÑO

"Grazie ragazzo" dice Gilead, ancora col fiatone.
Il giovane fa spallucce, mentre fissa gli avventurieri con un mezzo sorriso stampato sul volto. Avrà sì e no quindici anni, corporatura esile e muscoli nervosi, occhi azzurri e capelli scuri, come la carnagione, sebbene impallidita dall'oscurità di questo luogo.
"Chi sei ragazzo? Cosa ci fai qua? Sembri piuttosto esperto di questo posto" chiede Rune, incuriosito da questo peculiare salvatore.
"Mi chiamo Pequeño, e questa è da sempre la mia casa. Ma piuttosto, voi... siete nuovi, vero? Sì, per forza, visto che stavate per farvi sbranare dai cannibali..." chiede il giovane. Poi senza attendere risposta s'incammina lungo il corridoio che si estende oltre il passaggio nascosto.
"Aspetta! Dove vai? Nuovi? Cosa significa? Cannibali? Chi sono?" incalza Rune confuso dalle poche rivelazioni del ragazzino.
"Sono prigionieri, come tutti. Solo non hanno più un briciolo di umanità... ma venite, seguitemi" dice Pequeño, fermandosi ad armeggiare con un meccanismo nascosto su una parete. L'occhio esperto di Juan nota che è un marchingegno per disattivare una rudimentale trappola. "Vi porto da mio padre. E fate attenzione a dove mettete i piedi..."

Il corridoio percorso da Pequeño e dai nostri eroi si apre su una stanza, le cui mura si interrompono e fondono nel loro lato più distante dall'ingresso alle pareti di un'ampia grotta naturale. Laddove la volta rocciosa degrada verso il livello del pavimento, da sorgenti sotterranee affiora un piccolo lago, dalle acque scure e profonde. Pesci secchi e muschi sono appesi ad alcuni chiodi fissati nei muri, affiancati a rudimentali reti da pesca.
Una lanterna illumina l'area con luce magica. E' appoggiata su un grosso tavolo ricolmo di pezzi oggetti recuperati chissà dove, di legno e metallo, attorno al quale sta trafficando indaffarato un uomo dalla barba bianca e incolta, vestito di una tunica cenciosa.
L'ingresso degli avventurieri lo fa girare di scatto. I suoi occhi profondi scrutano il gruppo, poi si posano severi su Pequeño, con aria di rimprovero.
"Padre, sono nuovi!" esclama il giovane pronto a scagionarsi per qualcosa che probabilmente non doveva fare. "Non sono pericolosi!"
"Non puoi mai saperlo, ragazzo! Quante volte devo ripetertelo!" ribatte accigliato il vecchio.
I nostri eroi assistono in silenzio al botta e risposta. Impossibile non notare la profonda differenza di età tra i due. Più che padre e figlio, sembrano nonno e nipote.
Isabel fa un passo avanti: "Fidatevi buon uomo, vostro figlio ci ha salvato la vita e gli siamo riconoscenti. Non abbiamo cattive intenzioni, vi dò la mia parola. Per quel che può valere, sappiate che è la parola di una Contemplatrice."
Il vecchio pare tranquillizzarsi un po'.
"Non preoccupatevi!" esclama Pequeño facendo l'occhiolino. "Il mio vecchio fa il duro, ma in fondo ha un cuore buono!"
"Pequeño!" sbotta l'uomo, arrossendo in maniera evidente sotto la barba. "Smettila di dire fesserie! Piuttosto renditi utile, va a prendere un po' di cibo per i tuoi amici! Forza!"
"Vado, vado... ho capito..." barbotta sghignazzando il ragazzo, allontanandosi dopo aver preso con sé una cesta di vimini.
"Veniamo a noi" dice il vecchio. "Io sono Taleryn, e avete già avuto modo di conoscere mio figlio Pequeño."
L'impazienza degli avventurieri è troppa per attendere i convenevoli. Le voci si accavallano inondando Taleryn di domande. Dove si trovano, come si esce da qui, chi è lui, chi sono i cannibali...
"Calma, calma..." risponde pacato il vecchio. "Non siate irruenti..."
"Parli come se avessimo tutto il tempo del mondo!" protesta scocciato Juan.
"Ciò che dici non è molto distante dalla realtà" ribatte pacifico Taleryn.
"Cosa significa?" Juan si rabbuia. "Per tutti i santi, non farci stare sulle spine!"
"E' molto semplice. Da questo posto non si scappa. Abituatevi all'idea di restare qui per molto tempo, quasi certamente per sempre."
A Juan si gela il sangue, mentre il sospetto di ciò che il vecchio sta per dire s'insinua nella sua mente.
"Benvenuti a Isla del Quitrin..."